Ciao Arianna, Mattia credo sia fuori sede nel weekend, allora intanto ti rispondo io.
Qual'è il significato di intercessore riferito a Yeshùa? Se lui è l'intercessore e le nostre preghiere le rivolgiamo direttamente a Dio, in cosa si esplica allora la sua intercessione?
L'intercessione riguarda la salvezza, non la preghiera. Se Dio è l'unico uditore di preghiera (Sl 65:2;66:19) ed è onnipotente, sarebbe assurdo che avesse bisogno di un mediatore per udire le preghiere ed esaudirle, secondo la Sua volontà. Il Cristo svolge funzione di mediatore per quanto riguarda il peccato e la salvezza che ci è concessa per grazia in virtù del sacrificio espiatorio che libera l'uomo dalla condizione di morte:
“Perciò egli può
salvare perfettamente quelli che
per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per
intercedere per loro.” (Eb 7:25)
“Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e
se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un
avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.” (1Gv 2:1)
“Me infelice! Chi mi
libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.” (Rm 7:24,25
Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò
Gv 14:14 è un versetto dubbio, che contiene varianti (με, "mi") e non compare in alcuni manoscritti. L'omissione del versetto intero potrebbe essere dovuta ad una disattenzione degli occhi dello scriba, che saltano da ἐάν del v. 14 ad ἐάν del v. 15. Ma anche se fosse genuino, il με ("mi") è senz'altro un'aggiunta. Se tu chiedi qualcosa a qualcuno, non puoi farlo nel nome della stessa persona a cui chiedi, ma in nome di un'altra persona. Il pronome personale “mi” (με, me) è stato aggiunto al testo originale successivamente (infatti, non compare su tutti i manoscritti e in Gv 16:23 Yeshùa afferma che bisogna chiedere a Dio, non a lui). Se io ti dicessi: “in tuo nome, Arianna, ti chiedo di rispondere alla mia domanda”, non avrebbe alcun senso.
E poi perché gli apostoli dovevano pregare in un modo e i credenti in un'altro? Forse che le preghiere degli apostoli erano speciali?
Agli apostoli non dice come pregare, dice che Dio li ascolterà sempre. Quando Yeshùa insegna a pregare
ai discepoli e a tutti gli ascoltatori venuti per udirlo (Lc 6:18), insegna a tutti allo stesso modo e non dice di farlo in suo nome: “voi pregate così”. Il verbo è προσεύχομαι (prosèukomai), e significa precisamente “offrire preghiere”. Quando dice
ai dodici (i presenti alla cena) che qualunque cosa chiederanno sarà loro concessa, dice: “E quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio” (Gv 14:13). Il verbo è αἰτέω (aitèo), “richiedere”, “desiderare”, tipo chiedere che un malato guarisca; tali miracoli non venivano concessi tramite la preghiera, ma tramite autorità. Non si riferisce strettamente alla preghiera, ma al fatto che agli apostoli fu concessa autorità di “legare e sciogliere” (Mt 18:18); qual'era lo scopo dell'investimento di tale autorità? Che il Padre fosse glorificato nel figlio (Gv 14:13), ossia che la messianicità di Yeshùa fosse resa palese attraverso il realizzarsi di opere e miracoli, affinché la gente credesse in Yeshùa. Altrimenti, la gente avrebbe dovuto fidarsi di loro sulla parola, senza alcuna certezza, e difficilmente la fede e la chiesa avrebbero potuto nascere. La malattia di Lazzaro (questo è solo uno di molti esempi) servì affinché Yeshùa potesse manifestare la potenza di Dio e la gente credesse nella sua messianicità:
“Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato” (Gv 11:4).
Altro episodio significativo. Pietro e Giovanni guariscono uno storpio nei pressi del Tempio e tutti sono pieni di meraviglia come se i due possedessero poteri divini; Pietro dice: “Uomini d'Israele, perché vi meravigliate di questa guarigione? Voi ci guardate come se fossimo stati noi a far camminare quest'uomo, noi con le nostre forze e con le nostre preghiere. Invece è stato Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri. Con questa guarigione Dio ha manifestato il glorioso potere di Gesù, suo servo.” (At 3:12,13, TILC)
Yeshùa e gli apostoli non guarivano pregando, ma dicedo semplicemente “alzati e cammina”; gli apostoli lo facevano “in nome di Yeshùa”, in virtù della sua messianicià. Gli apostoli (= "inviati") ricevettero l'autorità direttamente da Dio nel giorno della Pentecoste, e furono scelti da Yeshùa per far nascere la fede e dare vita alla chiesa. Per questo, loro potevano chiedere qualsiasi cosa, e per questo Giovanni, autore del Vangelo, afferma nella sua prima lettera
rivolta ai credenti che ogni cosa è concessa ai credenti “secondo la volontà di Dio”, e non a prescindere (1Gv 5:14); mentre nel Vangelo, Yeshùa dice ai dodici che ogni cosa da loro chiesta sarà concessa; ma lui parla agli apostoli, appunto, non ai credenti. Il fatto che Giovanni, nella lettera ai credenti, affermi che le loro preghiere vengono esaudite “secondo la volontà di Dio”, è un altro discorso, che nulla c'entra con le istruzioni rivolte ai dodici durante l'ultima cena condivisa con il Maestro.