
Sul vangelo di Matteo è necessario dare innanzitutto alcune informazioni generali, senza soffermarsi sui dettagli. Esso prende come base il vangelo di Marco, databile intorno al 50, più "scarno" e stilisticamente inferiore; inoltre, Matteo utilizza anche i cosiddetti "discorsi" di Yeshùa (loghìa), molto probabilmente scritti dallo stesso Matteo in aramaico, e delle parti che gli altri due sinottici non contengono (forse esperienze personali inserite successivamente).
In Matteo è riscontrabile una progressione nella formazione del testo, che copre circa un ventennio, tra il 50 e il 70; ciò sembra essere sostenibile in base ad una frase (che non compare nel passo parallelo di Lc 14:16-24) dalla parabola delle nozze del Re (cap. 22), in cui, ai vv. 6 e 7 è detto: “Altri poi, presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero. Allora il re si adirò, mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città”. Si allude alla distruzione di Gerusalemme del 70 E.V.. Mancando questo riferimento in Luca, è probabile che Matteo abbia aggiunto quelle parole successivamente alla distruzione della città.
In Matteo prevalgono le espressioni tipicamente semitiche; la conoscenza di certe tradizioni e costumi ebraici viene data per scontata e non spiegata, come invece avviene in Marco, che si rivolgeva principalmente ai gentili. Dal testo mattaico si evince che fosse destinato principalmente agli ebrei.
Matteo ama utilizzare i numeri, specialmente il 7, e spesso, nel discorso, sottolinea la potenza messianica di Yeshùa (si vedano gli episodi straordinari avvenuti nel momento della sua morte e narrati in 27:51-54). Utilizza spesso frasi che esaltano l'adempimento della Scrittura Ebraica in Yeshùa, che presenta come il profeta cui fa riferimento Mosè in Dt 18:18. In generale, ama esaltare la messianicità di Yeshùa.
Infine, Matteo predilige raggruppare i discorsi di Yeshùa in sezioni, più che riferirli con ordine cronologico; questo crea a volte delle apparenti discrepanze con gli altri due sinottici.