Gualtiero ha scritto: ↑sabato 23 settembre 2023, 21:51
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Anni fa feci una approfondita ricerca sulla etimologia di θεός. Il termine rimane comunque di etimologia incerta. Però ho fatto delle scoperte che mi hanno portato a capire che theos non ha propriamente il significato di Dio. Ne parlerò un po' quando darò la risposta a Gianni.
Per quanto riguarda la fonte che chiedi non so che dirti erano dei miei appunti.
Comunque non credo sia difficile trovarla. Fai una ricerca inserendo -Károly Kerényi e "θεός"-
Ho insegnato per alcuni anni privatamente letteratura poetica e drammatica per lo spettacolo.
Non ho mai incontrato nei testi consultati una sovrapposizione dei termini teatro e dio/dei.
Anche io ho una etimologia alternativa: dal vedico Dyauh. Funzionerebbe tutto, eppure, anche se fosse, non si porta dietro del tutto il significato.
Un tempo lo dicevo solo io e pareva fossi matta, fantasiosa, 'gnurant e soprattutto new age, ora lo dice pure la
wikipedia
Nelle lingue di origine latina come l'italiano (dio), il francese (dieu) e lo spagnolo (dios), il termine deriva dal latino deus (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di divus, "splendente", e dies, "giorno") proveniente dal termine indoeuropeo ricostruito *deiwos. Il termine "dio" è connesso quindi con la radice indoeuropea: *div/*dev/*diu/*dei, che ha il valore di "luminoso, splendente, brillante, accecante", collegata ad analogo significato con il sanscrito dyáuh. Allo stesso modo si confronti il greco δῖος e il genitivo di Ζεύς [Zèus] è Διός [Diòs], il sanscrito deva, l'aggettivo latino divus, l'ittita šiu.
Il problema è che quando un termine, meglio, un suono, trasmigra, sempre meno si porta dietro il suo significato, ma è più facile che ne venga spompato per poi essere rimpompato con nuovi significati (questa è Linguistica). Tanto poco conterebbe la radice originaria che lo stesso termine, 'dio', con il concetto moderno, in inglese è god, ed allo stesso modo i suoi significati o parte di essi possono tranquillamente essere attribuiti ad altra radice, fra le lingue dell'est europeo la radice bor o bog, la radice jum, dum, la radice got, gut, gud, god, che hanno provenienza diversa e non possono essere ricondotte a diauh o dev, e traducono da secoli l'ebraico Elohim e HaShem.
Tutto ciò si vede molto bene anche considerando che la derivazione diauh/diaus è piuttosto certa per Zeus, ma, nonostante ciò, Zeus conserva del Dyauh (notare il suono ya-uh) vedico solo qualche caratteristica, tutto sommato molto poco, tanto è vero che è un dio fra gli dèi, al vertice di un pantheon come 'padre/origine' degli stessi, ma Dyaus è qualcosa di diverso, in quanto è l'attività creante, ovvero il dio unico in 'stato' attivo, e, si, crea anche le 'divinità', che sono potenze (sono un po' come dei malachim) che a loro volta producono l'esistente (e questo attraverso il completo sacrificio del SenzaNome, ovvero lo stesso Dyaus in stato passivo, cioè ciò che esisteva quando nessuna cosa esisteva); ma nella mitologia e nella religione greca i particolari della creazione vedica vanno per lo più perduti e anche l'identità di Dyauh che presto va a sovrapporsi ad Indra, una sorta di Zeus indiano).
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Un altro elemento di linguistica che devi considerare è la formazione del termine tecnico che, ovunque, avviene in due modi:
- conio di un nuovo termine
- prestito dal linguaggio comune o anche da altro linguaggio tecnico, spompaggio dei suo sensi e rimpompaggio di nuovi sensi;
Il teatro greco lo devi considerare un ambito tecnico, gli ambienti ebraico-ellenistici che utilizzavano il linguaggio greco così come è stato utilizzato nella traduzione dei Settanta li devi considerare un altro ambiente tecnico, e tutto ciò che attiene al religioso greco un altro ambiente tecnico ancora (questo secondo è tecnico solo rispetto alle possibili destrutturazioni dei sensi del linguaggio comune delle classi meno erudite, di fatto anche questo è un modo per un 'crearsi' di termine tecnico, un modo un po' anomalo, infatti non è menzionato nei processi linguistici in questo modo ma allo stato dei fatti è così).
