Commento ai Vangeli

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Michele
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Re: Commento ai Vangeli

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Gianni
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Re: Commento ai Vangeli

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Ci sono due modi di fare lettura dei Vangeli: quella religiosa e quella biblica. La prima è quella adottata nelle chiese, che lascia il tempo che trova. Quella biblica richiede una buona preparazione. Si potrebbero anche saltare le generalità dei singoli Vangeli (ambiente, autore, epoca di composizione, destinatari), sebbene esse si ripropongano per certi passi, ma non si può evitare di calarsi nel pensiero ebraico della Scrittura. Solo così si può comprendere il vero senso delle parole di Yeshùa. Diversamente rimane la lettura nello stile domenicale, che lascia il tempo che trova.
Approcciando i Vangeli si può farlo come si deve, iniziando dalle generalità. Questa è la strada lunga ma più completa. Altrimenti c’è la via breve: prendere un singolo passo alla volta e approfondirlo, ma sempre calandosi nel pensiero ebraico; diversamente si rischia di prendere lucciole per lanterne o fischi per fiaschi.
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Gianni
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Re: Commento ai Vangeli

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È vero, Michele, molte cose le possiamo capire così come sono scritte. Per i significati meno evidenti occorre riferirsi ai singoli passi. Visto che hai iniziato con Mr, potresti citarne i passi che vuoi approfondire. Uno alla volta, ovviamente.
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Gianni
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Re: Commento ai Vangeli

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Sono stupito che la Nuova Diodati si allinei a NR nel tradurre in Mr 1:38 “è per questo che io sono venuto”. Il testo greco ha ἐξῆλθον (ecsèlthon). Si tratta del verbo ἐξέρχομαι (ecsèrchomai), che significa “uscire”. Bene traduce Diodati: “È per questo che io sono uscito”. Nel contesto è detto che Yeshùa si era alzano la mattina molto presto, mentre era ancora notte, e che era andato in un luogo deserto a pregare. Simone e altri, non trovandolo al loro risveglio, si erano messi a cercarlo; trovatolo, gli domandarono spiegazioni, e Yeshùa chiese che andassero per i villaggi vicini, spiegando: “È per questo infatti che sono uscito”. La forma verbale ecsèlthon è all’indicativo aoristo, quindi ha questa sfumatura: “Sono uscito all’improvviso”.
L’urgenza di predicare che Yeshùa sentì in quel momento è in armonia con Lc 4:43: “Anche alle altre città bisogna che io annunci la buona notizia del regno di Dio; poiché per questo sono stato mandato”; qui si ha ἀπεστάλην (apestàlesen), dal verbo ἀποστέλλω (apostèllo), che significa “ordinare a qualcuno di andare in un certo luogo”.
Alla fine della sua missione Yeshùa poté quindi dire, rivolto a Dio: “Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data da fare”. - Gv 17:4.
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Re: Commento ai Vangeli

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Temo di sì: in Mr 1:38 il Vianello sbaglia. È anche vero che ἐξέρχομαι (ecsèrchomai), “uscire”, può avere un senso metaforico (“venire fuori”), come nascere o venire avanti nel mondo o davanti a un pubblico, ma nel passo marciano certamente no. A meno che il Vianello intenda qualcosa del tipo “sono venuto (qui)”, in risposta alla domanda dei discepoli che domandavano dove mai fosse finito, non avendolo trovato; tuttavia questa spiegazione saprebbe in contrasto con “andiamo altrove”.
Circa il contenuto della predicazione di Yeshùa, lascio la risposta ad altri. Non sarà difficile fare una piccola indagine biblica e definirlo.
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Gianni
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Re: Commento ai Vangeli

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Il Vangelo di Marco è detto Vangelo del segreto, perché Yeshùa tace la sua missione e non vuole che si sappia. Un cambiamento si ha solo dopo la confessione di fede fatta da Pietro.
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Gianni
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Re: Commento ai Vangeli

