Gv 12:32
Inviato: sabato 25 novembre 2017, 23:19
κἀγὼ ἐὰν ὑψωθῶ ἐκ τῆς γῆς, πάντας ἑλκύσω πρὸς ἐμαυτόν
Le traduzioni rendono questo versetto nei seguenti modi:
“e io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (NR)
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (CEI)
“Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me” (Did)
“Ed io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (ND)
“e io, quando sarò innalzato dalla terra, trarrò tutti a me” (VR)
“E io, se sarò innalzato dalla terra, attirerò a me uomini di ogni sorta” (TNM)
Tutti i traduttori sono concordi tranne TNM, che rende con un condizionale “se” sarò innalzato. Vediamo il testo greco.
La congiunzione contratta ἐὰν (eàn) con il congiuntivo aoristo (ὑψωθῶ, hypsothò, cong. aor. di ὑψόω, hypsòo), dovrebbe avere valore condizionale. Il Rocci spiega che serve ad indicare l'eventualità generale, e dovrebbe essere tradotta con se, qualora, nell'eventualità che, se mai. Dunque, solo la TNM traduce correttamente. Perché mai i traduttori negano alla congiunzione il suo valore condizionale? Esaminiamo meglio il testo.
Al v.31 Yeshùa afferma: “Ora [νῦν, nun] avviene il giudizio [κρίσις, krìsis] di questo mondo; ora [νῦν] sarà cacciato fuori il principe di questo mondo”. L'avverbio tra parentesi quadre indica il momento presente, dunque Yeshùa sta dicendo forse che il giorno del giudizio è quello stesso giorno in cui sta parlando? Impossibile, perché il giudizio avviene in seguito alla parusia e al millennio (Ap 20:11). Ed è ovvio che, siccome siamo qui a discutere, il giudizio non sia avvenuto nella notte in cui Yeshùa pronunciava quelle parole. Cosa sta dicendo, dunque, Yeshùa?
Il v.33 chiarisce che Yeshùa sta parlando del giorno in cui verrà appeso al palo: “Così diceva per indicare di qual morte doveva morire”. Il verbo ὑψόω (hypsòo) significa alzo, innalzo, sollevo, ma - in senso traslato - anche glorifico, esalto, celebro (Rocci). Giovanni chiarisce inequivocabilmente che Yeshùa faceva riferimento alla sua morte, dunque risulta difficile tradurre il verbo e la semifrase in senso traslato (essere innalzato dalla terra = essere glorificato). Si tratta, dunque, del momento della crocifissione, in cui viene "elevato dalla terra" e appeso ad un palo. Ma perché mai Yeshùa afferma che ora, nel momento presente, cioè con la crocifissione, il principe del mondo è "cacciato fuori" e il mondo è giudicato? Sembra quasi che Yeshùa faccia riferimento agli ultimi momenti, precedenti il giorno del gran trono bianco di Ap 20. Ma risulta ovvio che il principe del mondo è attualmente ancora pienamente operativo, e che il giudizio non è ancora avvenuto. Yeshùa parla del peccato. Il peccato è (già) vinto, il mondo è vinto nel momento della sua morte (Gv 16:33; 1Gv 5:4).
Al v.28, la voce dal cielo dice: “L'ho glorificato, e lo glorificherò di nuovo!”. Ciò dovrebbe far riferimento alla resurrezione, momento della glorificazione di Yeshùa. Anche al v.23 Yeshùa afferma: “L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev'essere glorificato”. Quello che segue, dunque, dovrebbe fare riferimento a questa frase del v.28. È possibile, dunque, che Yeshùa fosse convinto che il giudizio era davvero imminente? Che sarebbe avvenuto immediatamente in seguito alla resurrezione? Del resto, la rivelazione di Apocalisse sulla parusia e sul millennio viene conferita a Giovanni in seguito alla dipartita di Yeshùa. Io credo di no, perché Yeshùa aveva già affermato che sarebbe tornato "sulle nuvole". In virtù di quella congiunzione ἐὰν che esprime la possibilità, è lecito intravedere un'incertezza da parte di Yeshùa riguardo alla modalità della sua morte e al suo destino? Del resto, era pur sempre un uomo, e nel Getsemani, Yeshùa prega il Padre che gli risparmi quello che avrebbe dovuto subire, e prega che il Padre lo salvi dalla morte, dunque mostra di essere pervaso da un senso di paura e angoscia (“Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà”, Eb 5:7).
