“Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorroissa
Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro
Togliere le conseguenze della precedente malattia l'ha fatto dopo che la donna, che era coraggiosa, ha avuto ancor piu' coraggio da confessare l'accaduto. Se fosse andata via senza dire niente non sarebbe stata ristabilita ma solo guarita.
Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro
Gentile Speculator, in primo luogo un “grazie” per l’attenzione che hai voluto riservarmi e che spero tu voglia mantenere anche per il futuro, e un altro “grazie” per i tuoi utili rilievi critici. Naturalmente nella mia risposta non mi soffermerò sull'esegesi del passo evangelico, né sul suo significato teologico o spirituale: il mio vuole essere (e restare) un lavoro di carattere puramente storico. Tuttavia le tue osservazioni mi offrono l’occasione per approfondire un tema che nel mio lavoro ho toccato solo di passaggio, ma che certamente merita di essere affrontato con maggiore ampiezza: quello cioè riguardante il probabile matrimonio dell’emorroissa.
Premetto alcune note introduttive.
Come è noto, presso i Giudei il matrimonio legale si compiva, dopo alcune trattative preparatorie, con due procedimenti successivi, che erano il fidanzamento e le nozze. Il fidanzamento era il perfetto contratto legale di matrimonio, ossia il vero matrimonium ratum: quindi la donna fidanzata era già moglie, poteva ricevere la scritta di divorzio dal suo fidanzato-ma¬rito, alla morte di costui diventava regolarmente vedova, e in caso d'infedeltà era punita come vera adultera conforme alla norma del Deuteronomio, 22, 23-24; questo stato giuridico è riassunto con esattezza da Filone quando afferma che presso i Giudei, contemporanei di lui e di Gesù, il fidanzamento vale quanto il matrimonio (De special. leg., III, 12). Compiuto questo fidanzamento-matrimonio, i due fidanzati-coniugi restavano nelle rispettive famiglie ancora per qualche tempo, che di solito si protraeva fino a un anno se la fidanzata era una vergine e fino a un mese se era una vedova: questo tempo era impiegato nei preparativi per la nuova casa e per l'arre¬do familiare. Fra i due fidanzati-coniugi non avrebbero dovuto avvenire, a rigore, relazioni matrimoniali; ma in realtà queste avvenivano comunemente, come attesta la tradizione rabbinica (Ketuboth, 1, 5; Jebamòth, iv, 10; babri Ketubàth, 12 a; ecc.). Le nozze avvenivano quand'era trascorso il tempo sud¬detto, e consistevano nell'introduzione solenne della sposa in casa dello sposo: cominciava allora la coabitazione pubblica, e con ciò le formalità legali del matrimonio erano compiute. Generalmente il fidanzamento di una vergine avveniva quando essa era in età fra i 12 e i 13 anni, ma talvolta anche alquanto prima: quindi le nozze, in conseguenza di quanto si è visto sopra, cadevano di solito fra i 13 e i 14 anni. (Cfr. G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, § 231).
Dunque anche l’emorroissa, qualora fosse stata sposata, si sarebbe fidanzata appena considerata nubile, vale a dire legalmente a dodici anni e mezzo, e avrebbe contratto le nozze un anno dopo, cioè a circa 13 anni e mezzo.
Detto per inciso, ciò valse anche per Maria, e secondo Daniel Rops, quando ella dette alla luce Gesù, non doveva avere più di quattordici anni (D. Rops, La vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù, Milano 1986 pag.137).
A questo punto possiamo chiederci: quando l’emorroissa giunse all’età di 12 anni e mezzo, e quindi in età da marito, poteva essere già malata?
Naturalmente, se la risposta fosse positiva, ciò avrebbe costituito un ostacolo insormontabile ad un suo eventuale matrimonio. Se invece la risposta risultasse negativa, e cioè si potesse sostenere che la malattia insorse in un tempo successivo, allora nulla osterebbe all'ipotesi che essa si fosse regolarmente sposata, così come, all'epoca, accadeva di norma per tutte le ragazze in Israele.
Ora, sulla base dei dati offerti dai vangeli e sulla base del quadro clinico di riferimento offerto dalla moderna ginecologia, i medici specialisti hanno potuto formulare una diagnosi chiarissima: “la donna era affetta da una fibromatosi uterina” (Cfr. S. Leone, La medicina di fronte ai miracoli. EDB, 1996, p. 68) dovuta ad uno o più fibromi sottomucosi responsabili di un’evidente alterazione del ciclo mestruale (metrorragia o menometrorragia), associata a dolori pelvici (cfr. μάστιγος), gonfiore addominale e sintomi di compressione a livello pelvico (‘sentì nel suo corpo’, Mc 5,29).
Questo risultato è molto importante poiché dagli studi epidemiologici noi sappiamo che i fibromi uterini :
A) rappresentano la neoplasia più comune del tratto genitale femminile;
B) che sono tumori caratteristici dell’età feconda;
C) e che a seconda delle caratteristiche delle pazienti (età, razza) considerate nei vari studi, così come in base al metodo diagnostico utilizzato per identificarli (esame pelvico, ultrasuoni), la loro incidenza può variare dal 20% al 50% delle donne in età riproduttiva presentando un picco di frequenza intorno ai 35-50 anni. Più precisamente, la prevalenza di fibromi uterini, identificati mediante ecografia, sarebbe pari al 4% tra le donne di età compresa tra 20 e 30 anni, all’11-18% tra le donne di 30-40 anni, ed al 33% tra le donne di 40-60 anni. Essi sono più comuni nelle donne afro-caraibiche tra le quali sembrano presentarsi in età più giovane, con maggiori dimensioni, e crescere più rapidamente e maggiormente sintomatici, rispetto a quelle caucasiche.
