
Se tu scegli coscientemente di offrire la tua vita al posto di quella di tuo figlio, o di una persona che ami, si tratta di suicidio? Il suicidio è unicamente disprezzo per la propria vita, e non presenta un atto di amore verso alcuno. Egli "sapeva" di riceverla di nuovo, tuttavia pregò Dio che gli risparmiasse - se fosse stato possibile - quella sorte. Ma non fu possibile (Dio non risponde, perché deve pregare tre volte), dunque accettò con fede la volontà di Dio. Il fatto di sapere e di credere che la ricevesse di nuovo, annulla l'atto del sacrificare una vita umana (la sua; alla fine, Yeshùa vive, dunque nessuna vita è persa), ma non l'atto di fede e l'espletamento del sacrificio, che è basato sull'amore e la rinuncia di se stessi in favore del prossimo (“ama il tuo prossimo come te stesso”; qual'è il modo più grande di dimostrare questo amore nei fatti? “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” - Gv 15:13).Rimane il fatto che egli dice di avere il potere di dare (suicidio, proibito) e riprendere la vita. Il fatto però di sapere in anticipo di risuscitare, rende di fatto inefficiente e nullo il "sacrificio".
Abraamo pose Isacco sull'altare e si apprestò a sacrificarlo, fiducioso che Dio non avrebbe preteso la morte di colui che - secondo la promessa fatta - sarebbe divenuto capostipite di future generazioni. Ma ciò che contava fu l'atto. In un certo senso, il sacrificio fu espletato, ma Isacco non morì. Dio non voleva il sangue di Isacco, voleva l'atto di fede. Allo stesso modo, Dio non è interessato al sangue di Yeshùa, ma al suo atto di amore e di fede, che in questo caso avviene realmente perché è ovvio che un tale sacrificio (offrire coscentemente e volontariamente la propria vita per quella degli altri) non poteva essere espletato solo simbolicamente o a parole. Come il sacrificio animale prevede il sangue, anche quello di Yeshùa lo prevede; ma è ovvio che a Dio non interessi il sangue, e che il sangue ha un significato simbolico (il sangue è la vita).
Mangiare il corpo e bere il sangue è un segno fatto "in memoria" di quel sacrificio, e lo rende vivo nel presente. Come Pesach rende presente l'uscita dall'Egitto, avvenuta millenni orsono. Il corpo e il sangue simboleggiano l'offerta di se stesso al posto degli altri, ma la cena del Signore non è un rito di teofagia (come invece lo interpretano i cattolici attraverso la transustanziazione); è solo un segno fatto in memoria, che rende reale nel presente quell'unico sacrificio avvenuto duemila anni fa.
Con Zc 9:9 mi riferivo unicamente alla venuta in umiltà, in groppa d'asino.