Stella, ci sono molte analisi interessanti sull'articolo, ma purtroppo l'autore, condizionato dal preconcetto non biblico della deità del Messia, non riesce a cogliere acune cose in realtà molto semplici. Ne cito due:
“Quando qui si dice che Gesù fu “reso perfetto” non significa che prima non lo fosse, dato che era privo di peccato, ma che aveva compiuto il corso di sofferenza che Gli era posto dinnanzi.”
Qui ci sono alcune lacune evidenti. La prima è il concetto di perfezione legato al non peccare. Cristo, dunque, sarebbe stato perfetto perché non peccò.
Ma il testo di Eb 5:9 dice tutt'altro! Dice che Cristo fu
reso perfetto,
non che lo era già; qui, la rigidità mentale dell'autore, dettata dalla sua credenza religiosa, si mostra pienamente, tanto che si arriva a negare il testo stesso a favore di una interpretazione distorta.
Il concetto biblico di "perfezione" esprime
il raggiungimento della completezza. Traducendo meglio il senso del verbo
τελειόω (
teleiòo, "completare", "rendere perfetto", "finire qualcosa"), il testo dice esattamente questo:
"essendo stato portato a completezza" (
participio aoristo passivo, che esprime un'azione avvenuta in un momento preciso e conclusa). Da chi fu portato a completezza? Da Dio, naturalmente. E quando? Nel momento della risurrezione dalla morte:
“dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti” — Rm 1:4
L'autore del testo, mostrando di non comprendere affatto il concetto di perfezione biblico, afferma che "Quando qui si dice che Gesù fu “reso perfetto” non significa che prima non lo fosse"; e invece il testo dice proprio questo! Solo che bisogna sapere cosa significa "essere perfetti" da un punto di vista biblico. Infatti, al v.8 sta scritto che benché Yeshua fosse il figlio di Dio (scelto dal Padre, cfr. At 4:27;Mt 3:17;12:18;2Pt 1:17), “
imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì”; imparò ad ubbidire. Il verbo
μανθάνω (manthàno) è direttamente collegato a
μαθητής (mathetès, "colui che apprende", "discepolo") e significa
apprendere, imparare dalla pratica. A questo punto, per rispondere all'autore che dice "E’ un testo molto strano, per certi versi, e che si presta ad alcuni equivoci", direi che ha ragione sul fatto che ci sia un equivoco, ed è questo:
pensare che Dio, l'Eterno, debba imparare a soffrire nella carne per obbedire a Se stesso. In realtà, il testo non è affatto strano, anzi è chiarissimo; ma se lo si legge forti del preconcetto della divinità del Messia, allora diventa "strano" e sono necessari "aggiustamenti" esegetici.
La seconda:
"Anche se Egli era Dio, Gesù si accostava al Padre celeste come qualcuno la cui vita era in bisogno disperato della Sua presenza ed opera. E’ così per voi? Nella Sua condizione umana, nella Sua umiliazione, Egli, infatti, non faceva uso dei Suoi poteri, ma aveva bisogno della potenza di Dio per tenere a bada il diavolo, rimanere forte, e fare ciò che Dio Gli diceva di fare."
Qui si afferma che Yeshua "aveva poteri" ma non ne faceva uso, apposta, e allo stesso tempo "aveva bisogno" della potenza di Dio (che lui stesso aveva, ma non usava) "per tenere a bada il diavolo".

Al di là dell'illogicità e incomprensibilità del ragionamento, emergono due bestemmie: la prima è che Dio Eterno, Colui che trascende tutto, l'Uno, diventi un essere corruttibile e imperfetto: si sta affermando che la perfezione diviene imperfezione, anche alla luce di quanto detto sul termine "perfezione". La seconda è che Dio possa essere tentato da satana.