Inoltre le ricerche sulle cause (eziologia) e la patogenesi della fibromatosi uterina, mostrano che è presente sicuramente una componente genetica e questo giustifica la grande prevalenza della malattia in soggetti di carnagione nera ed il frequente riscontro di una certa familiarità; come è anche certa la sensibilità della malattia all'effetto stimolante degli estrogeni. A questo riguardo, malgrado i dati dei diversi studi non siano sempre sovrapponibili, tutti gli autori paiono concordi nell'associare un aumentato rischio di questa patologia benigna alla maggiore esposizione agli estrogeni (quindi età precoce del menarca, menopausa tardiva, nulliparità, elevato body mass index). Sconosciuto prima della pubertà, raro al di sotto dei 20 anni, il fibroma si sviluppa infatti preferibilmente nell'età riproduttiva, può aumentare di volume durante la gravidanza e tende a rimanere stazionario o a regredire in menopausa. Ciò significa che nel valutare correttamente il periodo d’insorgenza di questa patologia, si deve tenere ben presente che generalmente occorrono alcuni anni prima che un fibroma si manifesti sintomaticamente: dopo l’inizio delle mestruazioni e l’esposizione all'estrogeno, la neoplasia ha bisogno infatti di un certo tempo per crescere.
Queste considerazioni ci permettono quindi di concludere ragionevolmente che al raggiungimento dell’età legale per il matrimonio, l’emorroissa non poteva essere già malata e che pertanto nulla avrebbe potuto impedire un suo eventuale matrimonio.
Come corollario di queste medesime considerazioni (cfr. il mio studio §5.5), coerente quindi con i dati epidemiologici della fibromatosi uterina, risulta anche l’età presumibile dell’emorroissa. Dalle informazioni ricavabili dal testo evangelico, è possibile determinare infatti, con buona approssimazione, l’intervallo di tempo in cui collocare la sua nascita. Posto che la guarigione dell’emorroissa sia avvenuta, come risulta dalla cronologia tradizionale che ho adottato, al principio del 29 d.C., l’inizio della manifestazione sintomatica della malattia deve essere situato nel 17 d.C., cioè circa 12 anni prima. Inoltre poiché, come si è detto, la fibromatosi uterina è una patologia caratteristica delle donne in età feconda, e quindi non si presenta normalmente prima del menarca, se ne deduce che l’inizio della malattia deve essere successivo alla comparsa della prima mestruazione. A questo proposito, tra il primo e il secondo secolo d.C., Sorano di Efeso, l’autore del primo trattato di ginecologia, ci informa che tra le ragazze della sua epoca il menarca compariva normalmente intorno ai 14 anni di età. Pertanto la donna emorragica deve essere nata prima del (17 – 14 =) 3 d.C. e questo costituisce teoricamente il limite superiore dell’intervallo di tempo che stiamo cercando. Il limite inferiore può essere determinato sulla base del fatto che Gesù si rivolge all'emorroissa chiamandola “figlia” (θυγάτηρ, thygatēr). Questo ci fa ragionevolmente presumere che la donna fosse più giovane di Gesù e quindi nata dopo il 7/6 a.C., data che gli storici hanno fissata per la nascita di Cristo181. Di conseguenza possiamo ritenere che l’emorroissa sia nata tra il 7/6 a.C. e il 3 d.C. e ciò significa che al momento della guarigione, nel 29 d.C., essa doveva avere sicuramente più di 26 anni, ma meno di 36.
Fatta questa lunga, ma necessaria premessa, vengo ora al tuo messaggio. Tu mi scrivi:
“La donna che aveva toccato il mantello era guarita all'istante.
Gesù' sapeva cosa era accaduto, anche perché una potenza era uscita da lui.
Perché' dovette sottoporre la donna a quella prova umiliante?
La risposta è: "figlia (quindi non era sposata, e chi si sposava o si teneva una donna con perdite?) la tua fede ti ha sanata (cioè era guarita) vai in pace (essendo proibito andare in giro con perdite) e sii ristabilita dalla tua dolorosa malattia (dolorosa quindi e non solo perdite) ed essere ristabilita voleva dire togliere le conseguenze della lunga malattia e riportarla al massimo della salute. Togliere le conseguenze della precedente malattia l'ha fatto dopo che la donna, che era coraggiosa, ha avuto ancor più' coraggio da confessare l'accaduto. Se fosse andata via senza dire niente non sarebbe stata ristabilita ma solo guarita.”
Ripeto, non affronterò i problemi interpretativi posti dalla dimensione di fede del testo, ma solo quelli storici che i tuoi rilievi critici sollevano.
In questa prospettiva, poiché, da un punto di vista sintattico, non mi è molto chiaro se tu deduci che l’emorroissa non fosse sposata dal fatto che Gesù le si rivolga chiamandola “figlia”, oppure a motivo che nessun ebreo “si sposava o si teneva una donna con perdite”, nel dubbio risponderò affrontando il problema da ambo i lati.
Per quanto concerne il termine “figlia” (in ebraico: בַת, bat; greco: θυγάτηρ, thügàter; “figlia”), vi è da dire che questa parola non viene mai utilizzata per indicare specificamente una donna non sposata. Come è dato leggere in http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3723" onclick="window.open(this.href);return false; , oltre al suo significato naturale, essa viene utilizzata dalla Bibbia per designare:
1. Una figliastra. – Gn 20:12.
2. Una figlia adottiva. – Est 2:7,15.
3. Una sorella. – Gn 34:8,17.
4. Una nipote. – Gn 24:48; 1Re 15:2,10.
5. Una nuora. – Gdc 12:9; Rut 1:11-13.
6. Una discendente. – Gn 27:46; Lc 1:5;13:16.
7. Una donna in generale. – Gn 6:2,4;30:13; Pr 31:29.
8. Una donna indigena, di una particolare popolazione, regione o città. – Gn 24:37; Gdc 11:40;21:21.
9. Una donna adoratrice di falsi dèi. – Mal 2:11.
10. Una donna quale vezzeggiativo rivolto da una persona autorevole o anziana ad una donna più giovane. – Rut 3:10, 11; Mr 5:34.
