Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

E dai, Brù...!
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Le interpretazioni sulla durata del regno messianico sono diverse: 40 anni, 70 anni, 365 anni, 400 anni, dalla creazione fino al tempo presente, da Noè fino al tempo presente, 7000 anni (Shanhedrin 99a). Sulle tre generazioni magari ci può dire qualcosa Besasea. Nel prossimo commento provo a fare un parallelo con le Scritture Greche, che non danno però indicazioni sulla durata, se non Ap 20:4, che parla di mille anni (ma il numero potrebbe essere simbolico). Ciò che emerge — e su cui i maestri e le Scritture Greche sono concordi — è che la durata del regno del messia avrà un limite. Mi preme evidenziare i punti di convergenza su quanto esposto dai maestri e dalle Scritture Greche riguardo all'era messianica e al mondo a venire. Cercherò di fare uno schemino ordinato.
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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Mi sa che l'era messianica la saltiamo a piedi uniti e passiamo direttamente al tempo in cui siamo tutti incorporei...ma a causa delle bombe atomiche. #:-S

Comunque Antonio è molto interessante quello che hai scritto. Sarebbe bello continuare sulla questione era messianica/mondo a venire, ampliando il confronto anche con altri maestri ebrei.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Besàseà ha scritto:Solo una di queste è però quella giusta.
Non era mia intenzione evidenziare contraddizioni, ho solo riportato ciò che è scritto.
Nella pagina citata non c'è l'idea dei mille anni, tuttavia lo si può dedurre da un'altra pagina.
Dunque il millennio è una ipotesi condivisa? Si basa sull'idea di un ciclo sabatico?
Angeli del servizio, cui lui non crede. Strano che un maestro come lui che non crede in spiriti e angeli possa poi abbracciare l'idea della incorporeità dell'anima a maggior ragione poi che elogia il metodo aristotelico e lo ritiene l'unico degno di indagare.
Maimonide, pur essendo influenzato dal pensiero aristotelico, non era razionale in senso assoluto e categorico. Il modo in cui parla rivela spiritualità e sentimento. Il fatto che gli uomini non credano ai malakim come creature esistenti in una sfera superiore non significa che non esistano; esattamente come il fatto che molti uomini intelligenti e sapienti non credono in Dio non signfica che Dio non esista. I malakim esistono; che siano uomini, eventi, pure manifestazioni di Dio o creature reali non fa alcuna differenza e non ci interessa saperlo.
Molte opposizioni sono arrivate soprattutto dal rabbino capo della Yeshiva di Bavel, la più famosa di quel periodo, che ha adddirittura interpretato come negazione della resurrezione. Questo lo spinse a scrivere un articolo a sua difesa (maamar techiat hametim)
Sono al corrente della storia riguardo alle critiche rivoltegli da R. Samuel ben Elì. Certamente, la risposta di Maimonide (il Trattato sulla Resurrezione dei morti) lascia trasparire uno stato d'animo particolare, quasi di irritazione, che non si riscontra nel suo stile usuale, pacato e sereno. L'argomentazione secondo cui ciò che Maimonide dice in Pèrek Chèlek non sarebbe corrispondente al suo pensiero solo perché fu criticato, non significa che Maimonide non credesse a ciò che scriveva, ma solo che non fu compreso o accettato. Il fatto che ciò che ho citato corrisponda perfettamente alla dottrina delle Scritture Greche (come dimostrerò in dettaglio), può significare due cose: 1. che Maimonide, nello scrivere certe cose, fu influenzato dalle Scritture Greche e si prese un "abbaglio" (cosa che risulta difficile da ipotizzare), 2. che le Scritture Greche non sono poi così lontane dal pensiero dei maestri, ma dipende molto da come le si leggono ed interpretano.
la nefesh è la mente e la facoltà di studiare
Abbiamo discusso sulla nefesh qui sul forum, con Gianni. La nefesh non è l'anima immortale, ma l'essere umano vivente. Le Scritture Greche non parlano di anima immortale. Quando Dio soffia nell'uomo lo spirito vitale, egli diviene "nefesh vivente". E quando Yeshùa resuscita, non diventa puro "spirito", perché continua a mangiare. Come mostrerò, l'era messianica descritta in Apocalisse riguarda il mondo terreno, non l'aldilà. Ma Apocalisse - come Maimonide - distingue tra era messianica (il millennio) e il mondo a venire. Si sarà preso un abbaglio? O forse è riuscito ad andare oltre i limiti di comprensione imposti?
Il fatto che siedono e hanno corone è indice che il corpo ce l'avranno...
“Ma egli non stese la sua mano contro quegli eletti dei figli d'Israele; anzi essi videro Dio, e mangiarono e bevvero.” (NR, Esodo 24)
Quel versetto si riferisce ad un evento preciso, ma può prefigurarne un altro. Ognuno può interpretare come crede, ma l'immagine è ovviamente simbolica, ad indicare la santità raggiunta dai giusti, che godono della presenza della Shekinah. Nel terzo millennio abbiamo ancora bisogno di metterci corone in testa, come facevano in epoche remote? Quando vedo la regina Elisabetta in pompa magna mi viene solo da ridere... :-) O il papa, vestito come un miscuglio tra un faraone, un sacerdote e un dio-pesce. Se Dio dimora nel tempio, come possono i santi godere della Sua presenza? Vuol dire che possono entrare nel santissimo? Non è che i santi sono solo i sommi sacerdoti, ma lo sono in senso spirituale (anche qui esiste un forte parallelo con le Scritture Greche, in cui i santi sono sacerdoti e re allo stesso tempo, e in cui Yeshùa - il primo dei risorti - è dichiarato sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek, ma è ovvio che non era un sommo sacerdote). E non sono neppure tutti re unti, poiché il re è uno solo. La presenza di Dio sarà in loro, poiché essi raggiungeranno un livello spirituale superiore; saranno tutti quanti re e sacerdoti, ma in senso spirituale. La Scrittura - data in forma scritta agli uomini nell'attuale condizione - sarà "scritta nei cuori" nel momento in cui essi raggiungono una condizione superiore; dunque, tutto ciò che fu compreso limitatamente all'attuale condizione, assumerà un significato in termini relativi ad una condizione diversa e superiore. Dio ha parlato in termini umani, perché capissimo, e ha insegnato rituali che hanno senso tra gli uomini, ma non certamente per Lui. Cosa vuoi che se ne faccia Dio di olocausti, fumo, sangue etc.? Sono tutte cose che contengono un significato simbolico e spirituale.

