Yeshùa ed il divorzio

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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Salvatore, quando la Scrittura parla di un evento possibile o ipotetico, poi specifica sempre se è sbagliato o se è giusto ("se disobbedirai... Se ubbidirai..."). E quando la Scrittura vieta un atto, lo fa chiaramente: “non avrai”, “non farai”, “non dirai”, etc. La Torah è legge e in quanto tale è chiara e molto precisa, se non lo fosse ci sarebbe spazio per interpretare liberamente. Se non fosse consentito che la donna sposasse un altro uomo dopo il primo marito, la Torah lo proibirebbe, come fa con moltissime cose, ti pare? Non si tratta di un dettaglio, ma del matrimonio, che è uno dei comandamenti più importanti della Bibbia. Abbiamo diversi esempi biblici in cui si comprende benissimo se l'evento ipotetico è giusto o sbagliato:

“Se un uomo della casa d'Israele, o uno degli stranieri che abitano in mezzo a loro mangia qualsiasi genere di sangue, io volgerò la mia faccia contro la persona che avrà mangiato del sangue, e la eliminerò dal mezzo del suo popolo.” - Lv 17:10

Qui è chiaro che l’evento ipotetico sia illecito, perché la conseguenza è l’eliminazione e anche perché altrove è comandato chiaramente il divieto di mangiare sangue.

“Se uno ha con un uomo relazioni sessuali come si hanno con una donna, tutti e due hanno commesso una cosa abominevole; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro.” - Lv 20:13

Qui è dichiarato chiaramente che l’evento ipotetico descritto è abominevole e sarà punito, e dunque è illecito. Stessa cosa nel versetto che segue:

“Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei e lei vede la nudità di lui, è un'infamia; tutti e due saranno tolti via sotto gli occhi dei figli del loro popolo” - Lv 20:17

Si comprende sempre molto bene cosa è lecito e cosa non lo è. Sarebbe un bel problema se non si capisse, perché in questo caso la legge non sarebbe chiara. Nel caso di Dt 24, ciò che è vietato è soltanto il ricongiungimento del primo marito con una donna che aveva ripudiato e che si era sposata con un altro da cui era stata a sua volta ripudiata. Per cui, la donna poteva risposarsi con un terzo marito, ma non col primo. Come si fa a giungere alla conclusione che la donna ha sbagliato a risposarsi, o addirittura che non poteva farlo? Dove, nella Torah, il secondo matrimonio della donna è proibito, cosí che si possa affermare chiaramente che una donna non può risposarsi? Affermare questo, significa fare una forzatura, facendo dire alla Torah ciò che non dice.

Sul testo greco, ribadisco che il kai congiunge ciò che segue con ciò che precede, per cui la clausola vale anche per la seconda frase. Diverso sarebbe stato se la clausola fosse comparsa nella seconda frase, o se al posto della copulativa fosse usata una disgiuntiva.

“Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se la moglie ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio.”

Quando? In caso di divorzio senza giusta causa. Ma, aggiunge Mt, in caso di giusta causa il tutto è ribaltato. Dove doveva inserirla la clausola, se non dove l'ha inserita? O avrebbe dovuto ripeterla in modo ridondante, cosa che in greco non accade?
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Salvatore Tarantino
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da Salvatore Tarantino »

Genesi 19.
30 Lot salì da Soar per andare ad abitare sul monte insieme con le sue due figlie, perché temeva di stare in Soar; e si stabilì in una caverna, egli con le sue due figlie. 31 La maggiore disse alla minore: «Nostro padre è vecchio, e non c'è più nessuno sulla terra per mettersi con noi, come si usa in tutta la terra. 32 Vieni, diamo da bere del vino a nostro padre, e corichiamoci con lui, perché possiamo conservare la razza di nostro padre». 33 Quella stessa notte diedero da bere del vino al loro padre; la maggiore entrò e si coricò con suo padre; ed egli non si accorse quando lei si coricò né quando si alzò. 34 Il giorno seguente la maggiore disse alla minore: «Ecco, la notte passata io mi sono coricata con mio padre; diamogli da bere del vino anche questa notte e tu entra, coricati con lui, perché possiamo conservare la razza di nostro padre». 35 E anche quella notte diedero da bere del vino al loro padre e la minore andò a coricarsi con lui; egli non si accorse quando lei si coricò né quando si alzò. 36 Così le due figlie di Lot rimasero incinte del loro padre. 37 La maggiore partorì un figlio, che chiamò Moab. Questi è il padre dei Moabiti, che esistono fino al giorno d'oggi. 38 Anche la minore partorì un figlio, che chiamò Ben-Ammi. Questi è il padre degli Ammoniti, che esistono fino al giorno d'oggi.