11. Il ramo di un albero. – Gn 49:22.
12. Una borgata o villaggio dipendente da una città madre. – Nm 21:25 (in cui “le terre del suo territorio” di Did sono nel testo ebraico “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah); Gs 17:11 (in cui i “suoi villaggi” di NR sono “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah); Ger 49:2 (in cui “le sue stesse borgate dipendenti” di TNM sono nel testo ebraico “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah).
13. Una donna appartenente ad una categoria. – Ec 12:4 (in cui “le figlie del canto” di NR – che qui si trova al v. 6 – sono nell’ebraico בְּנֹות הַשִּׁיר, benòt hashìr, appunto “figlie del canto”).
Come puoi notare tu stesso, al punto 10 si cita esattamente il caso dell’emorroissa (Mr 5,34) in cui Gesù, “persona autorevole o anziana”, si rivolge, con un vezzeggiativo, ad una donna più giovane. Sottolineo questo “più giovane” perché è perfettamente in linea con quanto ho affermato a pg. 63 del mio lavoro: “Questo ci fa ragionevolmente presumere che la donna fosse più giovane di Gesù e quindi nata dopo il 7/6 a.C., data che gli storici hanno fissata per la nascita di Cristo.”
D’altra parte, nel § 7.1 del mio saggio, ho anche scritto che l’emorroissa: “era affetta, da ben dodici anni, da una grave forma di fibromatosi uterina sintomatica, responsabile di un’evidente alterazione del ciclo mestruale (metrorragia o menometrorragia). Naturalmente la perdita di sangue non era continua, perché questo le avrebbe causato in breve tempo la morte per dissanguamento, ma era associata a dolori pelvici (cfr. μάστιγος Mc 25,29), e ad altri disturbi fisici che sicuramente la prostravano nella salute (…). Questa patologia, oltre alle note conseguenze sul piano delle norme di purità levitica che negavano l’accesso al culto pubblico di una donna con un flusso di sangue mestruale, poteva avere dei risvolti anche sul piano del suo stato civile. E’ communis opinio che viste le condizioni in cui si trovava, resa cioè cultualmente e perciò anche socialmente impura (Lv 15,25), emarginata dalla comunità religiosa, esclusa dalle liturgie, per l’emorroissa sarebbe stato impossibile sposarsi, oppure, se lo fosse stata prima dell’insorgere della malattia, sarebbe stata sicuramente ripudiata o per lo meno legalmente disdegnata dal marito. Da ciò l’idea che fosse una donna tristemente nubile, sola e isolata, o peggio, abbandonata. Tuttavia a farci dubitare di questo tragico ed ineluttabile destino sta ora l’aver scoperto, dietro le criptiche, ma precise espressioni degli evangelisti Marco e Luca, una realtà ben diversa: l’emorroissa aveva partorito da poco un figlio e quindi, con ogni probabilità, era una donna sposata.”
In base alla tua notazione critica, ciò che ora dobbiamo domandarci è:
una donna sposata, affetta da una grave forma di fibromatosi uterina sintomatica, sarebbe stata sicuramente ripudiata?.
Per rispondere a questa domanda osserviamo innanzitutto che, sotto la legislazione rabbinica, così come ci viene offerta dal Talmud (cfr. A. Cohen, Il Talmud, Bari, Laterza, 1935, pp. 207-208) se due coniugi desideravano separarsi, non vi era alcuna difficoltà allo scioglimento del matrimonio. «Una moglie cattiva è come lebbra per il marito. Come rimediarvi? La ripudi e guarirà della sua lebbra» (Jebamoth, 63b). Si sosteneva pure che «Se uno ha una cattiva moglie, ha l’obbligo religioso di ripudiarla» (ibid.). Nel primo secolo dell’era volgare, le scuole di Shammai e Hillel presero opposta posizione sull'interpretazione del testo biblico Dt 24,1 che permette all'uomo di rimandare la propria moglie « Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa». L’espressione che rendiamo con “qualche cosa di vergognoso” vale letteralmente «nudità di una cosa» e la scuola di Shammai intendeva «L’uomo non ripudi sua moglie se non l’ha scoperta infedele», (come si può notare, l’interpretazione della scuola di Shammai coincide con le disposizioni legali di Mt 19,9). La scuola di Hillel invece intendeva nel senso di «qualche cosa di sconveniente» e deduceva che: «può ripudiarla anche se lascia bruciare il cucinato». Dalle parole « se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi», Rabbi Akiba deduceva: «Può ripudiarla anche se trova un’altra donna più bella di lei» (Ghittin, 9,10). L’opinione più larga degli Hilleliti prevalse e fu adottata come legge.
