Avrei voluto discutere ,chiarire di un'altra questione ,come ad esempio ...
''Adorare in spirito e verita'' ...restata mi sembra la domanda in sospeso ,mah ...
leggendo TORA AL FEMMINILE ' condivido con voi ...un pensiero di ''
...YARONA PINHAS ''
Shar e mar: l'amaro del canto
Stasera è il settimo giorno di Pesach, la spartizione delle acque del mar rosso e usiamo leggere “la cantica del mare”, shiràt-hayam (Esodo 15).
Dice re Salomone: "Tre cose sono a me ignote, anzi quattro non conosco: Il cammino dell'aquila nel cielo, il cammino del serpente sul sasso, il cammino della nave in mezzo al mare, il cammino dell'uomo in una fanciulla" (Proverbi 30:18-19). L'aquila è simbolo di spiritualità, il serpente della medicina, la nave rappresenta il sostentamento dell'uomo, parnassà, e per ultimo c’è il mistero della coppia.
Certi avvenimenti non lasciano una traccia imperitura, non ne conosciamo il tragitto, ne’ il loro svolgersi o le loro conseguenze. Pur se le generazioni precedenti hanno mostrato la via, ogni uomo rimane solo nella sua ricerca di senso e realizzazione. Ogni vita è unica e dovrebbe avere un unico verso: l'aspirazione a fare del bene a noi stessi ed agli altri. In questo consiste seguire la via divina, che è altra cosa dal libero arbitrio simboleggiato dall'albero della conoscenza del bene e del male.
Shirà, canto, da sharsheret שרשרת, catena, da shurà, שורה, riga. Ogni evento nella nostra vita è un anello di una catena di avvenimenti che danno scopo e senso all’esistenza umana, ciascuna di queste tappe trova collocazione giusta se celebrato e vissuto nel presente: noi siamo anelli nel tempo.
In un racconto midrashico re Salomone spiega con immagini curiose e divertenti l'importanza del canto. "Un bambino di un anno assomiglia a un re, tutti lo abbracciano e lo coccolano; a due o tre anni sembra un maialino poiché tocca tutto ciò che è sudicio; a dieci anni rassomiglia a una capretta che tutto il giorno salta e si arrampica, mentre a venti anni è come un cavallo che si nitrisce agitato e si fa bello ogni volta che vede passare una femmina. Quando si sposa, assomiglia a un somaro che sopporta i pesi del lavoro e della famiglia, quando diventa padre è combattivo come un cane per provvedere al necessario e da vecchio è come una scimmia che si ripete infinitamente imitando se stesso. Solo un uomo ha superato tutte queste fasi in modo regale, e questo è re Davide, grazie al fatto che sapeva cantare anche quando era nell'utero" (Qohelet Rabbà).
.Cantare è un modo per ringraziare, per esprimere i sentimenti più profondi e belli, cantare quello che si ha, quello che si desidera e soprattutto quello che si è.
Escludendo il canto dall’esistenza, non cantando, senza shar שר si provoca la caduta nashar,נשר, e la povertà, rash, רש che portano all’amarezza, mar, מר, che però può tramutarsi in ram, רם, elevazione.
La Torà c'insegna di non essere mar e di farci guidare dall'"amara" Miriam, מרים che ha fatto tiqqùn, rettificazione, cantando mentre attraversava il mare all'uscita dall'Egitto, diventando morà, ,מורה insegnante e guida a tutte le altre donne, e merimà, מרימה, colei che eleva e solleva. Miriam ci dimostra come trasformare l'amaro in canto e i luoghi angusti in nuovi orizzonti.
Cantare per sollevarsi dalla durezza e amarezza della vita è una capacità prettamente femminile - sono sempre state le donne che hanno sfidato l'amaro con l'amore.
Il popolo d'Israele ha vagato nel deserto per quaranta anni (viaggio che poteva durare undici giorni) per trasformare il conto dei giorni amari in canto, e la cecità in visione: chi è ottenebrato dall’amarezza non vede lo spiraglio che gli si presenta anche se ha di fronte la meraviglia della spartizione delle acque.
Tra amarezza e canto, tra mar מר e shar שר c’è una lettera che fa la differenza: la prima è la mem di maim, acque, e la seconda la shin di esh, fuoco. L’una rappresenta la sefirà di chokhmà, sapienza, e l’altra la sefirà di binà, intelligenza.
Dalle acque profonde, oscure e inquietanti dell'inconscio collettivo (emisfero destro del cervello) avviene la divisione, la distinzione (emisfero sinistro), si crea la spartizione, l'apertura del canale: Mosè con il suo bastone crea il passaggio nelle acque del mare. In ebraico, il termine usato per "spartizione delle acque" è qri'at yam suf, ,קריעת ים סוף che potrebbe essere letto “lo strappo del mare finito (sof)”: l'uomo può percepire il finito-limitato e non l'infinito-illimitato.
Quando si antepone a shar la lettera alef, simbolo del divino e dell'infinito, si ottiene osher, אשר, felicità; e quando invece si premette la lettera 'ayin, simbolo del mondo materiale e finito, si raggiunge la ricchezza, 'osher, עשר.
L’amarezza e la disperazione allontanano dalla visione d'insieme perché evidenziano solo lo "strappo" e la soluzione adatta sembrerebbe quella di "ricucirlo” al più presto. Invece la via d'uscita è proprio lo strappo stesso, perché spezza il circolo vizioso, il circuito di eventi amari e ripetitivi apparentemente senza fine e senso. Questo parto doloroso è “in riga” con il percorso di evoluzione che consente al nostro Io di liberarsi dalle zavorre ed esprimersi in libertà, allora l'amaro diventa canto. Essere “in riga” significa trasformare il malessere e percorrere la via regale, la via mediana dell'Albero della Vita, contrassegnata dalle sefiròt di da'at, conoscenza, tiferet, bellezza, yesod, fondamento e malkhùt, regno. Questo processo ci permette di ricostruire il nostro tempio interiore, dimora della Shekhinà, e vivere nella soddisfazione di una vita piena e realizzata da un lato, e dall'altro lasciar una porta aperta al "vuoto", alle numerose eventuali possibilità.
Il criterio da seguire è questo: "leggere lo strappo". In ebraico si tratta di scambiare due lettere: la 'ayin di qri'à, קריעה, strappo, con l'alef di qria, קריאה, lettura. Quando si ha conoscenza e metodo di lettura per capire gli eventi che accadono nella nostra vita, troviamo senso alle difficoltà e questo diventa fonte di vitalità. Quando invece, non si trova un filo conduttore agli eventi, allora la vita è percepita come priva di senso e scopo ed è vissuta con amarezza.
In conclusione, se una cosa ci fa sentire shar, ci appartiene, se invece ci rende mar, è da trasformare o lasciare. Ricorda che ogni sof, fine, e anche saf, soglia: il punto di arresto o di prosecuzione, dipende da te (Pereq Shirà, Il capitolo del canto, Yarona Pinhas). חג שמח Chag Sameach a tutti!
noi tutti possiamo trarre insegnamento ''spirituale ''
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