È proprio una brutta cosa che l'essere umano diventi finalmente come fu originariamente concepito, veramente a immagine e somiglianza di Dio, che non è fatto di carne? Per essere a immagine e somiglianza di Dio è necessario raggiungere un'elevazione spirituale, terrena prima, che garantirà a chi la raggiunge di divenire partecipe della presenza di Dio, non più attraverso un tempio costruito da uomini in cui Dio non può essere contenuto, ma direttamente.

“Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.” — 1Cor 15:28

“Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate.” — Ap 21:3,4
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da noiman »

bravo Antonio.... è un piacere leggerti
Noiman
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Israel75
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Israel75 »

Stà di fatto che l'esagramma non è biblico ma frutto di una certa mala-tradizione orale.
Come del resto il crocefisso o le statue della vergine. :-)
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Grazie Besasea, mi hai dato ottimi spunti. Abbi pazienza, è un periodo un po' così e non riesco ad organizzarmi molto bene per avere tempo di mettermi a tavolino con la Scrittura. Ma forse entro la fine di questa settimana riuscirò a fare questo raffronto Maimonide-Aristotele-Scritture Greche (adesso mi hai aggiunto anche Aristotele, dovrò tirar fuori i libri del liceo... :)) )

Un OT su Saturno. Certe arti magiche risalenti all'ermetismo utilizzano l'esagramma come simbolo d'invocazione (adorazione). La stella a sei punte, formata da due triangoli (fuoco e acqua, o aria e terra) — uno rivolto in alto (Daath) e uno in basso (Yesod) — veniva utilizzata per invocare il potere di vari pianeti, tra cui Saturno. Al centro veniva disegnato il simbolo del pianeta e l'esagramma veniva tracciato a partire dall'angolo corrispondente al pianeta. Nell'immagine del sigillo che ho inserito, vediamo al centro proprio il simbolo di Saturno (Chiun).
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Gianni
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Gianni »

Dice Besaseà: "Secondo la Bibbia Ebraica il popolo ebraico rimarrà popolo ebraico. L'unione dei due popoli riguarda le 10 tribù disperse, i quali si uniranno ai giudei, che consistono nelle tribù Giuda e Benyamin e i leviti loro compresi".