In questa prospettiva, è vero che secondo Simeon ben Gamliel, vissuto tra il 10 aC e il 70 dC, poiché qualsiasi sangue che scorre dal makkor (utero) è impuro, il persistere di perdite ematiche avrebbe consentito, al marito, lo scioglimento immediato del matrimonio - una posizione questa che trova riscontro anche nel trattato Niddah 66a dove si afferma che: “La baraita afferma che se una donna sperimenta sanguinamenti in tre occasioni a causa di rapporti sessuali con suo marito, deve divorziare da lei”- tuttavia in Israele, in questo periodo storico, non tutti la pensavano in modo così intransigente. Ad esempio, nella stessa fonte appena citata, Niddah 66a, si afferma, in contrasto con la baraita, cioè con una tradizione della Legge orale ebraica che non è stata incorporata nella Mishnah.: “Reish Lakish disse al rabbino Yoḥanan: Ma lasciala (la donna con sanguinamento ndr) esaminare dopo il terzo atto di rapporto sessuale con il suo primo marito, in modo che non abbia bisogno di divorziare da lei” (Cfr. J. Preuss, Biblical and Talmudic medicine, p. 377).
In realtà ad eccezione del caso di adulterio, riguardo al quale la legge talmudica dichiara che «la donna colpevole di adulterio sarà ripudiata» (Kethuboth, 3,5), lo scioglimento del matrimonio, per quanto disciplinato, non era favorito. Si afferma solennemente che «Quando uno ripudia la sua prima moglie, anche l’altare versa lacrime per lei; come è detto: Voi di nuovo fate questo; coprite di lacrime l’altare del Signore…perché il Signore è stato testimone fra te e la donna della tua giovinezza, contro cui ti sei comportato da traditore (Ml 11,13 e sg.)» (Ghittin, 90b).
Inoltre a scoraggiare un facile divorzio c’era anche l’obbligo che esso comportava di pagare la Kethubah, o assegno matrimoniale intestato alla moglie. La kethubah infatti, cioè il documento che riporta gli obblighi finanziari assunti dal marito nei confronti della moglie in occasione ed in costanza del loro matrimonio: oneri questi che derivano dalla legge ebraica, fu istituita con lo scopo di proteggere la donna, rendendo all'uomo molto oneroso e complicato divorziare; difatti questo contratto obbliga il marito a pagarle una forte somma, normalmente superiore a ciò che sarebbe spettato alla donna secondo la legge, in caso di divorzio. (Kethubboth 11a; Jebamoth 89a).
A questo riguardo, il fatto che nel vangelo si citino i beni dell’emorroissa e le notevoli spese mediche da lei sostenute, cosa che lascia facilmente intuire una sua non irrilevante disponibilità economica, ci consente di presumere verosimilmente che anche le condizioni stabilite nella Ketubbah fossero piuttosto onerose per il suo eventuale marito in caso di divorzio. Naturalmente siamo in un campo del tutto ipotetico, ma non per questo inverosimile.
Tuttavia vi sono altre considerazioni che fanno dubitare che una donna malata come l’emorroissa sarebbe stata “sicuramente” ripudiata. Esse riguardano, ad esempio, l’atteggiamento nel caso, assai più grave, rappresentato da una moglie sterile. Anche in questa circostanza ad una rigida normativa legale faceva da contrappunto un comportamento concreto del tutto opposto ed ispirato a ben altri sentimenti. Secondo la Legge infatti, scopo del matrimonio era la creazione di una famiglia assolvendo in questo modo al primo di tutti i comandamenti dati da Dio all'uomo «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gn 1,28) e la sterilità della moglie ne ostacolava il raggiungimento. Il Talmud perciò stabilisce che: «Se un uomo sposa una donna e sta con lei dieci anni senza che essa gli dia un figlio, non gli è permesso di rimanere esentato (dal dovere della procreazione). Quando egli la ripudia, la donna può risposarsi, e il secondo marito aspetta con lei dieci anni. Se abortisce, il periodo di dieci anni si computa dal tempo dell’aborto» (Jebamoth, 6,6). Se questa era la norma rabbinica che regolava il ripudio di una moglie sterile, ciò non significa però che fosse applicata in maniera automatica. Già il Vecchio Testamento era pieno di coppie sterili in cui il marito non aveva ripudiato la moglie: Abramo e Sara (Gn 11,30); Isacco e Rebecca (Gn 25,21); Giacobbe e Rachele (Gn 29,31); Manoach e la sua innominata moglie (Gdc 13,2); Elkana e Anna (1 Sam 1,5); ma, come testimonia il vangelo di Luca, anche all'epoca di Gesù non mancavano i mariti che non avevano ripudiato la propria moglie sterile: «Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni» (Lc 1,5-7).
La scelta di Zaccaria di non ripudiare Elisabetta è tanto più interessante poiché, come rappresentante della casta sacerdotale, (della "classe di Abìa", appartenente all'ottava classe e quindi, tra le più importanti), avrebbe avuto tutto il diritto, anzi per i maestri più intransigenti addirittura il “dovere”, di divorziare. La sterilità infatti, nella cultura dell’epoca, non era considerato come un fatto biologico, ma era una vergogna, un disonore (Gen. 30,23 ; 1Sam. 1,5-8) perché non faceva sopravvivere il proprio nome, era considerata anche un castigo (2Sam. 6,23 ; Os. 9,11) ed equivaleva ad essere maledetti da Dio. Egli, sposando a suo tempo Elisabetta, aveva sicuramente contratto un buon matrimonio, (l’unica “Elisabetta” che compare nell'Antico Testamento è la moglie di Aronne, il grande sacerdote (Sir. 45,6-22), fratello di Mosè; per cui indicare Elisabetta come “discendente di Aronne” equivaleva ad un titolo di nobiltà), ma la sua sterilità costituiva una macchia incancellabile per un sacerdote. Zaccaria quindi avrebbe avuto ogni interesse, per salvaguardare l’onore suo e quello della sua famiglia, di ripudiare Elisabetta, ma non lo fece.
