Re: Gesù l'ebreo
Inviato: lunedì 16 giugno 2014, 17:42
Bellissimo tema, Sandra! Grazie per averlo proposto. Il caro Noiman, anche se non accoglie Yeshùa come messia, se vuole, potrà aiutarci davvero molto nel farci scoprire gli aspetti tipicamente giudaici che riguardano il rabbi di Nazaret.
A ciò che hai scritto, Sandra, aggiungo qualcosa sugli anni oscuri della sua infanzia, di cui i Vangeli ci danno solo pochi cenni che possiamo però approfondire.
Il figlio di Miryàm trascorse la sua infanzia a Nazaret. Luca ce ne fa un laconico accenno dicendo che “il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui” (2:40), aggiungendo poi che, dopo i dodici anni, “cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini” (2:52). “In statura” è nel greco ἡλικίᾳ (elikìa) e significa sia “età” che “statura”; è preferibile tradurre “in statura”, dato che “in età” creerebbe una tautologia; strana la traduzione di TNM: “crescita fisica”, che è tautologica e generica; il testo dice che Yeshùa diventava alto. “In grazia” è nel greco χάριτι (chàriti), che può indicare anche “in bellezza”.
Negli apocrifi (di cui non bisogna tener conto) ci si sbizzarrisce a colmare il silenzio dei Vangeli. Si tratta di pure leggende. Ci possiamo invece immaginare la vita di Yeshùa in mezzo al lavoro, succedendo come primogenito al lavoro di falegname-carpentiere del padre adottivo. Giustino, vissuto più di un secolo dopo, assicura di aver sentito parlare in Palestina di aratri, usciti nella bottega di Giuseppe, che sarebbero stati fabbricati dallo stesso Yeshùa. - J. Klausner, Jésus de Nazareth, Son temp, sa vie, sa doctrine, tradotto dall’ebraico, Paris, 1933, pag. 343.
La formazione culturale di Yeshùa avvenne (come per tutti i bambini ebrei) insieme a quella che il mondo occidentale chiamerebbe “religiosa”. In verità, era un tutt’uno. Nel vocabolario ebraico antico non esisteva neppure una parola che significasse “religione”. Gli occidentali distinguono tra vita civile e sfera religiosa, così si dice che una certa persona professa una certa religione. Per gli ebrei era un discorso assurdo: tutta la loro vita era “religione”. Ogni gesto della loro vita, ogni ora scandita della giornata, perfino quello che mangiavano era determinato dalla fede nel Dio di Israele. Era nella sinagoga che si formavano i ragazzi di allora. Il metodo ebraico d’insegnamento – praticato allora dal חזן (Khasàn) che, oltre ad intonare i cori nella sinagoga, s’interessava della educazione dei bambini – consisteva nel ripetere a memoria frasi e versetti della Scrittura fino a poterli ricordare perfettamente. Il verbo “ripetere” (שנה, shanà) indicava di conseguenza anche “imparare” e “insegnare”.
La giornata dell’ebreo era tutta imbevuta di “religiosità” (va ripetuto che questa espressione è occidentale: la vita dell’ebreo era tutta una pratica della Legge di Dio). Per ogni atto vi erano benedizioni da ripetere: quando si svegliava, nell’indossare un abito, nell’allacciarsi i sandali, nel lavarsi le mani, nel mangiare, nel bere. Vi erano benedizioni per il riposo notturno e perfino per le funzioni corporali: “Benedetto sii tu, Signore, che hai modellato l’uomo con saggezza e hai creato uscite e sfoghi”.
A Nazaret Yeshùa crebbe in conoscenza, facendo progressi come ogni bambino ebreo. È fuori luogo qui la tesi teologica secondo cui Yeshùa ebbe una conoscenza infusa e già pronta, che non poteva progredire perché già completa. Yeshùa cresceva come tutti gli esseri umani. Questo aspetto rende Yeshùa molto più vicino a noi che non tutte le speculazioni teologiche.
A ciò che hai scritto, Sandra, aggiungo qualcosa sugli anni oscuri della sua infanzia, di cui i Vangeli ci danno solo pochi cenni che possiamo però approfondire.
Il figlio di Miryàm trascorse la sua infanzia a Nazaret. Luca ce ne fa un laconico accenno dicendo che “il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui” (2:40), aggiungendo poi che, dopo i dodici anni, “cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini” (2:52). “In statura” è nel greco ἡλικίᾳ (elikìa) e significa sia “età” che “statura”; è preferibile tradurre “in statura”, dato che “in età” creerebbe una tautologia; strana la traduzione di TNM: “crescita fisica”, che è tautologica e generica; il testo dice che Yeshùa diventava alto. “In grazia” è nel greco χάριτι (chàriti), che può indicare anche “in bellezza”.
Negli apocrifi (di cui non bisogna tener conto) ci si sbizzarrisce a colmare il silenzio dei Vangeli. Si tratta di pure leggende. Ci possiamo invece immaginare la vita di Yeshùa in mezzo al lavoro, succedendo come primogenito al lavoro di falegname-carpentiere del padre adottivo. Giustino, vissuto più di un secolo dopo, assicura di aver sentito parlare in Palestina di aratri, usciti nella bottega di Giuseppe, che sarebbero stati fabbricati dallo stesso Yeshùa. - J. Klausner, Jésus de Nazareth, Son temp, sa vie, sa doctrine, tradotto dall’ebraico, Paris, 1933, pag. 343.
La formazione culturale di Yeshùa avvenne (come per tutti i bambini ebrei) insieme a quella che il mondo occidentale chiamerebbe “religiosa”. In verità, era un tutt’uno. Nel vocabolario ebraico antico non esisteva neppure una parola che significasse “religione”. Gli occidentali distinguono tra vita civile e sfera religiosa, così si dice che una certa persona professa una certa religione. Per gli ebrei era un discorso assurdo: tutta la loro vita era “religione”. Ogni gesto della loro vita, ogni ora scandita della giornata, perfino quello che mangiavano era determinato dalla fede nel Dio di Israele. Era nella sinagoga che si formavano i ragazzi di allora. Il metodo ebraico d’insegnamento – praticato allora dal חזן (Khasàn) che, oltre ad intonare i cori nella sinagoga, s’interessava della educazione dei bambini – consisteva nel ripetere a memoria frasi e versetti della Scrittura fino a poterli ricordare perfettamente. Il verbo “ripetere” (שנה, shanà) indicava di conseguenza anche “imparare” e “insegnare”.
La giornata dell’ebreo era tutta imbevuta di “religiosità” (va ripetuto che questa espressione è occidentale: la vita dell’ebreo era tutta una pratica della Legge di Dio). Per ogni atto vi erano benedizioni da ripetere: quando si svegliava, nell’indossare un abito, nell’allacciarsi i sandali, nel lavarsi le mani, nel mangiare, nel bere. Vi erano benedizioni per il riposo notturno e perfino per le funzioni corporali: “Benedetto sii tu, Signore, che hai modellato l’uomo con saggezza e hai creato uscite e sfoghi”.
A Nazaret Yeshùa crebbe in conoscenza, facendo progressi come ogni bambino ebreo. È fuori luogo qui la tesi teologica secondo cui Yeshùa ebbe una conoscenza infusa e già pronta, che non poteva progredire perché già completa. Yeshùa cresceva come tutti gli esseri umani. Questo aspetto rende Yeshùa molto più vicino a noi che non tutte le speculazioni teologiche.