Gv 14:12 ss
Inviato: venerdì 3 aprile 2015, 3:53
Gv 14:12 ss
καὶ ὅ τι ἂν αἰτήσητε ἐν τῷ ὀνόματί μου, τοῦτο ποιήσω, ἵνα δοξασθῇ ὁ Πατὴρ ἐν τῷ Υἱῷ.
e quello che chiederete nel mio nome io lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Questo versetto (14:13) è strettamente legato al precedente, in cui leggiamo:
ἀμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν, ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ τὰ ἔργα ἃ ἐγὼ ποιῶ κἀκεῖνος ποιήσει, καὶ μείζονα τούτων ποιήσει, ὅτι ἐγὼ πρὸς τὸν Πατέρα πορεύομαι·
In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, anzi ne farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre;
Yeshua ci sta dicendo che chi crede in lui farà opere come le sue o addirittura più grandi delle sue, e questo è determinato dalla sua prossima condizione, alla destra del Padre. Yeshua aveva solo il Padre e nessun intercessore, mentre chi crede in Yeshua avrà lui come intercessore presso il Padre. La potente intercessione di Yeshua renderà possibile la realizzazione di ogni preghiera e di opere anche maggiori di quelle che lui ci ha già mostrate. Allo stesso tempo, pur parlando ai discepoli, non sembra che le sue parole siano dirette soltanto a loro, ma a tutti coloro che crederanno in lui (ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ, o pistéuon eis emè, "il credente in me" in generale). Infatti, nella sua bellissima preghiera (17:20-21), Yeshua non prega solo per i discepoli presenti, ma "anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro parola".
Il versetto 12 si conclude con "perché io vado al Padre", e prosegue nel versetto 13, in cui la congiunzione καὶ (kài) indica continuazione. Il senso copulativo della congiunzione ci indica la continuazione del discorso, per cui ciò che segue completa il significato di ciò che precede. Nel versetto 13 leggiamo ὅ τι ἂν αἰτήσητε ἐν τῷ ὀνόματί μου, τοῦτο ποιήσω, "quello che chiederete nel mio nome io lo farò", il che sembra indicare che Yeshua sia di fatto l'esecutore delle nostre preghiere, il tutto apparentemente confermato dal versetto 14, in cui leggiamo ἐάν τι αἰτήσητέ με ἐν τῷ ὀνόματί μου ἐγὼ ποιήσω, "se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò". In realtà le cose non sono come sembrano. Partiamo da quest'ultimo versetto, che ho già trattato precedentemente.
Il versetto è da considerarsi dubbio, in quanto il pronome personale με (me) non si trova nel Codice Alessandrino (A del V secolo), nel Codice Beza (D del V secolo), nella Vetus latina (II secolo), nel Codice Cyprius (K del IX secolo), nel Codice Regius (L del VIII secolo), nel Codice Athous Laurae (Ψ del VIII secolo), nel Codice Petropolitanus (П del IX secolo) e nel Textus Receptus (XVI secolo).
La Nuova Riveduta include la particella "me" e traduce "Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò". Anche la CEI, naturalmente in quanto trinitaria, accetta la particella. La Diodati invece non la presenta, e neppure la Nuova Diodati e La Luzzi/Riveduta. Ora, quando si chiede qualcosa a qualcuno a nome di un terzo, lo si fa appunto a nome di un terzo (o a proprio nome), non a nome della stessa persona a cui si sta ponendo la domanda. Dire "se mi chiederete in mio nome" non è solo sbagliato ma non ha alcun senso. Appurato che la particella pronominale με (me) è spuria, resta quel ποιήσω (poièso) alla fine che sembra richiamare il precedente al versetto 13. Eliminando la particella pronominale, avremmo: "se chiederete qualcosa in mio nome, io [la] farò". La maggioranza dei manoscritti riporta ἐγὼ ποιήσω (egò poièso), alcuni riportano τοῦτο ποιήσω (tùto poièso, farò questo), come al versetto 13. Questa ulteriore discordanza nei manoscritti fa pensare che l'intero versetto sia spurio e che sia stato aggiunto a posteriori; infatti, molte versioni antiche omettono l'intero versetto. Ma cosa dire del versetto 13? Anch'esso riporta un τοῦτο ποιήσω (io farò questo) che sembra essere assolutamente genuino.