Dove è scritto che le azioni compiute dalle figlie di Lot sono sbagliate?
In questo brano non c'è alcun giudizio su questi fatti, nè positivo nè negativo.
Se in nessuna delle Scritture questi fatti sono condannati allora hai ragione, quei fatti possono supporsi leciti.
Ma Levitico 18,6 afferma: Nessuno si avvicinerà a una sua parente carnale per avere rapporti sessuali con lei [...].

Nel nostro caso il fatto che in Deuteronomio 24 non viene giudicato, viene giudicato da Yeshùa che afferma chiaramente che chi sposa una donna ripudiata commette adulterio.
Ma anche Geremia (Geremia 3,1) lo aveva già capito, altrimenti non avrebbe fatto la seguente metafora:
"Il SIGNORE dice: «Se un uomo ripudia sua moglie
e questa se ne va via e si sposa con un altro,
quell'uomo torna forse ancora da lei?
Il paese stesso non ne sarebbe forse tutto profanato?
E tu, che ti sei prostituita con molti amanti,
ritorneresti da me?», dice il SIGNORE."
Notare come la donna ripudiata che è andata ad un altro uomo viene definita prostituta.

Ps: quando Matteo parla dell'eccezione del ripudio, parla solo a beneficio dell'uomo... e non poteva fare altrimenti.
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

L'illeceità del rapporto tra padre e figlie si evince proprio da Lv 18:6, che citi, giustissimo. Ti rispondo sul resto, perdona la lunghezza ma purtroppo il tema non mi consente di essere conciso.

Ger 3:1 non può essere usato per dichiarare illecito un secondo matrimonio di una donna divorziata legalmente, per i seguenti motivi. Il v. non condanna il secondo matrimonio della donna, ma il secondo matrimonio con lei nel caso ella, ripudiata, si fosse nel frattempo sposata con un altro e poi resa libera per ripudio o morte del secondo marito, in conformità con Dt 24:1-4. Inoltre, in questo passaggio il profeta vuole esaltare l'amore e la misericordia che Yhvh ha per il Suo popolo, attraverso un paragone: "un uomo non riprenderebbe la ex moglie che nel frattempo si è sposata con un altro (come insegna la Torah), ma io riprenderò te che hai fatto peggio, commettendo adulterio prostituendoti con molti amanti". Si tratta di un testo poetico che intende esaltare "per assurdo" l'amore indissolubile di Dio nei confronti di Israele, nonostante il simbolico ripudio per adulterio. Nota comunque, a titolo di approfondimento, che il testo non dice “se un uomo ripudia sua moglie e questa si prostituisce con un altro”, ma “si sposa” con un altro; Israele, invece, si è prostituita con molti amanti, non si è sposata di nuovo dopo esser legalmente divorziata. Israele, qui, non è paragonata ad una donna divorziata legalmente che si risposa, ma ad un'adultera che si prostituisce con molti amanti. Da un lato c’è la donna risposata che non può essere ripresa dal marito, dall'altro c’è Israele adultera con molti amanti, che Dio riprenderebbe comunque. Il termine usato dalla LXX per Israele è ekpornèuo. Dunque, Israele ha commesso fornicazione, per questo si è prostituita; nonostante ciò, Dio la riprende con sé.

