Satana e il riscatto

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Alen.chorbah
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Alen.chorbah »

Besàseà ha scritto:
Alen.chorbah ha scritto:Ciao besasea. Volevo chiederti se potevi spiegare, a nome di tutti quelli che come me non hanno ne la possibilità ne le competenze per poter esaminare i targumim e il talmud, la questione di Ezechiele sulla "stragrande maggioranza", cosi da avere un idea più chiara. Grazie.
Sarebbe come una smentita di un dogma già riaffermato precedentemente da Gianni. La mia concezione dello studio prescinde dal creare o smentire dogmi di fede. Se Gianni non avesse detto di aver dedotto che gli angeli e demoni esistono, ci sarebbe ancora posto per discutere e approfondire.
Besasea non penso che Gianni abbia la presunzione di pensare che ciò che dice sia la verità assoluta al 100% e non penso che voglia imporre il proprio pensiero a tutti, lui stesso ha scritto "secondo me", quindi anche quello è una sua visione della scrittura sicuramente da apprezzare e rifletterci, ma che comunque non tutti sono d'accordo. Detto questo qui ci sono molte persone che nel loro piccolo amano esplorare tutti i mondi possibili da ampliare cosi la propria conoscenza, sopratutto capire il pensiero e concetto ebraico che per noi cristiani influenzati nei secoli dal cattolicesimo facciamo fatica a comprendere. Se comunque se preferisci lo stesso non esprimerti per non creare contrasti all'interno del forum ti capisco, ma come puoi leggere ce ne sono sempre :d , e comunque al massimo se mi faresti il favore di potermelo spiegare In un MP perché sono veramente interessato grazie.
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bgaluppi
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da bgaluppi »

Un saluto a Besasea. Io credo che la cosa importante sia imparare a conoscere le varie e possibili letture che il testo offre e non restare limitati ad una sola. Naturalmente, una lettura deve sempre avere senso all'interno del contesto.
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Daminagor
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Daminagor »

Nel caso specifico del Midrash da te citato bisogna entrare nella concezione ebraica secondo cui gan Eden rappresenta il mondo del ragionamento e della comprensione. Da esso escono quattro fiumi di persuasione.
Grazie Bèsasèa. Quello che hai spiegato è stato illuminante, almeno per me.
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Daminagor
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Daminagor »

io speravo nella viva partecipazione degli esperti del forum, ma forse non c'è un vero interesse


Io non sono esperto ma sono molto interessato :d
trizzi74
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da trizzi74 »

Besàseà ha scritto: In molti casi non legge il testo per come è scritto e uno studioso ricerca il testo scritto e quindi confronta con altre tradizioni di lettura.
Potresti menzionare a quali versetti ti riferisci oltre a quello di Genesi 6?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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Israel75
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Israel75 »

Non credo che Gianni si basi su un dogma di fede , le differenze su angeli e resurrezione erano già presenti ai tempi di Gesù tra sadducei e farisei (2 correnti dell'ebraismo) come testimoniato in Atti.

“Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: «Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. Ne nacque allora un grande clamore e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi, protestavano dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero?». La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza” (At 23,6-10).

Il passo è confermato anche da diverse fonti storiche.

Pace.
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
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Gianni
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Gianni »

La questione non è affatto così semplice, come se fosse tutto bianco o nero. Nella Bibbia troviamo concetti babilonesi, compreso quello dei cherubini il cui nome ebraico è mutuato dall’accadico. Ma la Bibbia ne usa solo come abbellimento e mette nelle mani di Dio come fossero giocattoli quelli che per gli altri popoli mediorientali limitrofi erano divinità. C’è quindi una grande opera di setacciamento e raffinazione da fare. Tra l'altro, nessuno di voi ha ancora indagato tutta quella serie di piccoli animali, tra mostriciattoli e spiritelli, che secondo la Bibbia infestavano i deserti e altri posti.
In ogni caso bisognerebbe dare un po’ più retta ai rabbini per non buttare con l’acqua sporca anche il bambino.
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Daminagor
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Daminagor »

ra l'altro, nessuno di voi ha ancora indagato tutta quella serie di piccoli animali, tra mostriciattoli e spiritelli, che secondo la Bibbia infestavano i deserti e altri posti.
In realtà io avevo introdotto il discorso, parlando dei demoni-capra...ma la cosa non ha avuto seguito :-(
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bgaluppi
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da bgaluppi »

Besa, la mia visuale si è "espansa"... Anche grazie a te (ma piú che altro grazie alle prove che Dio mi ha messo davanti ultimamente). ;) Ma non ho comunque trovato una "verità" unica e assoluta su molti argomenti. È chiaro che la verità non può essere che una, ma non credo che possiamo ancora comprenderla appieno.

