Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Ottime considerazioni, Noiman.
Il greco koinè utilizzato nei Vangeli può essere definito come lingua mondiale, ossia la lingua più parlata nel mondo di allora (fino circa al 330 E.V.). Tale diffusione fu dovuta alle campagne di Alessandro, che unì il mondo greco con quello persiano, dando vita al progetto universalistico che continuò in seguito con l'Impero Romano. Alessandro contribuì a determinare due periodi nello sviluppo della lingua greca: il primo è quello della separazione dei dialetti e il secondo è quello dell'unificazione di essi in una lingua globale, il greco koinè, che utilizzarono gli agiografi delle Scritture Greche (anche la LXX è in greco koinè, e gli agiografi dei Vangeli utilizzavano la LXX). La lingua diffusa da Alessandro nel mondo orientale persistette anche in seguito alla divisione del suo impero, e la sua diffusione fu tale da penetrare ogni parte dell'Impero Romano, persino Roma stessa (l'imperatore Marco Aurelio scrisse in greco le sue Meditazioni). Non c'è da stupirsi che i Vangeli, pur scritti da ebrei, risultino spesso incompatibili a chi è abituato a leggere la letteratura ebraica classica. Bisogna fare uno sforzo intellettuale in più per capire perché si usavano certi termini non tradizionalmente utilizzati. :-)
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Gianni
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Gianni »

Sì, davvero ottime considerazioni quelle di Noiman, seppure sintetiche. Mi spiace solo che lui abbia qualche dubbio sul fatto che chi scrisse i Vangeli li pensasse in ebraico ma li scrivesse in greco. In un’altra discussione ho trattato di ciò. – Cfr. https://www.biblistica.eu/phpbb/viewtopi ... 841#p49841" onclick="window.open(this.href);return false;

La lingua greca, dunque. Parto da un aspetto molto marginale, che a prima vista sembra c’entrare come il cavolo a merenda: la parola sinagoga. I semplici potrebbero pensare che parola più ebraica di questa non ci sia. E invece no. Essa è greca: συναγωγή (synagoghè), che significa “riunione”. Ciò è sintomatico dell’influenza del greco.

Veniamo a Yeshùa, detto il nazareno. Yeshùa era un giudeo, eppure è tuttora noto come nazareno o galileo. La Galilea, splendida regione, nel primo secolo poco aveva a che fare con i giudei. Costoro disprezzavano i galilei, e con buone ragioni, dal loro punto di vista. I galilei erano gente malvista dai giudei. Yeshùa operò principalmente in Galilea. In Giudea si recò solo per osservare le sante Feste ebraiche nel Tempio gerosolimitano e, nell’ultimo anno della sua vita, per esservi ucciso. La missione di Yeshùa fu, per sua stessa dichiarazione, di cercare le pecore sperdute della Casa di Israele. Di Israele, non di Giuda. Questo aspetto è in genere pochissimo compreso. Yeshùa vietò ai suoi discepoli di predicare oltre i confini ebraici e in Samaria (abitata da semipagani). Fu solo dopo la sua morte che diede istruzioni di estendere la predicazione oltre i confini ebraici, in Samaria e fino alla più distante parte della terra (cfr. Mt 28:19,20). E qui entra in gioco la koinè greca: lo strumento migliore per diffondere il messaggio in modo internazionale. E non solo, perché la ricchezza del greco permetteva di esprimere molto bene i difficili concetti che dovevano essere diffusi; ai termini greci fu perfino dato un significato più ricco, più pregnante e finanche più spirituale.


Già prima di Yeshùa gli ebrei avevano usato il greco traducendo il Tanàch, anche se per i soli ebrei della diaspora, i quali non parlavano più ebraico.

Spiega l’accademico sionista Norman Bentwich: “Sebbene la maggioranza della popolazione ebraica fosse contraria all’ellenismo e alle sue usanze, non rifiutava i contatti con i popoli greci e l’uso della lingua greca …. Gli insegnanti palestinesi guardavano con favore la traduzione greca delle Scritture, considerandola un mezzo per portare la verità ai Gentili”. - N. Bentwich, Hellenism, 1919, pag. 115.
trizzi74
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da trizzi74 »