Le traduzioni rendono questo versetto nei seguenti modi:
“e io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (NR)
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (CEI)
“Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me” (Did)
“Ed io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (ND)
“e io, quando sarò innalzato dalla terra, trarrò tutti a me” (VR)
“E io, se sarò innalzato dalla terra, attirerò a me uomini di ogni sorta” (TNM)
Tutti i traduttori sono concordi tranne TNM, che rende con un condizionale “se” sarò innalzato. Vediamo il testo greco.
La congiunzione contratta ἐὰν (eàn) con il congiuntivo aoristo (ὑψωθῶ, hypsothò, cong. aor. di ὑψόω, hypsòo), dovrebbe avere valore condizionale. Il Rocci spiega che serve ad indicare l'eventualità generale, e dovrebbe essere tradotta con se, qualora, nell'eventualità che, se mai. Dunque, solo la TNM traduce correttamente. Perché mai i traduttori negano alla congiunzione il suo valore condizionale? Esaminiamo meglio il testo.
Al v.31 Yeshùa afferma: “Ora [νῦν, nun] avviene il giudizio [κρίσις, krìsis] di questo mondo; ora [νῦν] sarà cacciato fuori il principe di questo mondo”. L'avverbio tra parentesi quadre indica il momento presente, dunque Yeshùa sta dicendo forse che il giorno del giudizio è quello stesso giorno in cui sta parlando? Impossibile, perché il giudizio avviene in seguito alla parusia e al millennio (Ap 20:11). Ed è ovvio che, siccome siamo qui a discutere, il giudizio non sia avvenuto nella notte in cui Yeshùa pronunciava quelle parole. Cosa sta dicendo, dunque, Yeshùa?
Il v.33 chiarisce che Yeshùa sta parlando del giorno in cui verrà appeso al palo: “Così diceva per indicare di qual morte doveva morire”. Il verbo ὑψόω (hypsòo) significa alzo, innalzo, sollevo, ma - in senso traslato - anche glorifico, esalto, celebro (Rocci). Giovanni chiarisce inequivocabilmente che Yeshùa faceva riferimento alla sua morte, dunque risulta difficile tradurre il verbo e la semifrase in senso traslato (essere innalzato dalla terra = essere glorificato). Si tratta, dunque, del momento della crocifissione, in cui viene "elevato dalla terra" e appeso ad un palo. Ma perché mai Yeshùa afferma che ora, nel momento presente, cioè con la crocifissione, il principe del mondo è "cacciato fuori" e il mondo è giudicato? Sembra quasi che Yeshùa faccia riferimento agli ultimi momenti, precedenti il giorno del gran trono bianco di Ap 20. Ma risulta ovvio che il principe del mondo è attualmente ancora pienamente operativo, e che il giudizio non è ancora avvenuto. Yeshùa parla del peccato. Il peccato è (già) vinto, il mondo è vinto nel momento della sua morte (Gv 16:33; 1Gv 5:4).
Al v.28, la voce dal cielo dice: “L'ho glorificato, e lo glorificherò di nuovo!”. Ciò dovrebbe far riferimento alla resurrezione, momento della glorificazione di Yeshùa. Anche al v.23 Yeshùa afferma: “L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev'essere glorificato”. Quello che segue, dunque, dovrebbe fare riferimento a questa frase del v.28. È possibile, dunque, che Yeshùa fosse convinto che il giudizio era davvero imminente? Che sarebbe avvenuto immediatamente in seguito alla resurrezione? Del resto, la rivelazione di Apocalisse sulla parusia e sul millennio viene conferita a Giovanni in seguito alla dipartita di Yeshùa. Io credo di no, perché Yeshùa aveva già affermato che sarebbe tornato "sulle nuvole". In virtù di quella congiunzione ἐὰν che esprime la possibilità, è lecito intravedere un'incertezza da parte di Yeshùa riguardo alla modalità della sua morte e al suo destino? Del resto, era pur sempre un uomo, e nel Getsemani, Yeshùa prega il Padre che gli risparmi quello che avrebbe dovuto subire, e prega che il Padre lo salvi dalla morte, dunque mostra di essere pervaso da un senso di paura e angoscia (“Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà”, Eb 5:7).