Diciamo che prendo atto delle diverse interpretazioni (vedi Is 53) e poi le conclusioni, ove possibili, me le tengo per me. :-)

Gianni, infatti gli israeliti andavano nel deserto ad adorare certe strane "divinità". Lo facevano perché credevano nella loro esistenza o solo per mancanza di fede e superstizione?
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Gianni
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Re: Satana e il riscatto

Messaggio da Gianni »

Antonio, nel rispoderti allargo un po' il discorso parlando dei miti e riporto da un mio studio:

La realtà può essere vista in due modi: in quello mitico e in quello storico. La mentalità mitica, messa di fronte al mondo, non lo considera come appare, ma se lo immagina quale frutto di scontri tra forze personificate e divinizzate che misteriosamente stanno dietro alla realtà. Anche i fatti storici - nei miti - più che risultato di forze politiche e sociali, riflettono contrasti tra esseri divini. Tali miti in modo speciale riguardano l'origine del mondo e i primordi dell'umanità. La Bibbia conosce questi miti antichi, diffusi presso i sumeri, gli accadi, i fenici, ma ne usa in modo assai sobrio, più come tratti poetici che come realtà accolte nella propria fede (e solo con l'intento di mostrare la superiorità del Dio d’Israele su tutto il creato). Quanta differenza tra il maestoso racconto della creazione della Genesi (cap. 1) e l'epopea babilonese (Enuma Elish) secondo la quale Marduc fabbricò il mondo con il corpo del mostro Tiamat, suo rivale, e da lui debellato con difficoltà enormi! Di più, la Bibbia, anche quando allude alla lotta di Dio con esseri anti-divini, ne parla solo incidentalmente e per meglio portare in enfasi la superiorità infinita del Dio israelitico. Il passo: “Spezzasti la testa al leviatano, lo desti in pasto al popolo del deserto” (Sl 74:14), sotto la figura del primitivo mostro acquatico raffigura la liberazione di Israele dall'Assiria e dalla Babilonia: “In quel giorno, il Signore punirà con la sua spada dura, grande e forte, il leviatano, l'agile serpente, il leviatano, il serpente tortuoso, e ucciderà il mostro che è nel mare!” (Is 27:1). Abbiamo qui una storicizzazione del mito! Il mostro presentato nella mitologia cananea è qui ridotto a puro giocattolo nelle mani di Dio.
Nei libri poetici non mancano tracce di tale lotta epica, ma esse sono immagini poetiche anziché realtà ammesse dagli ebrei: “Dio stesso non stornerà la sua ira; sotto di lui devono inchinarsi i sostenitori di colui che infuria” (Gb 9:13, TNM); ciò che è tradotto “i sostenitori di colui che infuria” (frase oscura) e che NR cerca di spiegare con “i campioni della superbia” è in realtà nel testo originale ebraico: “Gli aiutanti di ràhav [רָהַב]”; questo ràhav era un mitico mostro marino. Poeticamente, la Bibbia mostra la superiorità del Dio di Israele sui sostenitori pagani di questi miti.
In Is 51:9,10 si legge: “Destati, destati, rivestiti di forza, o braccio di Geova! Destati come nei giorni di molto tempo fa, come durante le generazioni dei tempi antichi. Non sei tu quello che fece a pezzi Raab [רָהַב (ràhav), il mitico mostro marino], che trafisse il mostro marino? Non sei tu quello che prosciugò il mare, le acque del vasto abisso? Quello che fece delle profondità del mare una via per far passare i ricomprati?” (TNM). Un ricordo dell'antico valore dell'acqua come male (la pagana Orchessa Tiamat, opposta all'ordine) riappare in diversi libri biblici: i demòni non vogliono essere costretti ad abitare nell'abisso (Lc 8:31), dall'abisso escono gli esseri malvagi (Ap 11:7; 20:1-3). All'abisso presiede un angelo detto Abaddòn o “distruzione”: “L’angelo dell’abisso. Il suo nome in ebraico è Abaddon” (Ap 9:11, TNM). Nella nuova Gerusalemme mancherà ogni traccia del “mare”: “E il mare non è più” (Ap 21:1, TNM), in quanto non vi sarà più il male, simboleggiato appunto dal mare. Non è difficile vedervi l'eco di un linguaggio mitologico dove il dio principale scende in campo contro il caos primitivo. È quanto si cantava nella liturgia di capodanno in Babilonia. Ma di una tale festa non è rimasta ovviamente alcuna traccia liturgica presso gli ebrei, nonostante lo sforzo della scuola esegetica scandinava per provarne l'esistenza.