Perciò quando da quest'ultimo il termine theos esce dal linguaggio religioso del mito e del culto ed entra nel linguaggio teatrale viene spompato di alcuni significati e ricaricato di altri.
Perciò questo "«è specificatamente greco dire di un evento: "È theós!»" è sicuramente vero, ma solo ed esclusivamente nel suo contesto e nell'epoca in cui ciò avviene.
Ti faccio presente che in più civiltà si assiste a grandi cambiamenti nel momento in cui il religioso sale sul palcoscenico teatrale il quale muta il percepito religioso (e questo avviene in India come in Grecia).
Quando siamo nel teatro greco ti ricordo che siamo in un'altra religione di fatto, anche se questa sembri parlarando della prima, essere lo stesso, in realtà è un modo radicalmente differente che sposta ciò che appariva esterno, e quindi proiettato, all'interno della coscienza.
Qui siamo in due processi, quello estetico, e quello catartico.
Quando si mette in moto il processo catartico, cioè quando sono guarito, non credo più negli dèi.
E non è un caso che alcune religioni ostino alla teatralizzazione, che è un processo di sviluppo ed assunzione di coscienza come quello del bambino che inizia a distinguere fra realtà e fantasia attraverso la favola.
Certamente anche il 'vedere' ha a che fare con il religioso e con il dio (vedere il dio, ma soprattutto essere visti dal dio), e qui non mi addentro perchè altrimenti poi non mi ferma più nessuno. Tuttavia no, non è il dio. Il senso si stacca e diventa autonomo.
C'è un ultimo elemento da considerare che è lo scrittore e lo scritto ambiguo, che mentre comunica ai suoi, però strizza l'occhiolino quasi a far credere qualcosa a quegli altri che potrebbero leggere quelle cose. Sono mascheramenti che vengono molto usati in ambienti culturali ove vi sia censura da temere (e fra questi fenomeni sarei propensa ad annoverare anche il linguaggio gnostico). Questo fenomeno, può essere anche involontario, ovvero è il lettore che vuole immaginare la strizzatina d'occhio, o magari non vuole ma semplicemente succede che legga secondo la propria cultura (o assenza di cultura).
E' certo, ad esempio, che il persiano che avesse conosciuto l'ebraico ed avesse letto il primo versetto di genesi, avrebbe letto be rosh itberà al posto di bereshit barà (e non è sbagliato, ovviamente), e si sarebbe detto: ah, si, è il mio dio, ok posso stare tranquillo; perchè il suo dio crea con il pensiero, nella mente, prima della manifestazione della parola.
E' vero che poi questo be rosh itberà prende talmente senso anche nell'ebraismo che lo troviamo tradotto nei testi aramaici che iniziano con beukhema, nella sua saggezza. Io adoro questo beukhema, è molto indiano.
Anni fa, prima di frequentare il primo anno del corso di Sanscrito e Indologia all'Orientale di Roma, e di conseguenza di dover avvicinare la Linguistica, avevo anche io un sacco di cose del genere che mi frullavano per la testa, di impressioni, di punti interrogativi. Mi sono tolta un sacco di dubbi.
Quindi, a meno che tu non dimostri che Giovanni in realtà avesse una doppia vita e di giorno frequentava i cristiani mentre di notte era un adoratore di Diauh ed all'alba ed all'imbrunire scrivesse invece per il teatro, per il rasoio di Occam va considerato che il suo termine theos sia specificatamente 'tecnico' e proprio del contesto della Settanta, oppure va dimostrato che invece egli in realtà fosse uno gnostico e scrivesse, in un doppio registro per ovviare censure, con un linguaggio ambiguo applicabile tanto all'ambito gnostico quanto a quello più ebraico semi-orthodosso (per quanto lo potrebbe essere qualche cristianesimo rispetto ai cristianesimi gnostici), cosa ardua perchè affermazioni straordinarie si caricano dell'onere della prova con prove altrettanto straordinarie.