Il marito che avesse ripudiato la moglie, poteva invece riprendersela se lei non fosse andata da un altro; in questi casi, infatti, i rabbini incoraggiavano i due a ricongiungersi, ove possibile. Dt 24 vieta esclusivamente il secondo matrimonio col primo marito se in mezzo c'è un matrimonio con un altro uomo; non vieta né il secondo matrimonio della donna con altro uomo, né un ricongiungimento col primo marito (nel caso lei fosse rimasta senza sposarsi). Questo è perfettamente confermato da Paolo, che ordina alla moglie a non separarsi dal marito o - se lo facesse - a restare senza marito o a ricongiungersi con lui. Anche qui, il divieto non riguarda tanto il divorzio (perché l’ipotetica lo ammette), ma il nuovo matrimonio. Naturalmente si parla di divorzio senza giusta causa, esattamente come in Mr 10. Certo, il bene assoluto è non divorziare, perche Dio comanda ai due di unirsi in una sola carne; ma il divorzio non costituisce peccato; non potrebbe, perché la Torah lo legalizza, in virtù della debolezza umana.

Yeshùa dice “Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se la moglie ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio [verso di lui]” (Mr 10:11-12). L'insegnamento è perfettamente simmetrico per uomo e donna. Qual è il peccato qui messo in evidenza, mandare via il coniuge o sposarsi di nuovo in seguito a divorzio? Il peccato è il nuovo matrimonio, in questo caso per entrambi uomo e donna. Che Yeshùa parli di divorzio senza giusta causa si capisce dalla domanda dei farisei, che stabilisce il tema del discorso. Matteo aggiunge la clausola per chiarezza, affinché non si pensasse che Yeshùa proibisse il divorzio per giusta causa. Ma vediamo bene questa costruzione ipotetica.

Nel periodo ipotetico, la reggente (apodosi) esprime la conseguenza che deriva dal realizzarsi della condizione indicata nella subordinata (protasi):

Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra (protasi, espone la condizione)

commette adulterio verso di lei [moglie] (apodosi, espone la conseguenza)

se la moglie ripudia suo marito e ne sposa un altro (protasi, condizione)

commette adulterio [verso di lui marito] (apodosi, conseguenza)

In entrambi i casi, la protasi - ossia la condizione espressa - non riguarda solo il divorzio, ma il nuovo matrimonio in seguito a divorzio; mentre l'apodosi espone il peccato conseguente. Per cui, il divorzio in sé non crea condizione per la conseguenza, la crea il nuovo matrimonio in seguito a divorzio (senza giusta causa). Significa che uno può divorziare (uomo e donna), ma non può risposarsi (uomo e donna).

La conclusione, mi pare, è che nell'insegnamento di Yeshùa espresso in Mr e Mt insieme, il matrimonio in Israele (nb: in Israele, a quel tempo) costituisce un vincolo sacro, che può essere sciolto solo in seguito a determinati peccati (che non stiamo ora a discutere). Il divorzio, invece, è possibile per entrambe le parti, ma non un nuovo matrimonio, qualora il divorzio sia avvenuto senza giusta causa. Ne consegue che in presenza di giusta causa, entrambe le parti sono libere (perché non è logicamente e fisicamente possibile che una parte sia libera e l'altra ancora vincolata a chi è libero, altrimenti anche questo sarebbe ancora vincolato).

A sostegno di questa lettura abbiamo:

1. La Torah, che non vieta il nuovo matrimonio della donna in seguito a divorzio ufficiale e legale, anzi lo regolamenta come eventuale e possibile (Dt 24:1-4).

2. La tradizione e gli usi ebraici millenari, in cui la donna con in mano un atto di ripudio (divorzio legale) ha pieno diritto di sposarsi di nuovo, anche col primo marito (ma solo se non è intercorso nel frattempo un altro matrimonio). Difficile pensare che le donne e i maestri ebrei abbiano sbagliato per millenni.

3. Yeshùa, che non vieta il divorzio (in quanto è prescritto dalla Torah), ma solo il nuovo matrimonio in caso di divorzio "per un motivo qualsiasi" che non sia fornicazione, dunque senza giusta causa.

4. Paolo, che afferma che la donna eventualmente divorziata (senza giusta causa) non deve risposarsi o deve ricongiungersi col marito e ammette il divorzio nei matrimoni misti (1Cor 7:15).