Concordo in pieno.
Su ciò ho scritto uno studio: Le tribù perdute della Casa d’Israele.
http://www.biblistica.it/wordpress/wp-c ... sraele.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;
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Gianni
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Gianni »

Segnalo anche questi altri due studi:

Le “pecore perdute della Casa d’Israele”
http://www.biblistica.it/wordpress/wp-c ... %80%9D.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;

Le “altre pecore”
http://www.biblistica.it/wordpress/wp-c ... %80%9D.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

In omaggio a Besàseà, che aspetta di leggere le mie considerazioni, ho buttato giù un'interpretazione su Berachot 17a. Si tratta solo di un pezzo di una trattazione che si profila lunga e difficile, e che mi porterà via molto tempo. Per adesso non posso fare di più, ma sarò lieto di sentire vostre critiche, correzioni e suggerimenti.
bgaluppi ha scritto:Ho evidenziato come Maimonide, nel già citato Trattato sulla Penitenza (VIII, 2), scrive che “nel mondo a venire non vi è corpo né corporeità, ma solo le anime dei giusti senza corpo come gli angeli del Servizio”. E, riferendosi ad un celebre passo talmudico (Berachoth 17a), sottolinea che “nel mondo a venire non vi è cibo, né bevanda, né procreazione..., ma i giusti siedono con le loro corone sul capo, godendo dello splendore della presenza divina”. L'espressione “con le loro corone sul capo” ha, secondo Maimonide, un significato metafisico, indicando “l'immortalità dell'anima nell'eternità dell'Intelletto Agente, che è Dio”.
Berachot 17a: “i giusti siedono con le loro corone sul capo, godendo dello splendore della presenza divina, come è detto: "E videro Dio, e mangiarono e bevvero" (Es 24:11), che significa: osservare il volto di Dio equivale a mangiare e bere.”. In Lc 6:21 è scritto: “Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.”, e Ap 7:16 dice che i giusti “Non avranno più fame e non avranno più sete”, e ancora in Mt 5:6 leggiamo “Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati”. L'essere assetati di giustizia — ossia ambire all'adempimento degli insegnamenti di Dio — non deve essere un atto opportunistico, col fine di ottenere un premio; infatti, il termine "essere assetati" non implica opportunismo, ma intimo desiderio. Ma come ogni persona affamata e assetata deve essere saziata e dissetata, il risultato è che Dio sazierà e disseterà tutti coloro che desiderano intimamente osservare e mettere in pratica i Suoi insegnamenti in modo veritiero e "santo", con purezza di intenzioni. Il premio non è dunque un obbiettivo, ma una naturale conseguenza del desiderio incondizionato di obbedire a Dio, come il fiume segue naturalmente il corso e finisce nel mare. Infatti, i maestri affermano (Avodà-Zarà 19a): “Beato l'uomo che prende gran diletto nei Suoi comandamenti” (Sl 112:1), e non "nel compenso" derivante dai Suoi comandamenti, come disse R. El'azar. Il "premio" non consiste in benedizioni terrene, o in una agognata vita eterna soprannaturale, ma nel godere pienamente della presenza di Dio, che è il bene supremo: la piena conoscenza di Dio, per quanto Egli voglia farsi conoscere.

Qui possiamo citare anche Mt 4:4, in cui Yeshùa, messo alla prova dall'accusatore, o dallo yetzer hara, cita Dt 8:3: “Sta scritto: "Non di pane soltanto vivrà l'uomo [al futuro], ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio"”. L'uomo vivrà grazie all'obbedienza alla Sua parola, che è Saggezza e Verità e conduce alla perfezione, che è completezza. E possiamo citare Lc 14:12-15, in cui Yeshùa partecipa ad una cena a casa di un fariseo: “Diceva pure a colui che lo aveva invitato: «Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta invitare te, e così ti sarebbe reso il contraccambio; ma quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato, perché non hanno modo di contraccambiare; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti». Uno degli invitati, udite queste cose, gli disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!»”. Al che, Yeshùa risponde con una parabola, in cui gli invitati ad una cena rifiutano di presentarsi adducendo delle scuse e allora il padrone di casa chiama estranei che non erano stati invitati, e poi conclude: “io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati [quelli che poi non vanno], assaggerà la mia cena”. La cena non è un premio, ma un invito, a cui ogni invitato deve rispondere con entusiasmo.