In definitiva, da tutte le precedenti osservazioni, possiamo concludere che, in un caso come quello dell’emorroissa, nonostante la Legge e le norme rabbiniche prevedessero e regolamentassero il diritto del marito di ripudiare la propria moglie, ciò non implicava affatto la sua automatica applicazione. D’altra parte, se l’emorroissa, come sostengo nel mio studio ai capitoli 5 e 6, al momento dell’incontro con Gesù, aveva partorito da non molto tempo, questo renderebbe l’ipotesi di un suo possibile ripudio praticamente insussistente.
Ciao, Maxximus55
Premetto alcune note introduttive.
Come è noto, presso i Giudei il matrimonio legale si compiva, dopo alcune trattative preparatorie, con due procedimenti successivi, che erano il fidanzamento e le nozze. Il fidanzamento era il perfetto contratto legale di matrimonio, ossia il vero matrimonium ratum: quindi la donna fidanzata era già moglie, poteva ricevere la scritta di divorzio dal suo fidanzato-ma¬rito, alla morte di costui diventava regolarmente vedova, e in caso d'infedeltà era punita come vera adultera conforme alla norma del Deuteronomio, 22, 23-24; questo stato giuridico è riassunto con esattezza da Filone quando afferma che presso i Giudei, contemporanei di lui e di Gesù, il fidanzamento vale quanto il matrimonio (De special. leg., III, 12). Compiuto questo fidanzamento-matrimonio, i due fidanzati-coniugi restavano nelle rispettive famiglie ancora per qualche tempo, che di solito si protraeva fino a un anno se la fidanzata era una vergine e fino a un mese se era una vedova: questo tempo era impiegato nei preparativi per la nuova casa e per l'arre¬do familiare. Fra i due fidanzati-coniugi non avrebbero dovuto avvenire, a rigore, relazioni matrimoniali; ma in realtà queste avvenivano comunemente, come attesta la tradizione rabbinica (Ketuboth, 1, 5; Jebamòth, iv, 10; babri Ketubàth, 12 a; ecc.). Le nozze avvenivano quand'era trascorso il tempo sud¬detto, e consistevano nell'introduzione solenne della sposa in casa dello sposo: cominciava allora la coabitazione pubblica, e con ciò le formalità legali del matrimonio erano compiute. Generalmente il fidanzamento di una vergine avveniva quando essa era in età fra i 12 e i 13 anni, ma talvolta anche alquanto prima: quindi le nozze, in conseguenza di quanto si è visto sopra, cadevano di solito fra i 13 e i 14 anni. (Cfr. G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, § 231).
Dunque anche l’emorroissa, qualora fosse stata sposata, si sarebbe fidanzata appena considerata nubile, vale a dire legalmente a dodici anni e mezzo, e avrebbe contratto le nozze un anno dopo, cioè a circa 13 anni e mezzo.
Detto per inciso, ciò valse anche per Maria, e secondo Daniel Rops, quando ella dette alla luce Gesù, non doveva avere più di quattordici anni (D. Rops, La vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù, Milano 1986 pag.137).
A questo punto possiamo chiederci: quando l’emorroissa giunse all’età di 12 anni e mezzo, e quindi in età da marito, poteva essere già malata?
Naturalmente, se la risposta fosse positiva, ciò avrebbe costituito un ostacolo insormontabile ad un suo eventuale matrimonio. Se invece la risposta risultasse negativa, e cioè si potesse sostenere che la malattia insorse in un tempo successivo, allora nulla osterebbe all'ipotesi che essa si fosse regolarmente sposata, così come, all'epoca, accadeva di norma per tutte le ragazze in Israele.
Ora, sulla base dei dati offerti dai vangeli e sulla base del quadro clinico di riferimento offerto dalla moderna ginecologia, i medici specialisti hanno potuto formulare una diagnosi chiarissima: “la donna era affetta da una fibromatosi uterina” (Cfr. S. Leone, La medicina di fronte ai miracoli. EDB, 1996, p. 68) dovuta ad uno o più fibromi sottomucosi responsabili di un’evidente alterazione del ciclo mestruale (metrorragia o menometrorragia), associata a dolori pelvici (cfr. μάστιγος), gonfiore addominale e sintomi di compressione a livello pelvico (‘sentì nel suo corpo’, Mc 5,29).
Questo risultato è molto importante poiché dagli studi epidemiologici noi sappiamo che i fibromi uterini :
A) rappresentano la neoplasia più comune del tratto genitale femminile;
B) che sono tumori caratteristici dell’età feconda;
C) e che a seconda delle caratteristiche delle pazienti (età, razza) considerate nei vari studi, così come in base al metodo diagnostico utilizzato per identificarli (esame pelvico, ultrasuoni), la loro incidenza può variare dal 20% al 50% delle donne in età riproduttiva presentando un picco di frequenza intorno ai 35-50 anni. Più precisamente, la prevalenza di fibromi uterini, identificati mediante ecografia, sarebbe pari al 4% tra le donne di età compresa tra 20 e 30 anni, all’11-18% tra le donne di 30-40 anni, ed al 33% tra le donne di 40-60 anni. Essi sono più comuni nelle donne afro-caraibiche tra le quali sembrano presentarsi in età più giovane, con maggiori dimensioni, e crescere più rapidamente e maggiormente sintomatici, rispetto a quelle caucasiche.