Prendiamo in esame il verbo ποιήσω (poièso). Il significato più diretto è "fare", ma le Scritture usano questo verbo con molte sfumature diverse. Oltre che "fare", può essere reso anche con "compiere, portare a termine, realizzare, rendere effettivo", come in una promessa (1Tes 5:24) o nel senso di "agire, intraprendere" (2Cor 8:10). Riprendiamo il versetto 13 e proviamo a tradurre: "quello che chiederete nel mio nome io lo porterò a termine (renderò effettivo), affinché il Padre sia glorificato nel Figlio". Essendo questa frase la prosecuzione del versetto 12, grazie alla congiunzione καὶ, leggiamo quindi i due versetti insieme: "In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, anzi ne farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre; e quello che chiederete nel mio nome io lo realizzerò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio." Qui Yeshua ci fa una promessa: qualsiasi cosa chiederemo al Padre in SUO nome, lui intercederà per noi e farà in modo che si realizzi, ossia che il Padre la realizzi, affinché sia glorificato in Yeshua. Il senso è questo: "io vado al Padre e chi chiederà in mio nome prometto di accontentare, perché il Figlio glorifichi il Padre". Yeshua glorifica il Padre perché è lui il mezzo tra il Padre e noi, tra le nostre preghiere e la loro realizzazione. Lui è l'unica via. Ma non è Yeshua che realizza, in quanto lui opera nell'atto di intercessione; qui sta la potenza che abbiamo dalla nostra parte: la promessa di intercessione di Yeshua, e il Padre realizza. Yesua mantiene la sua promessa e non ci abbandona, anzi diventa per noi garanzia assoluta, se crediamo in lui. Egli è la sola via al Padre.
A conferma che è solo il Padre che realizza, "In verità, in verità vi dico che tutto ciò che domanderete al Padre nel mio nome, egli ve lo darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa." Gv 16:23-24
καὶ ὅ τι ἂν αἰτήσητε ἐν τῷ ὀνόματί μου, τοῦτο ποιήσω, ἵνα δοξασθῇ ὁ Πατὴρ ἐν τῷ Υἱῷ.
e quello che chiederete nel mio nome io lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Questo versetto (14:13) è strettamente legato al precedente, in cui leggiamo:
ἀμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν, ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ τὰ ἔργα ἃ ἐγὼ ποιῶ κἀκεῖνος ποιήσει, καὶ μείζονα τούτων ποιήσει, ὅτι ἐγὼ πρὸς τὸν Πατέρα πορεύομαι·
In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, anzi ne farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre;
Yeshua ci sta dicendo che chi crede in lui farà opere come le sue o addirittura più grandi delle sue, e questo è determinato dalla sua prossima condizione, alla destra del Padre. Yeshua aveva solo il Padre e nessun intercessore, mentre chi crede in Yeshua avrà lui come intercessore presso il Padre. La potente intercessione di Yeshua renderà possibile la realizzazione di ogni preghiera e di opere anche maggiori di quelle che lui ci ha già mostrate. Allo stesso tempo, pur parlando ai discepoli, non sembra che le sue parole siano dirette soltanto a loro, ma a tutti coloro che crederanno in lui (ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ, o pistéuon eis emè, "il credente in me" in generale). Infatti, nella sua bellissima preghiera (17:20-21), Yeshua non prega solo per i discepoli presenti, ma "anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro parola".
Il versetto 12 si conclude con "perché io vado al Padre", e prosegue nel versetto 13, in cui la congiunzione καὶ (kài) indica continuazione. Il senso copulativo della congiunzione ci indica la continuazione del discorso, per cui ciò che segue completa il significato di ciò che precede. Nel versetto 13 leggiamo ὅ τι ἂν αἰτήσητε ἐν τῷ ὀνόματί μου, τοῦτο ποιήσω, "quello che chiederete nel mio nome io lo farò", il che sembra indicare che Yeshua sia di fatto l'esecutore delle nostre preghiere, il tutto apparentemente confermato dal versetto 14, in cui leggiamo ἐάν τι αἰτήσητέ με ἐν τῷ ὀνόματί μου ἐγὼ ποιήσω, "se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò". In realtà le cose non sono come sembrano. Partiamo da quest'ultimo versetto, che ho già trattato precedentemente.
