Caro Salvatore, non avevo dubbi che tu contestassi la mia esegesi. Che devo dirti? Io leggo nel testo una progressione logica e finemente psicologica. La donna samaritana all’inizio non prende Yeshùa sul serio. È stupita che lui, giudeo, parli con lei che è samaritana (e l’evangelista spiega che i giudei non trattano con i samaritani). Poi lei lo prende in giro dicendo che non ha neppure un secchio per attingere acqua e che quindi non può darne a lei. Al che Yeshùa parla di un’acqua che estingue la sete per sempre, e lei diventa allora ironica: che gliela dia, così non deve venire più ogni volta al pozzo! Siamo di fronte a una donna con il vuoto dentro, divenatata scettita e che non sa più sognare (lei ha tutta la mia incondizionata simpatia).
È a questo punto che si ha una svolta importantissima: Yeshùa la coglie sul vivo per scuoterla, facendole riconoscere il suo stato coniugale disordinato. Lei ne è scossa, ma non è ancora pronta per affrontare la sua situazione interiore, così rimanda tutto a quando verrà il messia. E qui c’è un colpo di scena incredibile: Yeshùa, che solitamente teneva nascosta la sua identità messianica, le si rivela, a lei, una donna e per giunta samaritana. È stupenda la scena di lei che lascia lì la sua brocca e scappa via.
Io non leggo alcun biasimo da parte di Yeshùa, ma solo il suo tentativo di scuoterla richiamandosi alla sua situazione familiare disordinata. C’è dietro una psicologia finissima da parte di Yeshùa. E tu vai a cercare colpe, adulteri, codicilli legali?!

Attento a non portare quella povera donna sulla pubblica piazza per lapidarla. Potresti trovarti davanti Yeshùa che neppure ti bada e che si mette a scrivere per terra, ignorandoti. E quando te ne andrai, Yeshùa si alzerà e sorriderà a quella poveretta, conquistandola per sempre, come fece proprio con la samaritana.
“Io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo” (Gv 12:47). Parola di Yeshùa.