5. La logica, perché un uomo o una donna che non desiderano più stare insieme al coniuge per svariati motivi che rendono la convivenza impossibile, dovrebbero poter scegliere di separarsi e anche di risposarsi con qualcuno che li renda felici (ovviamente nel caso il vincolo sia sciolto per giusta causa).

A prescindere dalle personali conclusioni, che possono essere diverse, la discussione è sempre utile.
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matteo97
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da matteo97 »

Secondo la legge ebraica i due coniugi all'interno dell'istituzione matrimoniale devono necessariamente avere almeno un rapporto sessuale? Non può esistere una specie di "amore platonico" tra marito e moglie?
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Il matrimonio è ufficiale nel momento in cui si consuma. I fidanzati erano già virtualmente sposati, ma lo divenivano ufficialmente quando andavano a vivere insieme e si univano carnalmente.
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Salvatore Tarantino
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da Salvatore Tarantino »

Bgaluppi, mi fermo qui, mi sembra che sei arroccato su delle posizioni che non sei disposto a mettere in discussione.
Posso capire alcune diverse interpretazioni, ma non posso capire l'ostinatezza di voler trovare un ripudio lecito anche in favore della donna, nonostante in tutte le Scritture non ci sia mai, MAI, un solo verso che affermi una cosa del genere.
E poi, che parole avrebbe dovuto usare Paolo per affermare ancora più chiaramente che una donna è adultera se si unisce ad un altro uomo finchè il marito è in vita? Proprio non immagino come avrebbe potuto essere più chiaro.
Pazienza.
animasalvata
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da animasalvata »

In Marco 10,5 troviamo questo verbo
ἔγραψεν

Tecnicamente quali sono i suoi significati? Può significare anche un descrivere a parola (non per iscritto) un fatto?
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

non posso capire l'ostinatezza di voler trovare un ripudio lecito anche in favore della donna, nonostante in tutte le Scritture non ci sia mai, MAI, un solo verso che affermi una cosa del genere
Non capisco che vuoi dire. Yeshùa stesso afferma la possibilità che la donna potesse divorziare dal marito, esattamente come l'uomo. E, esattamente come l'uomo, non poteva sposarsi di nuovo (in caso di divorzio senza giusta causa). Paolo conferma questo insegnamento. Non mi invento assutamente nulla, io mi rifaccio a ciò che leggo:

“Chiunque manda via [apolùse, all'attivo] la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei” (Mr 10:11, ND).

“Similmente, se la moglie manda via [apolùsasa, attivo] il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mr 10:12, ND).

La Torah non regolamenta il ripudio da parte della donna, ma sappiamo che Yeshùa non dice il falso, non si inventa qualcosa di nuovo, perché anche il codice giuridico orale (Eduyot, IV) conferma che la donna poteva chiedere il divorzio, nel modo che ho già descritto. Yeshùa e la tradizione sono dunque concordi. Se, come dici, la donna non poteva mandare via il marito, allora Yeshùa non avrebbe certo trattato una impossibilità. Oltretutto, nella sua esposizione, i due casi (uomo e donna) sono perfettamente simmetrici: se il marito manda via la moglie, se la moglie manda via il marito.

Allora, o Yeshùa e i giudei tutti hanno sbagliato, oppure c'è qualcosa che ci sfugge dalla Torah. Ciò che sfugge è in realtà evidente da come gli israeliti applicavano la Torah, ossia da ciò che dice il codice giuridico della torah orale, compendio essenziale per una comprensione completa e accurata di un testo scritto che spesso tralascia i dettagli perché stabilisce i princìpi della legge.
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Tecnicamente quali sono i suoi significati? Può significare anche un descrivere a parola (non per iscritto) un fatto?
ἔγραψεν è la terza persona singolare dell'indicativo aoristo di γράφω, che significa “scrivo”, propriamente “incido” sempre in riferimento alla scrittura delle lettere. Non fa mai riferimento al parlare, sempre allo scrivere.
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Stasera, riflettendo sul testo di Dt 24:1-4 e sulle parole di Yeshùa, mi è venuta in mente una ulteriore interpretazione che mi piacerebbe discutere. La scrivo domani.
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