Scompaiono nella Bibbia tutte le divinità intermedie, forze naturali personificate, indispensabili in ogni narrazione mitologica. Anche le tenebre e l'abisso primordiali, ai quali si accenna, sono trasformati in esseri docili e ubbidienti al comando creatore divino. Inoltre le narrazioni bibliche si colorano di un contenuto morale (osservare il sabato nella creazione; punire i peccati nel Diluvio) che manca assolutamente in ogni narrazione mitica. Non vi sono reminiscenze mitiche in Gn 1.
Si tratta quindi di semplici paragoni poetici per meglio sottolineare idee proprie della spiritualità israelitica. Sono simili ad altre immagini poetiche come i “satiri” che danzano per la caduta della Babilonia e dell'Idumea (Is 13:21) e che si richiamano tra loro: “I frequentatori delle regioni aride devono incontrare animali ululanti, e perfino il demonio a forma di capro chiamerà il suo compagno. Sì, là il caprimulgo [ebraico לִּילִית (lilìth)] certamente starà a suo agio e si troverà un luogo di riposo” (Is 34:14). La fantasia popolare faceva, infatti, abitare i deserti da “satiri” (lilìth) o da spiriti malvagi (Mt 12:43; Ap 18:2). Si tratta di metodi che ancora oggi noi utilizziamo senza peraltro credere ai miti soggiacenti. Noi pure diciamo che un tale è un satiro, un Ganimede, un Adone, un Orfeo, un vampiro, una sirena, una strega, ma solo per indicare che quella persona ha attitudini simili a tali esseri leggendari, ai quali ora non crediamo ovviamente più.
Anche i discepoli dei primi secoli hanno presentato Yeshùa come il buon pastore. Quando ormai l’apostasia era divampata e i veri discepoli erano ormai “cristiani”, gli hanno attribuito l'aspetto di Mercurio crioforo; la testa di Yeshùa nel mosaico dell'abside di S. Prudenziana (4° secolo) è modellata sul tipo classico di Giove. Ciò non vuol dire, nonostante la loro apostasia, che essi credessero ancora a Giove o a Mercurio, ma utilizzarono forme artistiche allora in uso e le applicarono a Yeshùa. Perché anche uno scrittore sacro non avrebbe potuto utilizzare un procedimento simile e parlare poeticamente del leviatan e del mostro marino, noti al suo tempo, per meglio presentare la vittoria di Dio sul male?
Altri esempi. L'apertura del cielo per vedere Dio (Ez 1:1), l'esistenza del mondo degli dèi del Nord, sono espressioni di origine mitica, ma servono solo per sottolineare la presenza benefica di Dio. Yhvh viene sempre dal Nord (Is 14:13,14), mai da oriente (dove giaceva il Tempio) o dall'occidente, perché era pensiero comune che a Nord (tsafòn) giacesse la dimora degli dèi (corrisponde al monte Casius, presso Ugarit, sul quale troneggiava Baal). Ciò non deve scandalizzare. Dove mai gli ebrei potevano collocare idealmente Dio se non nella parte geografica che tutti ritenevano sede divina? Certo gli ebrei non credevano agli dèi (erano assolutamente monoteisti), ma potevano pensare che Dio venisse proprio dal luogo in cui i pagani ritenevano erroneamente ci fossero i loro inesistenti dèi. Anche oggi i religiosi pensano a Dio come abitante nel cielo sopra di loro, trascurando il fatto che quello stesso cielo è per altri esattamente sotto di loro, dall’altra parte del globo terrestre. Non va preso letteralmente: è un modo di dire, che Yeshùa stesso usò: “Padre nostro che sei nei cieli”. – Mt 6:9.
