Vorrei riportare la discussione sulla 2Cor 11:1-15 in questa cartella, rispondendo a
Gianni, perché credo sia interessante esaminarla più a fondo da un punto di vista storico-critico, premettendo che siamo qui a formulare ipotesi, perché di certezze non ne abbiamo.
Al v. 4, Paolo critica i Corinti per aver accettato di buon grado una predicazione diversa da quella già ricevuta da lui. Si può supporre, dunque, che questi altri predicatori 1.
conoscevano le vicende su Gesù e 2.
mettono in crisi Paolo di fronte alla comunità.
Cosa possono aver detto tali predicatori non possiamo saperlo con certezza, ma lo possiamo supporre a grandi linee: hanno annunciato
Gesù come figura diversa rispetto a quella annunciata da Paolo e hanno riferito
una storia e un insegnamento di Gesù diversi da quelli annunciati da Paolo. Questo ce lo dice lo stesso Paolo e ci conferma anche che attorno al 55 E.V. circolavano vangeli e storie su Gesù diverse. Quindi, possiamo affermare che Paolo non fosse l'unico giudeo a predicare su Gesù e non necessariamente ciò che lui predicava doveva essere “più vero” di ciò che altri predicavano. Bisognerebbe conoscere anche l'insegnamento degli altri, per fare un confronto, ma purtroppo non è giunto fino a noi o forse, per provare a fare delle ipotesi, potremmo esaminare altri testi antichi non selezionati per il Canone, come, ad esempio, il Vangelo di Tommaso che una parte della critica tende a spostare indietro nel tempo rispetto alla datazione comunemente accettata fino ad oggi.
La predicazione dei “superapostoli”, diversa da quella paolina, deve aver generato dubbi nei Corinti per quanto riguardava l'attendibilità di Paolo come apostolo, poiché egli non aveva mai conosciuto Gesù e il fatto che avesse ricevuto il vangelo da Gesù stesso dopo la sua morte era qualcosa di totalmente autoreferenziale (di questo possiamo discutere a parte) di fronte a chi, magari, si presentava come inviato diretto di Gesù e lo aveva conosciuto in vita. Infatti, al v. 5 egli li attacca chiamandoli sarcasticamente “superapostoli” (nell'ottima traduzione CEI)
ma allo stesso tempo difende la propria autorità affermando di ritenere di non essere da meno rispetto a loro.
Questo deve farci riflettere. Se quei “superapostoli” che predicano un messaggio ed annunciano un Gesù diversi fossero veramente “falsi apostoli, operai fraudolenti”, come lui li definisce al v. 13, qui Paolo starebbe dicendo che lui non è da meno di falsi apostoli! Cioè,
quelli sono falsi, ma lui ritiene di non essere inferiore a loro in nulla. Direi che dovrebbe essere scontato che un VERO apostolo non sia inferiore in nulla a dei FALSI apostoli!
Ma allora perché accusarli di essere dei truffatori? Si potrebbe pensare che Paolo dicesse il vero senza timore che gli altri avrebbero potuto sbugiardarlo, ma in realtà – a pensarci – questa idea non è così scontata. Al tempo di Paolo non si poteva inviare via fax o e-mail la scannerizzazione di un certificato di apostolato con documento d'identità allegato... E i Corinti della comunità non avrebbero potuto andare facilmente a Gerusalemme a verificare di persona... Perdonate la battuta poco seria, ma la questione qui è in termini di “parola di Paolo” contro “parola degli apostoli”, niente di più. Quindi, Paolo poteva tranquillamente accusarli davanti ai Corinti di essere degli impostori senza timore di essere smentito da nessuno, e lo stesso valeva per gli altri.
Detto questo, cosa ci dice Paolo sull'identità di questi che chiama ironicamente “superapostoli”? Ci dice abbastanza per poterci consentire di formulare delle ipotesi. Ai vv. 22-23 afferma:
“Sono Ebrei? Lo sono anch'io. Sono Israeliti? Lo sono anch'io. Sono discendenza di Abraamo? Lo sono anch'io. Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro”.
“Io lo sono più di loro” presuppone che anche loro fossero apostoli.
Da queste parole, risulta ovvio che quei superapostoli fossero 1.
ebrei (come Paolo), 2.
israeliti (come Paolo), 3.
discendenti di Abraamo (come Paolo) e 4.
servitori di Cristo (come Paolo). In qualità di israeliti servitori di Cristo, dovevano appartenere quantomeno ad una comunità di discepoli di Cristo. Considerando che la lettera è datata attorno al 55 E.V., i “superapostoli” sarebbero appartenuti alla comunità primitiva di giudei discepoli di Gesù.
La mia ipotesi è che Paolo, non potendo negare che quelli fossero apostoli di Cristo (e infatti lo ammette al v. 23) perché evidentemente conoscevano molto su di lui, li accusa di essere in realtà dei truffatori, affermando di fatto che tra gli apostoli di Cristo ebrei ne esistevano alcuni che andavano in giro predicando un falso vangelo e annunciando una figura di Gesù diversa da quella che lui annunciava nel mondo greco-romano. Sostanzialmente, Paolo li accuserebbe di tradimento, e infatti li definisce servitori di Satana.
Il fatto che Paolo sia stato convocato a Gerusalemme sulla questione del suo apostolato è un indizio del fatto che la comunità di Giacomo non fosse concorde con lui e che forse, quei “superapostoli”, provenivano proprio dalla comunità di Gerusalemme. Il Libro di Atti degli Apostoli ci racconta di come la questione fosse stata risolta a favore di Paolo; tuttavia, il libro è databile attorno a 25-30 anni dopo la Seconda Lettera ai Corinzi e persino gli studiosi credenti della Bibbia TOB rilevano che “La concordanza del pensiero degli Atti con quello delle lettere di Paolo resta perlomeno problematica in certi punti, per di più importanti, come, per esempio, la nozione di apostolato oppure il ruolo della legge”
(Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, pp. 2484-2485).