Inoltre le ricerche sulle cause (eziologia) e la patogenesi della fibromatosi uterina, mostrano che è presente sicuramente una componente genetica e questo giustifica la grande prevalenza della malattia in soggetti di carnagione nera ed il frequente riscontro di una certa familiarità; come è anche certa la sensibilità della malattia all'effetto stimolante degli estrogeni. A questo riguardo, malgrado i dati dei diversi studi non siano sempre sovrapponibili, tutti gli autori paiono concordi nell'associare un aumentato rischio di questa patologia benigna alla maggiore esposizione agli estrogeni (quindi età precoce del menarca, menopausa tardiva, nulliparità, elevato body mass index). Sconosciuto prima della pubertà, raro al di sotto dei 20 anni, il fibroma si sviluppa infatti preferibilmente nell'età riproduttiva, può aumentare di volume durante la gravidanza e tende a rimanere stazionario o a regredire in menopausa. Ciò significa che nel valutare correttamente il periodo d’insorgenza di questa patologia, si deve tenere ben presente che generalmente occorrono alcuni anni prima che un fibroma si manifesti sintomaticamente: dopo l’inizio delle mestruazioni e l’esposizione all'estrogeno, la neoplasia ha bisogno infatti di un certo tempo per crescere.
Queste considerazioni ci permettono quindi di concludere ragionevolmente che al raggiungimento dell’età legale per il matrimonio, l’emorroissa non poteva essere già malata e che pertanto nulla avrebbe potuto impedire un suo eventuale matrimonio.
Come corollario di queste medesime considerazioni (cfr. il mio studio §5.5), coerente quindi con i dati epidemiologici della fibromatosi uterina, risulta anche l’età presumibile dell’emorroissa. Dalle informazioni ricavabili dal testo evangelico, è possibile determinare infatti, con buona approssimazione, l’intervallo di tempo in cui collocare la sua nascita. Posto che la guarigione dell’emorroissa sia avvenuta, come risulta dalla cronologia tradizionale che ho adottato, al principio del 29 d.C., l’inizio della manifestazione sintomatica della malattia deve essere situato nel 17 d.C., cioè circa 12 anni prima. Inoltre poiché, come si è detto, la fibromatosi uterina è una patologia caratteristica delle donne in età feconda, e quindi non si presenta normalmente prima del menarca, se ne deduce che l’inizio della malattia deve essere successivo alla comparsa della prima mestruazione. A questo proposito, tra il primo e il secondo secolo d.C., Sorano di Efeso, l’autore del primo trattato di ginecologia, ci informa che tra le ragazze della sua epoca il menarca compariva normalmente intorno ai 14 anni di età. Pertanto la donna emorragica deve essere nata prima del (17 – 14 =) 3 d.C. e questo costituisce teoricamente il limite superiore dell’intervallo di tempo che stiamo cercando. Il limite inferiore può essere determinato sulla base del fatto che Gesù si rivolge all'emorroissa chiamandola “figlia” (θυγάτηρ, thygatēr). Questo ci fa ragionevolmente presumere che la donna fosse più giovane di Gesù e quindi nata dopo il 7/6 a.C., data che gli storici hanno fissata per la nascita di Cristo181. Di conseguenza possiamo ritenere che l’emorroissa sia nata tra il 7/6 a.C. e il 3 d.C. e ciò significa che al momento della guarigione, nel 29 d.C., essa doveva avere sicuramente più di 26 anni, ma meno di 36.
Fatta questa lunga, ma necessaria premessa, vengo ora al tuo messaggio. Tu mi scrivi:
“La donna che aveva toccato il mantello era guarita all'istante.
Gesù' sapeva cosa era accaduto, anche perché una potenza era uscita da lui.
Perché' dovette sottoporre la donna a quella prova umiliante?
La risposta è: "figlia (quindi non era sposata, e chi si sposava o si teneva una donna con perdite?) la tua fede ti ha sanata (cioè era guarita) vai in pace (essendo proibito andare in giro con perdite) e sii ristabilita dalla tua dolorosa malattia (dolorosa quindi e non solo perdite) ed essere ristabilita voleva dire togliere le conseguenze della lunga malattia e riportarla al massimo della salute. Togliere le conseguenze della precedente malattia l'ha fatto dopo che la donna, che era coraggiosa, ha avuto ancor più' coraggio da confessare l'accaduto. Se fosse andata via senza dire niente non sarebbe stata ristabilita ma solo guarita.”
Ripeto, non affronterò i problemi interpretativi posti dalla dimensione di fede del testo, ma solo quelli storici che i tuoi rilievi critici sollevano.
In questa prospettiva, poiché, da un punto di vista sintattico, non mi è molto chiaro se tu deduci che l’emorroissa non fosse sposata dal fatto che Gesù le si rivolga chiamandola “figlia”, oppure a motivo che nessun ebreo “si sposava o si teneva una donna con perdite”, nel dubbio risponderò affrontando il problema da ambo i lati.
Per quanto concerne il termine “figlia” (in ebraico: בַת, bat; greco: θυγάτηρ, thügàter; “figlia”), vi è da dire che questa parola non viene mai utilizzata per indicare specificamente una donna non sposata. Come è dato leggere in http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3723" onclick="window.open(this.href);return false; , oltre al suo significato naturale, essa viene utilizzata dalla Bibbia per designare:
1. Una figliastra. – Gn 20:12.
2. Una figlia adottiva. – Est 2:7,15.
3. Una sorella. – Gn 34:8,17.
4. Una nipote. – Gn 24:48; 1Re 15:2,10.
5. Una nuora. – Gdc 12:9; Rut 1:11-13.
6. Una discendente. – Gn 27:46; Lc 1:5;13:16.
7. Una donna in generale. – Gn 6:2,4;30:13; Pr 31:29.
8. Una donna indigena, di una particolare popolazione, regione o città. – Gn 24:37; Gdc 11:40;21:21.
9. Una donna adoratrice di falsi dèi. – Mal 2:11.
10. Una donna quale vezzeggiativo rivolto da una persona autorevole o anziana ad una donna più giovane. – Rut 3:10, 11; Mr 5:34.