Anche i cherubini posti a difesa del giardino dell'Eden si rifanno ad elementi mitologici babilonesi: i kirubu (si noti l’assonanza), messi a difesa delle porte dei templi. La descrizione di Ezechiele (1:5) si rifà ai portatori del trono che in Babilonia assumono la forma di animali. I geni babilonesi riuniscono assieme i più diversi elementi figurativi: arti di uomo, di toro, di aquila e di leone. Hanno però sempre un'unica testa. Ezechiele dà loro quattro volti che raffigurano rispettivamente le varie parti del mondo animale (uomo, toro, aquila, leone) per indicare, secondo il concetto dei gentili, lo strapotere divino su tutte le divinità. Yhvh domina lo spazio in tutte le direzioni (gli animali non devono voltarsi, ma vanno diritti in ogni direzione). Si usano gli elementi mitologici, ma solo quali mezzi espressivi della potenza dell'unico vero Dio.
Il racconto della torre di Babele, nonostante alcuni tratti di colorito mitico (Dio che scende dal cielo per vedere la torre), è un'interpretazione spirituale della famosa ziggurat babilonese (Gn 11:1-9). Infatti, la geografia del passo ci orienta verso la terra di Sennaar, ossia la Mesopotamia, e precisamente nel distretto babilonese (l'attuale Bagdad). L'uso dei mattoni cotti al sole si spiega con il fatto che in quella ragione scarseggia la pietra. Il bitume usato come elemento è dovuto all'abbondanza di petrolio in tale luogo. Il re Nabopolassar così afferma: “Feci dei mattoni; li feci preparare, mattoni ben cotti. Come un fiume dal cielo, senza misura alcuna, come una fiumana d'acqua devastatrice, comandai al canale Arachta di portarmi asfalto e bitume”. - A. Jrku, Altor: Kommentar zum A.T., Leipzig, 1923, pag. 53.
Tra le varie torri piramidali primeggia per l'imponenza della costruzione la ziggurat di Babel, esaltata dai documenti dell'epoca come una meraviglia senza pari, e che si chiamava in sumero E-temen-an-ki, vale a dire “Casa [tempio]–del-fondamento-del-cielo-e-della-terra” (esplorata da R. Koldewey nel 1899-1917, ha per base un quadrato di 91 m; la terrazza sulla quale essa si erge era di 456x412 m; cfr. A. Parrot, La tour de Babel, Neuchâtel, 1953). Di essa Apocrizione di Alessandria (4° secolo a. E. V.) dice che “era stata costruita da giganti che si proponevano di scalare il cielo”. Si tratta di un edificio a terrazze che, innalzandosi sempre più, riducevano l'estensione del loro quadrato a ogni ripiano. Ad esse si accedeva mediante apposite gradinate. Le ziggurat volevano simulare le montagne inesistenti in Mesopotamia, sulle quali gli antichi pensavano di avvicinarsi di più alla divinità posta in cielo. La ziggurat di Babel, caduta parzialmente in rovina, era indubbiamente segno dell'orgoglio umano. Nabopolassar (625-605 a. E. V.) si vantava di aver voluto rendere “il fondamento della terra simile [per stabilità] al cielo”. Nabucodonosor (604-562 a. E. V.) si gloriava di aver “costretto tutti i popoli di numerose nazioni al lavoro della E-temen-an-ki”. Tiglat-Pileser (1110-1090 a. E. V.) si vantava di aver reso “una sola bocca”, vale a dire assoggettati, “quarantadue territori”. Tale scopo della costruzione della ziggurat di Babel stava scritto nella tavoletta di Esagila (era questo il nome del tempio costruito sulla sua sommità) in lingua e in caratteri ermetici. La Bibbia ne prende lo spunto per mostrare come tale intento unificativo di “tutta la terra” (di cui si parla in Mesopotamia) sia andato fallito e l'impresa rimasta senza termine. L’espressione “una lingua sola” indica l'unificazione di vari popoli con un solo intento, con una religione sola; denota l'unità politica, morale e religiosa dei vari popoli. Era un’espressione idiomatica per indicare l'unità di azione. La “confusione delle lingue” per cui essi non comprendevano più la lingua l'uno dell'altro, significa la discordia dei vari popoli assoggettati. “Il popolo che abita in Shuanna [Babilonia] rispose l'un l'altro: No! [non si capirono più, caddero in fazioni] e complottarono ribellioni per lungo tempo, per cui stesero le mani sull'Esagila, sul tempio degli dèi, e dissiparono oro, argento, pietre preziose per pagare l'Elam”. - Pietra nera in Asarhaddon in D.D. Luckenhill, Ancient Records of Assyria and Babylonia II, pag. 242 n. 642.