Nel mio pensiero, il significato di tutto ciò è questo che segue. Non si deve agire rettamente per avere indietro un beneficio, terreno o ultraterreno, ma si deve agire in modo da essere perfetti, come Dio è perfetto, per essere come Lui. Dio condivide la Sua mensa con chi accetta il Suo invito, dunque dipende da noi, se accettiamo oppure no: obbedire, non obbedire, essere santi, non essere santi: “Guardate, io metto oggi davanti a voi la benedizione e la maledizione” (Dt 11:26). E il risultato ultimo dell'obbedienza e della santità non è terreno, ma ultraterreno, come la piena conoscenza di Dio non può essere raggiunta in un mondo materiale. Per questo il tipo degli eletti di Israele ha un antìtipo nel mondo a venire, alla fine di questa nostra era. Chi ha il privilegio di vedere il volto di Dio è un giusto ed è un prescelto, poiché è invitato alla Sua cena, ed ha il dovere di rispondere all'invito come si conviene, per arrivare a vedere Dio. Come si può non rispondere ad un invito dell'Eterno?

Naturalmente, "vedere Dio" non è un'espressione da prendersi letteralmente, ma metaforicamente, in quanto nessuno può vedere letteralmente il volto di Dio, poiché Dio non ha un volto, né è interamente conoscibile da alcuna creatura, data la Sua trascendenza e immaterialità. Tutto ciò che è creato ha un'origine, ma Dio non ha origine, o sarebbe Lui stesso parte di ciò che è creato. Vedere il volto di Dio significa arrivare a conoscerLo pienamente per come Lui vuole rivelarsi, ossia significa che Dio decide di rivelarSi pienamente — per quanto sia concesso — a chi mette in pratica perfettamente la Sua volontà rispondendo all'invito e si "guadagna" il titolo di giusto. E ciò non può avvenire in una dimensione in cui la materia limita questa conoscenza, ma necessariamente in una dimensione nuova e diversa (nuovi cieli e nuova terra): “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5:8).

L'episodio degli eletti di Israele (Es 24:11) anticipa il momento in cui i giusti vedranno il volto di Dio e saranno saziati da Dio attraverso la Sua gloria. Quell'episodio è il tipo di cui il mondo a venire è un antìtipo (ἀντίτυπος, antìtypos); anticipa simbolicamente l'evento futuro che deve ancora accadere nella nostra temporalità, ma che è già avvenuto e già esiste ora, nel presente eterno di Dio, come afferma Maimonide in Penitenza VIII, 8. Il tipo è la rappresentazione dell'evento vero e definitivo, che è costituito dall'antìtipo. A questo fa riferimento l'insegnamento dei saggi in Berachot 17a, che Maimonide comprende perfettamente; non si tratta di vere corone, ma di raggiungimento di uno stato elevato ed ultimo; e non si tratta di mangiare e bere letterale, ma di condivisione della presenza divina, che è vero cibo e vera bevanda. Per questo, Yeshùa insegna: “Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda” (Gv 6:55) e “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete” (Gv 6:35).

Ma qui mi fermo, perché non intendo toccare il tema del sacrificio espiatorio di Yeshùa, troppo complesso per essere affrontato in questa sede. Piuttosto, mi piace soffermarmi sul concetto di condivisione della presenza divina, che non può avvenire in una dimensione materiale, ma puramente spirituale, poiché Dio non è fatto di materia, e poiché la materia è un ostacolo insormontabile alla piena percezione della Shekinah e alla conoscenza di Dio. È per questo che il corpo muore. Paolo, in relazione al mondo a venire, afferma che che in seguito alla realizzazione del Regno di Dio e alla resurrezione dei morti, cioè alla fine del mondo presente, Yeshùa — cioè il re messia — consegnerà il Regno e “Dio sarà tutto in tutti”; non "tutti saranno in Dio", poiché Dio è sempre trascendente, ma "Dio sarà in tutti", cioè tutti i giusti saranno resi partecipi della Sua presenza, nel mondo a venire: “allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.” (1Cor 15:28). Tutti i dichiarati giusti mangeranno e berranno nel mondo a venire, nella piena condivisione della presenza divina.
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