11. Il ramo di un albero. – Gn 49:22.
12. Una borgata o villaggio dipendente da una città madre. – Nm 21:25 (in cui “le terre del suo territorio” di Did sono nel testo ebraico “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah); Gs 17:11 (in cui i “suoi villaggi” di NR sono “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah); Ger 49:2 (in cui “le sue stesse borgate dipendenti” di TNM sono nel testo ebraico “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah).
13. Una donna appartenente ad una categoria. – Ec 12:4 (in cui “le figlie del canto” di NR – che qui si trova al v. 6 – sono nell’ebraico בְּנֹות הַשִּׁיר, benòt hashìr, appunto “figlie del canto”).
Come puoi notare tu stesso, al punto 10 si cita esattamente il caso dell’emorroissa (Mr 5,34) in cui Gesù, “persona autorevole o anziana”, si rivolge, con un vezzeggiativo, ad una donna più giovane. Sottolineo questo “più giovane” perché è perfettamente in linea con quanto ho affermato a pg. 63 del mio lavoro: “Questo ci fa ragionevolmente presumere che la donna fosse più giovane di Gesù e quindi nata dopo il 7/6 a.C., data che gli storici hanno fissata per la nascita di Cristo.”
D’altra parte, nel § 7.1 del mio saggio, ho anche scritto che l’emorroissa: “era affetta, da ben dodici anni, da una grave forma di fibromatosi uterina sintomatica, responsabile di un’evidente alterazione del ciclo mestruale (metrorragia o menometrorragia). Naturalmente la perdita di sangue non era continua, perché questo le avrebbe causato in breve tempo la morte per dissanguamento, ma era associata a dolori pelvici (cfr. μάστιγος Mc 25,29), e ad altri disturbi fisici che sicuramente la prostravano nella salute (…). Questa patologia, oltre alle note conseguenze sul piano delle norme di purità levitica che negavano l’accesso al culto pubblico di una donna con un flusso di sangue mestruale, poteva avere dei risvolti anche sul piano del suo stato civile. E’ communis opinio che viste le condizioni in cui si trovava, resa cioè cultualmente e perciò anche socialmente impura (Lv 15,25), emarginata dalla comunità religiosa, esclusa dalle liturgie, per l’emorroissa sarebbe stato impossibile sposarsi, oppure, se lo fosse stata prima dell’insorgere della malattia, sarebbe stata sicuramente ripudiata o per lo meno legalmente disdegnata dal marito. Da ciò l’idea che fosse una donna tristemente nubile, sola e isolata, o peggio, abbandonata. Tuttavia a farci dubitare di questo tragico ed ineluttabile destino sta ora l’aver scoperto, dietro le criptiche, ma precise espressioni degli evangelisti Marco e Luca, una realtà ben diversa: l’emorroissa aveva partorito da poco un figlio e quindi, con ogni probabilità, era una donna sposata.”
In base alla tua notazione critica, ciò che ora dobbiamo domandarci è:
una donna sposata, affetta da una grave forma di fibromatosi uterina sintomatica, sarebbe stata sicuramente ripudiata?.
Per rispondere a questa domanda osserviamo innanzitutto che, sotto la legislazione rabbinica, così come ci viene offerta dal Talmud (cfr. A. Cohen, Il Talmud, Bari, Laterza, 1935, pp. 207-208) se due coniugi desideravano separarsi, non vi era alcuna difficoltà allo scioglimento del matrimonio. «Una moglie cattiva è come lebbra per il marito. Come rimediarvi? La ripudi e guarirà della sua lebbra» (Jebamoth, 63b). Si sosteneva pure che «Se uno ha una cattiva moglie, ha l’obbligo religioso di ripudiarla» (ibid.). Nel primo secolo dell’era volgare, le scuole di Shammai e Hillel presero opposta posizione sull'interpretazione del testo biblico Dt 24,1 che permette all'uomo di rimandare la propria moglie « Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa». L’espressione che rendiamo con “qualche cosa di vergognoso” vale letteralmente «nudità di una cosa» e la scuola di Shammai intendeva «L’uomo non ripudi sua moglie se non l’ha scoperta infedele», (come si può notare, l’interpretazione della scuola di Shammai coincide con le disposizioni legali di Mt 19,9). La scuola di Hillel invece intendeva nel senso di «qualche cosa di sconveniente» e deduceva che: «può ripudiarla anche se lascia bruciare il cucinato». Dalle parole « se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi», Rabbi Akiba deduceva: «Può ripudiarla anche se trova un’altra donna più bella di lei» (Ghittin, 9,10). L’opinione più larga degli Hilleliti prevalse e fu adottata come legge.
In questa prospettiva, è vero che secondo Simeon ben Gamliel, vissuto tra il 10 aC e il 70 dC, poiché qualsiasi sangue che scorre dal makkor (utero) è impuro, il persistere di perdite ematiche avrebbe consentito, al marito, lo scioglimento immediato del matrimonio - una posizione questa che trova riscontro anche nel trattato Niddah 66a dove si afferma che: “La baraita afferma che se una donna sperimenta sanguinamenti in tre occasioni a causa di rapporti sessuali con suo marito, deve divorziare da lei”- tuttavia in Israele, in questo periodo storico, non tutti la pensavano in modo così intransigente. Ad esempio, nella stessa fonte appena citata, Niddah 66a, si afferma, in contrasto con la baraita, cioè con una tradizione della Legge orale ebraica che non è stata incorporata nella Mishnah.: “Reish Lakish disse al rabbino Yoḥanan: Ma lasciala (la donna con sanguinamento ndr) esaminare dopo il terzo atto di rapporto sessuale con il suo primo marito, in modo che non abbia bisogno di divorziare da lei” (Cfr. J. Preuss, Biblical and Talmudic medicine, p. 377).