bgaluppi ha scritto: Non c'è da stupirsi che i Vangeli, pur scritti da ebrei, risultino spesso incompatibili a chi è abituato a leggere la letteratura ebraica classica. Bisogna fare uno sforzo intellettuale in più per capire perché si usavano certi termini non tradizionalmente utilizzati. :-)
Penso che il problema principale per gli ebrei non è principalmente questo, ma è quello di trovare nel N.T. aspetti che sono totalmente assenti nelle Scritture Ebraiche. In questi mesi Besasea ne ha evidenziati diversi. Uno di questi è la speranza di una vita celeste per i seguaci di Gesù. Eppure nelle Scritture Ebraiche è abbastanza chiaro che gli antichi ebrei non avevano alcuna idea della resurrezione celeste.
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Trizzi, sto leggendo Maimonide e ti assicuro che il concetto del mondo a venire come luogo riservato in eterno alle anime non è affatto estraneo all'ebraismo. Ci farò uno studio in proposito (ma ora non ho tempo).
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Riporto le parole di Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano:

“Nel già citato Trattato sulla Penitenza (VIII, 2) Maimonide scrive che «nel mondo a venire non vi è corpo né corporeità, ma solo le anime dei giusti senza corpo come gli angeli del Servizio». E, riferendosi ad un celebre passo talmudico (Berachoth 17a), sottolinea che «nel mondo a venire non vi è cibo, né bevanda, né procreazione..., ma i giusti siedono con le loro corone sul capo, godendo dello splendore della presenza divina». L'espressione «con le loro corone sul capo» ha, secondo Maimonide, un significato metafisico, indicando «l'immortalità dell'anima nell'eternità dell'Intelletto Agente, che è Dio».”

Anche Nachmanide (Moshè ben Nachman, 1194-1270) sostiene l'esistenza di un “mondo delle anime” ('Olàm ha-nefashòth) o “Giardino dell'Eden superiore” ove le anime riparerebbero dopo la prima morte fisica.

Il pensiero dei due è evidentemente influenzato dal concetto greco di anima immortale, mentre l'anima è l'essere umano vivo (nefesh), che viene poi trasformato (come insegnano le SG); tuttavia, dalle loro parole emerge un dato importante: il mondo a venire è qualcosa che non riguarda fisicità e corruzione. Su questo fornirò approfondimenti nel mio studio.

Dunque, il Regno dei Cieli, o Regno di Dio, che Yeshùa presenta, non è affatto estraneo all'ebraismo.
trizzi74
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da trizzi74 »

Ma a parte queste tue citazioni, ci sono versetti nelle Scritture Ebraiche che attestano ciò?
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

“Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; e le cose precedenti non saranno ricordate, né saliranno in cuore” — Is 65:17 (2Pt 3:13; Ap 20:21)

“Poiché proprio come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per fare stanno dinanzi a me”, è l’espressione di Geova, “così continueranno a stare la vostra progenie e il vostro nome” — Is 66:22

Attenzione: i nuovi cieli e la nuova terra non riguardano l'Era Messianica, in cui il mondo sarà sostanzialmente uguale a quello attuale, ma il mondo a venire. “Le cose precedenti non saranno ricordate”.
trizzi74
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da trizzi74 »

Forse mi sono espresso male. Quando ti ho detto " ci sono versetti nelle Scritture Ebraiche che attestano ciò?" mi riferivo a dei versetti che attestano che gli antichi ebrei avevano un'idea della resurrezione celeste.
Le scritture di Isaia 65 non sono attinenti a questo.
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Israel75
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Israel75 »

Ci sono nel libro di Ezechiele se non erro.... o:-)
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Il Tanach parla del mondo a venire in numerosi casi (da non confondersi con l'era messianica o il millennio), ma l'interpretazione dipende dalla mentalità di chi interpreta; un materialista interpeta il mondo a venire come una prosecuzione di quello attuale, perché non crede alla vita ultraterrena; anche se ciò è confutato dal fatto che Dio fa nuovi i cieli e la terra, i quali, essendo nuovi, non sono la prosecuzione di quelli precedenti; inoltre, il citato versetto di Isaia spiega che le cose passate non saranno più, non torneranno in memoria, dunque sarà come se non fossero mai esistite; il che apre ad una interpretazione affatto materialista, ma più spirituale (una sorta di passaggio ad uno stato superiore, che è quello di vera immagine e somiglianza con Dio, che Dio concepiva sin dal principio), sulla linea di quella maimonidea che segue.