Il versetto è da considerarsi dubbio, in quanto il pronome personale με (me) non si trova nel Codice Alessandrino (A del V secolo), nel Codice Beza (D del V secolo), nella Vetus latina (II secolo), nel Codice Cyprius (K del IX secolo), nel Codice Regius (L del VIII secolo), nel Codice Athous Laurae (Ψ del VIII secolo), nel Codice Petropolitanus (П del IX secolo) e nel Textus Receptus (XVI secolo).
La Nuova Riveduta include la particella "me" e traduce "Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò". Anche la CEI, naturalmente in quanto trinitaria, accetta la particella. La Diodati invece non la presenta, e neppure la Nuova Diodati e La Luzzi/Riveduta. Ora, quando si chiede qualcosa a qualcuno a nome di un terzo, lo si fa appunto a nome di un terzo (o a proprio nome), non a nome della stessa persona a cui si sta ponendo la domanda. Dire "se mi chiederete in mio nome" non è solo sbagliato ma non ha alcun senso. Appurato che la particella pronominale με (me) è spuria, resta quel ποιήσω (poièso) alla fine che sembra richiamare il precedente al versetto 13. Eliminando la particella pronominale, avremmo: "se chiederete qualcosa in mio nome, io [la] farò". La maggioranza dei manoscritti riporta ἐγὼ ποιήσω (egò poièso), alcuni riportano τοῦτο ποιήσω (tùto poièso, farò questo), come al versetto 13. Questa ulteriore discordanza nei manoscritti fa pensare che l'intero versetto sia spurio e che sia stato aggiunto a posteriori; infatti, molte versioni antiche omettono l'intero versetto. Ma cosa dire del versetto 13? Anch'esso riporta un τοῦτο ποιήσω (io farò questo) che sembra essere assolutamente genuino.
Prendiamo in esame il verbo ποιήσω (poièso). Il significato più diretto è "fare", ma le Scritture usano questo verbo con molte sfumature diverse. Oltre che "fare", può essere reso anche con "compiere, portare a termine, realizzare, rendere effettivo", come in una promessa (1Tes 5:24) o nel senso di "agire, intraprendere" (2Cor 8:10). Riprendiamo il versetto 13 e proviamo a tradurre: "quello che chiederete nel mio nome io lo porterò a termine (renderò effettivo), affinché il Padre sia glorificato nel Figlio". Essendo questa frase la prosecuzione del versetto 12, grazie alla congiunzione καὶ, leggiamo quindi i due versetti insieme: "In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, anzi ne farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre; e quello che chiederete nel mio nome io lo realizzerò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio." Qui Yeshua ci fa una promessa: qualsiasi cosa chiederemo al Padre in SUO nome, lui intercederà per noi e farà in modo che si realizzi, ossia che il Padre la realizzi, affinché sia glorificato in Yeshua. Il senso è questo: "io vado al Padre e chi chiederà in mio nome prometto di accontentare, perché il Figlio glorifichi il Padre". Yeshua glorifica il Padre perché è lui il mezzo tra il Padre e noi, tra le nostre preghiere e la loro realizzazione. Lui è l'unica via. Ma non è Yeshua che realizza, in quanto lui opera nell'atto di intercessione; qui sta la potenza che abbiamo dalla nostra parte: la promessa di intercessione di Yeshua, e il Padre realizza. Yesua mantiene la sua promessa e non ci abbandona, anzi diventa per noi garanzia assoluta, se crediamo in lui. Egli è la sola via al Padre.
A conferma che è solo il Padre che realizza, "In verità, in verità vi dico che tutto ciò che domanderete al Padre nel mio nome, egli ve lo darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa." Gv 16:23-24