In realtà ad eccezione del caso di adulterio, riguardo al quale la legge talmudica dichiara che «la donna colpevole di adulterio sarà ripudiata» (Kethuboth, 3,5), lo scioglimento del matrimonio, per quanto disciplinato, non era favorito. Si afferma solennemente che «Quando uno ripudia la sua prima moglie, anche l’altare versa lacrime per lei; come è detto: Voi di nuovo fate questo; coprite di lacrime l’altare del Signore…perché il Signore è stato testimone fra te e la donna della tua giovinezza, contro cui ti sei comportato da traditore (Ml 11,13 e sg.)» (Ghittin, 90b).
Inoltre a scoraggiare un facile divorzio c’era anche l’obbligo che esso comportava di pagare la Kethubah, o assegno matrimoniale intestato alla moglie. La kethubah infatti, cioè il documento che riporta gli obblighi finanziari assunti dal marito nei confronti della moglie in occasione ed in costanza del loro matrimonio: oneri questi che derivano dalla legge ebraica, fu istituita con lo scopo di proteggere la donna, rendendo all'uomo molto oneroso e complicato divorziare; difatti questo contratto obbliga il marito a pagarle una forte somma, normalmente superiore a ciò che sarebbe spettato alla donna secondo la legge, in caso di divorzio. (Kethubboth 11a; Jebamoth 89a).
A questo riguardo, il fatto che nel vangelo si citino i beni dell’emorroissa e le notevoli spese mediche da lei sostenute, cosa che lascia facilmente intuire una sua non irrilevante disponibilità economica, ci consente di presumere verosimilmente che anche le condizioni stabilite nella Ketubbah fossero piuttosto onerose per il suo eventuale marito in caso di divorzio. Naturalmente siamo in un campo del tutto ipotetico, ma non per questo inverosimile.
Tuttavia vi sono altre considerazioni che fanno dubitare che una donna malata come l’emorroissa sarebbe stata “sicuramente” ripudiata. Esse riguardano, ad esempio, l’atteggiamento nel caso, assai più grave, rappresentato da una moglie sterile. Anche in questa circostanza ad una rigida normativa legale faceva da contrappunto un comportamento concreto del tutto opposto ed ispirato a ben altri sentimenti. Secondo la Legge infatti, scopo del matrimonio era la creazione di una famiglia assolvendo in questo modo al primo di tutti i comandamenti dati da Dio all'uomo «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gn 1,28) e la sterilità della moglie ne ostacolava il raggiungimento. Il Talmud perciò stabilisce che: «Se un uomo sposa una donna e sta con lei dieci anni senza che essa gli dia un figlio, non gli è permesso di rimanere esentato (dal dovere della procreazione). Quando egli la ripudia, la donna può risposarsi, e il secondo marito aspetta con lei dieci anni. Se abortisce, il periodo di dieci anni si computa dal tempo dell’aborto» (Jebamoth, 6,6). Se questa era la norma rabbinica che regolava il ripudio di una moglie sterile, ciò non significa però che fosse applicata in maniera automatica. Già il Vecchio Testamento era pieno di coppie sterili in cui il marito non aveva ripudiato la moglie: Abramo e Sara (Gn 11,30); Isacco e Rebecca (Gn 25,21); Giacobbe e Rachele (Gn 29,31); Manoach e la sua innominata moglie (Gdc 13,2); Elkana e Anna (1 Sam 1,5); ma, come testimonia il vangelo di Luca, anche all'epoca di Gesù non mancavano i mariti che non avevano ripudiato la propria moglie sterile: «Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni» (Lc 1,5-7).
La scelta di Zaccaria di non ripudiare Elisabetta è tanto più interessante poiché, come rappresentante della casta sacerdotale, (della "classe di Abìa", appartenente all'ottava classe e quindi, tra le più importanti), avrebbe avuto tutto il diritto, anzi per i maestri più intransigenti addirittura il “dovere”, di divorziare. La sterilità infatti, nella cultura dell’epoca, non era considerato come un fatto biologico, ma era una vergogna, un disonore (Gen. 30,23 ; 1Sam. 1,5-8) perché non faceva sopravvivere il proprio nome, era considerata anche un castigo (2Sam. 6,23 ; Os. 9,11) ed equivaleva ad essere maledetti da Dio. Egli, sposando a suo tempo Elisabetta, aveva sicuramente contratto un buon matrimonio, (l’unica “Elisabetta” che compare nell'Antico Testamento è la moglie di Aronne, il grande sacerdote (Sir. 45,6-22), fratello di Mosè; per cui indicare Elisabetta come “discendente di Aronne” equivaleva ad un titolo di nobiltà), ma la sua sterilità costituiva una macchia incancellabile per un sacerdote. Zaccaria quindi avrebbe avuto ogni interesse, per salvaguardare l’onore suo e quello della sua famiglia, di ripudiare Elisabetta, ma non lo fece.
In definitiva, da tutte le precedenti osservazioni, possiamo concludere che, in un caso come quello dell’emorroissa, nonostante la Legge e le norme rabbiniche prevedessero e regolamentassero il diritto del marito di ripudiare la propria moglie, ciò non implicava affatto la sua automatica applicazione. D’altra parte, se l’emorroissa, come sostengo nel mio studio ai capitoli 5 e 6, al momento dell’incontro con Gesù, aveva partorito da non molto tempo, questo renderebbe l’ipotesi di un suo possibile ripudio praticamente insussistente.
Ciao, Maxximus55
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro
Si persevera nella fede; si fuggono le persecuzioni; le tribolazioni si erge
sopportano.
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro
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