Nell'Introduzione al X capitolo di Sanhedrin [Pèrek Chèlek], Maimonide, parlando di ciò che Apocalisse chiama "seconda morte" (distruzione, annichilimento), dice:

“Il peggiore dei mali e la massima delle punizioni sono la rescissione e la perdizione dell'anima nel senso che essa non sarà più vivente ed esistente, che è quello che la Torah chiama Kareth [rescissione, taglio, dalla radice KaRaTH].
E il senso del Kareth è questo: che l'anima si annienterà, conformemente all'interpretazione che i Maestri — sia benedetto il loro ricordo! — hanno dato del verso: «Quell'anima [הַנֶּ֥פֶשׁ, hanefèsh] sarà definitivamente rescissa» [Num 15:31]: venir rescissa: in questo mondo; sarà rescissa: nel mondo a venire [T.B. Shanhedrin 64b e 90b].
È detto: «L'anima del mio signore rimarrà avvinta al fascio dei viventi...» [1Sam 25:29].
Orbene, chi sceglie e si abitua ai piaceri corporei, detestando la verità e amando la menzogna, verrà rescisso da quella mèta suprema [il fascio dei viventi], rimanendo materia corruttibile [dunque il fascio dei viventi non concerne la materia corruttibile].
E già il profeta aveva spiegato che il mondo a venire non è percepibile coi sensi della corporeità, come è detto: «Mai occhio umano ha vedito altro Dio all'infuori di Te, capace di fare simili cose in favore di chi confida in Lui» [Is 64:3(4)], su cui i Maestri così commentarono [T.B. Berachoth 34b; Shabbath 63a]: «Tutti i profeti non hanno profetizzato che in vista dei giorni messianici, mentre il mondo a venire nessun occhio l'ha mai veduto, all'infuori di Te, o Dio».”

Questa interpretazione dei Maestri — che distingue il mondo a venire dall'era messianica — richiama le parole di Yeshùa, riferite al messia: “Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo.” (Gv 3:13).

L'Introduzione di Maimonide inizia così:

“Tutto Israele ha parte nel mondo a venire, come è detto: “E il tuo popolo è tutto quanto composto di giusti, che possederanno per l'eternità la terra*, germoglio che Io ho piantato, opera delle Mie mani di cui mi glorio» [Is 60:21]”.

* “Cioè: la terra della vita, della vera vita, quella, appunto, del "mondo a venire", conformemente al verso: "Se non avessi la certezza di contemplare il bene nella terra della vita..." (Sl 27:13).” (Giuseppe Laras).

La Scrittura non è un "libro aperto", va letta, interpretata, capita; e comunque, pur volendo restare il più possibile oggettivi, la fede influenza sempre (o l'assenza di fede). Non è possibile fare completamente a meno della fede, nello studio della Bibbia, poiché si tratta di un messaggio originante da Dio, e senza fede Dio non esiste in noi, dunque neppure la Sua parola esiste in noi. Senza una certa fede, sarà impossibile comprendere verità ineffabili che la Scrittura ci rivela in parte; con la fede (ma non il fideismo!), si potranno comprendere quelle verità - per quanto possiamo - e fare anche un passo indietro ogni qual volta è il caso di leggere il testo obbiettivamente, a prescindere dalla fede. Chi non crede nell'immortalità dell'uomo (che è "anima vivente", non anima "morente"), non leggerà mai nella Scrittura alcun riferimento alla vita eterna del mondo a venire; chi crede che Dio crea l'uomo perché sia "vivente", troverà nella Scrittura l'enunciazione della vita ultraterrena. La Scrittura parla ad ognuno di noi a seconda della nostra disposizione. Come spiega Maimonide, conformemente a Yeshùa e ad Apocalisse, secondo il pensiero ebraico "essere morto" ed "essere vivo" non riguardano puramente la morte fisica e la vita fisica; un ingiusto che vive è in realtà morto, mentre un giusto morto è in realtà vivo (T.D. Berachoth 18b).

“Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; ma tu va' ad annunciare il regno di Dio” — Lc 9:60

“chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” — Gv 5:24

“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” — Gv 11:25

“Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. [...] E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. I libri furono aperti, e fu aperto anche un altro libro che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le loro opere.” — Ap 20:5,12

Leggendo il Tanach, troverai molti riferimenti alla "vita" e alla "morte". Come si distingue se si tratta di vita e morte terrene o ultraterrene? Dal contesto, ma non sempre. A volte è chiaro, a volte no, ma la propria fede ci influenza nell'interpretazione. Se non credi che Dio ha il potere e la volontà di far vivere l'uomo, ogni riferimento alla vita sarà relegato alla vita terrena, che prevede sempre la morte. Yeshùa, come molti maestri di Israele, credeva che l'uomo vivrà.

“Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio.” — Ap 2:7
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