Caro Gianni, questa sera leggendo i versetti di Luca 22: 15-20 ho notato che si parla di due calici.
È chiaro che il calice citato nel v.20 è quello che Gesù usò per istituire la cosiddetta " cena del Signore".
Però non ho capito perché viene menzionato un altro calice al v.17.
Qual'era lo scopo del suo utilizzo?
Era sempre legato alla cena del Signore?
Perché due calici?
Perché due calici?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
Carl Gustav Jung
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Re: Perché due calici?
Caro Trizzi, per rispondere alle tue domande occorre esaminare il testo originale greco. Mai, come in questi casi, il greco si rivela decisivo, perché esso fa degli articoli determinativi un uso molto preciso.
Immaginiamo intanto la scena: Yeshùa e i suoi sono a tavola, coricati a terra su in lato, come si usava al tempo. Ognuno aveva ovviamente il suo calice. Durante la cena - dice Lc 22:17 - Yeshùa, “accettando un calice, rese grazie e disse: «Prendete questo e passatelo l’uno all’altro fra voi …»”. Questa traduzione, che è di TNM, va analizzata. Una cosa, comunque, è tradotta benissimo: “un calice”, perché il testo greco non ha l’articolo determinativo. Se lo avesse, il testo farebbe riferimento ad un calice specifico: quello di Yeshùa o uno menzionato poco prima. Si trattò quindi di “un calice” indeterminato. Dai racconti paralleli di Mt 26 e Mr 14 sappiamo che ciò avvenne durante quell’ultima cena; da Lc 20:20 sappiamo che avvenne nel dopocena. All’inizio del v. 17 TNM traduce “accettando un calice”; il verbo greco è δεξάμενος (decsàmenos): il verbo δέχομαι (dècsomai) può significare “prendere” oppure “ricevere”. Data l’indeterminatezza del calice (“un calice”), possiamo escludere “prendere”, perché il tal caso avrebbe preso il suo e il greco metterebbe l’articolo. Non possiamo neppure pensare che prendesse il calice di un altro. Non rimane quindi che “ricevere”: uno dei presenti gli porse un calice e lui lo accettò. Il verbo δέχομαι (dècsomai) ci dice molto di più, perché si tratta di un participio al tempo aoristo, che indica l’azione colta in un momento specifico; il senso è che d’un tratto accettò quel calice. C’è come un cambiamento: quel gesto segna l’inizio di qualcosa. E infatti Yeshùa non si limita ad assecondare un gesto amichevole, ma ne prende spunto per istituire quella che Paolo chiamerà “la cena del Signore”.
Al successivo v. 19 è detto che “preso un pane …” (TNM), λαβὼν ἄρτον (labòn àrton): di nuovo un sostantivo senza articolo e di nuovo un participio all’aoristo: letteralmente “avente d’un tratto preso un pane [o del pane]”.
Questa volta l’iniziativa parte da lui e prende un pane qualsiasi dalla tavola e completa l’istituzione della “cena del Signore” aggiungendo al vino il pane.
“E il calice nella stessa maniera”, traduce TNM al v. 20, rivelandosi di nuovo accurata e precisa, perché il greco ha qui l’articolo determinativo τὸ (tò), “il”. Tale articolo fa riferimento ad un calice specifico: è quello del v. 17.
Immaginiamo intanto la scena: Yeshùa e i suoi sono a tavola, coricati a terra su in lato, come si usava al tempo. Ognuno aveva ovviamente il suo calice. Durante la cena - dice Lc 22:17 - Yeshùa, “accettando un calice, rese grazie e disse: «Prendete questo e passatelo l’uno all’altro fra voi …»”. Questa traduzione, che è di TNM, va analizzata. Una cosa, comunque, è tradotta benissimo: “un calice”, perché il testo greco non ha l’articolo determinativo. Se lo avesse, il testo farebbe riferimento ad un calice specifico: quello di Yeshùa o uno menzionato poco prima. Si trattò quindi di “un calice” indeterminato. Dai racconti paralleli di Mt 26 e Mr 14 sappiamo che ciò avvenne durante quell’ultima cena; da Lc 20:20 sappiamo che avvenne nel dopocena. All’inizio del v. 17 TNM traduce “accettando un calice”; il verbo greco è δεξάμενος (decsàmenos): il verbo δέχομαι (dècsomai) può significare “prendere” oppure “ricevere”. Data l’indeterminatezza del calice (“un calice”), possiamo escludere “prendere”, perché il tal caso avrebbe preso il suo e il greco metterebbe l’articolo. Non possiamo neppure pensare che prendesse il calice di un altro. Non rimane quindi che “ricevere”: uno dei presenti gli porse un calice e lui lo accettò. Il verbo δέχομαι (dècsomai) ci dice molto di più, perché si tratta di un participio al tempo aoristo, che indica l’azione colta in un momento specifico; il senso è che d’un tratto accettò quel calice. C’è come un cambiamento: quel gesto segna l’inizio di qualcosa. E infatti Yeshùa non si limita ad assecondare un gesto amichevole, ma ne prende spunto per istituire quella che Paolo chiamerà “la cena del Signore”.