La cessazione dell'opera costruttiva fu certamente dovuta a invasioni nemiche, simili a quelle di cui parla, ad esempio, l'assiro Sennacherib nel 689: “Le città e le case, dalle fondamenta al tetto, devastai, distrussi, consumai con il fuoco. Le mura, i baluardi, i templi degli dei, le ziggurat di mattoni e di terra, quante ne aveva, io le demolii e le gettai nel canale Arechta. In questa città scavai canali, feci sparire la loro terra nelle acque, annientai le loro grosse fondamenta, io le trattai peggio di un diluvio. Affinché nell'avvenire non si trovasse più il posto; città e i templi degli dèi, io li distrussi con l'acqua, io li trasformai in palude”. Con l'indebolimento del potere centrale i sudditi, prima sottomessi, si ribellarono e non furono più di una “sola lingua” come prima. Secondo il linguaggio biblico che elimina ogni causa seconda, tutto ciò è attribuito a diretto intervento divino che deve “scendere” per visitare l’“alta” torre che si eleva verso il “cielo”. La visione di questa ziggurat incompleta, che poi altri sovrani dovettero cercare di completare, fu vista da Israele come il tentativo babilonese di procurarsi fama, di stabilire un grosso impero indipendentemente da Dio, che però scendendo (egli è molto più eccelso di tutte le costruzioni umane) per attuare il suo giudizio di condanna, produsse discordie, fazioni e opposizioni con la conseguente cessazione di ogni attività costruttiva. Così la torre, che doveva essere segno di potenza e di unione, divenne simbolo di discordia e di disunione.
Che non si tratti di confusione linguistica risulta chiaro dal capitolo 10 in cui già si presentano i vari popoli con le loro differenti lingue, come se si fossero evolute in modo normale: “Questi furono i figli di Sem secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nei loro paesi, secondo le loro nazioni”. - Gn 10:31, TNM.
Poi in Gn 11:1 si legge nella traduzione italiana: “Ora tutta la terra continuava ad avere una sola lingua e un solo insieme di parole”. Ma l’ebraico non ha per nulla “una sola lingua”. Il testo biblico ha “un solo labbro” (M, LXX, Vg). In 10:31, “secondo le loro lingue” è infatti לִלְשֹׁנֹתָם (lilshonotàm); mentre in 11:1 siשָׂפָה אֶחָת (sapà ekhàt), “un labbro solo”. Questa espressione (“un labbro”) è tipica per indicare “un solo sentimento”. Inoltre, quello che TNM rende “un solo insieme di parole” e che, nella nota in calce, spiega come “un solo vocabolario”, è nel testo ebraico דְבָרִים אֲחָדִים (dvarìym ekhadìym) ovvero “parole uniche”, che esprime l’idea di un intento condiviso cui attenersi (un po’ come il nostro “avere una sola parola”).
Infine, si ha il fatto che babel [= “porta di Dio”] fu fatto derivare dalla radice balbul che significa “mistura” (vale a dire “confusione” di mente, di regione, di popoli). Il vero ricordo ebraico sul loro passato s’incentra nella liberazione dall'Egitto, con Mosè, il legislatore che ha formato la morale biblica sotto la guida di Dio rivelatosi al Sinày. Da questa esperienza fondante gli ebrei risalgono pure ai patriarchi, specialmente fino ad Abraamo, non nascondendo però la circostanza non gradita che i “padri, come Tera padre di Abraamo e padre di Naor, abitarono anticamente di là dal fiume, e servirono gli altri dèi” (Gs 24:2). Più indietro risalgono al Diluvio, alla storia della caduta primitiva (peccato di Adamo e Eva), ma intessendo il tutto entro una cornice morale, priva di veri tratti mitici e contenuta in un racconto che non lasciò vasta ripercussione nei successivi scritti sacri. Questi muovono sul terreno della storia e sono estranei a tutta la letteratura mitica che tanto sviluppo ebbe presso gli altri popoli semiti. Nella storia primitiva gli ebrei introducono il quadro universale di tutti i popoli ricollegati genealogicamente a un'origine unica (Noè), il che fa vedere una valutazione storica senza parallelo con gli altri popoli antichi.
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