Al successivo v. 19 è detto che “preso un pane …” (TNM), λαβὼν ἄρτον (labòn àrton): di nuovo un sostantivo senza articolo e di nuovo un participio all’aoristo: letteralmente “avente d’un tratto preso un pane [o del pane]”.
Questa volta l’iniziativa parte da lui e prende un pane qualsiasi dalla tavola e completa l’istituzione della “cena del Signore” aggiungendo al vino il pane.
“E il calice nella stessa maniera”, traduce TNM al v. 20, rivelandosi di nuovo accurata e precisa, perché il greco ha qui l’articolo determinativo τὸ (tò), “il”. Tale articolo fa riferimento ad un calice specifico: è quello del v. 17.
Re: Perché due calici?
Grazie Gianni!
Quindi fermo restando che il calice del versetto 17 e 20 era sempre lo stesso, c'è da dire che i due passaggi di vino dentro lo stesso calice sono due eventi distinti.
Ecco allora una seconda domanda:
quale significato dobbiamo dare al primo gesto compiuto da Gesù di far bere del vino ai suoi discepoli? Era forse un semplice invito a bere?
Se penso che prima rese grazie e poi pronunciò le parole del v.18 mi viene spontaneo pensare che sia qualcosa che va oltre a un semplice invito.
Tu cosa pensi?
Quindi fermo restando che il calice del versetto 17 e 20 era sempre lo stesso, c'è da dire che i due passaggi di vino dentro lo stesso calice sono due eventi distinti.
Ecco allora una seconda domanda:
quale significato dobbiamo dare al primo gesto compiuto da Gesù di far bere del vino ai suoi discepoli? Era forse un semplice invito a bere?
Se penso che prima rese grazie e poi pronunciò le parole del v.18 mi viene spontaneo pensare che sia qualcosa che va oltre a un semplice invito.
Tu cosa pensi?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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Re: Perché due calici?
Caro Trizzi, durante l’ultima cena non ci fu da parte di Yeshùa un semplice invito a bere. Questa era molto probabilmente l’intenzione di chi gli offrì un calice (Lc 22:17); ciò rientrava nello spirito conviviale di quella cena tra amici. L’aoristo del verbo δεξάμενος (decsàmenos) segna un cambiamento. Se potessimo tradurre molto liberamente ma sempre rispettando il senso, ne verrebbe: ‘Quando gli fu offerto un calice, colse l’occasione e lo prese’. Il seguito mostra che egli usò il vino e il pane quali emblemi, istituendo la Cena del Signore. Se metti in colonne parallele i tre Vangeli sinottici, scopri le sequenza cronologica. Come base, tieni il racconto marciano, perché è il più antico:
Mr 14:17-26
Venuta la sera, Yeshùa si mette a tavola con i Dodici e smaschera il traditore. Durante la cena usa il pane e il vino per istituire la santa Cena. Poi escono.
Mt 26:20-30
Stessa sequenza.
Lc 22:14-39
Stessa sequenza, ma con la variante che il calice gli viene prima offerto.
Perché Luca inserisce quel particolare? Egli non era a cena con loro e quindi non fu testimone oculare, tuttavia il suo Vangelo si basò su testimoni oculari (Lc 1:1,2). Seguendo la trafila di Marco, egli incorporò nel suo scritto materiale proveniente da altri fonti, ma molto accurato.
Come giustamente dici, si trattò di due eventi distinti. Ma ben collegati. Una volta accettato il calice che gli fu offerto, rese grazie e lo fece passare tra i presenti, dicendo che non ne avrebbe più bevuto se non quando fosse arrivato il regno di Dio (Lc 22:17,18). Quel primo gesto era quindi qualcosa in più che una amichevole condivisione: era pregante del sofferto addio che stava loro dando.
Mr 14:17-26
Venuta la sera, Yeshùa si mette a tavola con i Dodici e smaschera il traditore. Durante la cena usa il pane e il vino per istituire la santa Cena. Poi escono.
Mt 26:20-30
Stessa sequenza.
Lc 22:14-39
Stessa sequenza, ma con la variante che il calice gli viene prima offerto.
Perché Luca inserisce quel particolare? Egli non era a cena con loro e quindi non fu testimone oculare, tuttavia il suo Vangelo si basò su testimoni oculari (Lc 1:1,2). Seguendo la trafila di Marco, egli incorporò nel suo scritto materiale proveniente da altri fonti, ma molto accurato.
Come giustamente dici, si trattò di due eventi distinti. Ma ben collegati. Una volta accettato il calice che gli fu offerto, rese grazie e lo fece passare tra i presenti, dicendo che non ne avrebbe più bevuto se non quando fosse arrivato il regno di Dio (Lc 22:17,18). Quel primo gesto era quindi qualcosa in più che una amichevole condivisione: era pregante del sofferto addio che stava loro dando.