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No, Michele, non mi riferisco a Mr 8:27, ma ad altri passi.
Il Vangelo scritto di Marco è il Vangelo del segreto messianico. Questo Vangelo fa, infatti, risaltare che Yeshùa, all’inizio della sua predicazione, conservò il silenzio più assoluto sulla sua funzione messianica e impose tale silenzio anche agli altri:
“Egli disse loro: ‘A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché: Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati’”. - Mr 4:11,12.
Ai demòni che lo riconoscono, Yeshùa ordina di tacere:
“’Sei venuto per mandarci in perdizione? Io so chi sei: Il Santo di Dio!’ Gesù lo sgridò, dicendo: ‘Sta' zitto!’”. - Mr 1:24,25.
“Scacciò molti demòni e non permetteva loro di parlare, perché lo conoscevano”. - Mr 1:34.
“Egli ordinava loro con insistenza di non rivelare la sua identità”. - Mr 3:12.
Lo stesso silenzio circa la sua identità lo impone ai malati che guarisce e ai morti che resuscita:
“Guarda di non dire nulla a nessuno”. - Mr 1:44.
“Gesù ordinò loro di non parlarne a nessuno”. - Mr 7:36.
“Gesù lo rimandò a casa sua e gli disse: ‘Non entrare neppure nel villaggio’”. - Mr 8:26.
“Egli comandò loro con insistenza che nessuno lo venisse a sapere”. - Mr 5:43.
Ai discepoli stessi che lo confessano, Yeshùa impone il silenzio, ordinando di non riferirlo a nessuno:
“Egli domandò loro: ‘E voi, chi dite che io sia?’ E Pietro gli rispose: ‘Tu sei il Cristo’. Ed egli ordinò loro di non parlare di lui a nessuno”. - Mr 8:29,30.
Lo stesso Marco sottolinea che Yeshùa “non voleva farlo sapere a nessuno”. - 7:24; cfr. 9:30.
Vi è anche un segreto circa il regno di Dio: “Il mistero del regno di Dio” (Mr 4:11; meglio tradotto con “sacro segreto”, TNM). Le spiegazioni delle parabole avvengono privatamente (4:34), così come quelle di certi miracoli (9:28). La persona stessa di Yeshùa è rivelata nella gloria a pochissimi intimi (9:2). Anche le realtà future sono dette “in disparte” (13:3). Una presentazione più completa è spesso data solo ai quattro discepoli chiamati per primi (1:16-20,29;5:37;9:2;13:3;14:33). Anche la profezia della passione è data mentre sono per via, lontano dalle folle. - 8:27;9:33;10:32.
Oggi sì che si possono applicare le parole di Gv 16:25: “L'ora viene che non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente”.
Il silenzio di Yeshùa viene rotto dalla scena di Cesarea, che sta appunto al centro dello scritto di Marco e segna una svolta nell’insegnamento di Yeshùa: “Pietro gli rispose: ‘Tu sei il Cristo’” (8:29). Infatti: “Poi cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell'uomo soffrisse molte cose” (8:31). Quel “cominciò” indica un orientamento nuovo nell’insegnamento di Yeshùa, che si esprime più apertamente e non in senso velato: “Diceva queste cose apertamente” (v. 32). Successivamente, alle porte di Gerico, un cieco “si mise a gridare e a dire: ‘Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!’” (10:47), e lo fa due volte; eppure, Yeshùa non gli impone il silenzio: segno che il segreto messianico non urgeva più.
A Gerusalemme Yeshùa parla della sua autorità (11:27-33), espone la parabola dei vignaioli assassini ben compresa dagli avversari (12:1-12), parla della resurrezione dei morti (12:18-27) e perfino del figlio di Davide (12:35, sgg.). Il tocco finale è dato dalla confessione di Yeshùa davanti al sommo sacerdote che gli domanda se lui è il messia o consacrato: “Lo sono”. - 14:62, TNM.
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Re: Commento ai Vangeli

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Concordo, Michele: Yeshùa mantenne segreta la sua identità per non esporsi prima del tempo, perché non era giunta la sua ora. Non rischiava solo la vita prima del tempo, ma rischiava di essere messo a capo di una rivolta contro i romani, perché i giudei del suo tempo si aspettavano proprio questo dal messia. In un’occasione ci fu proprio questo rischio, e Yeshùa se la svignò: “La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse: «Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo». Gesù, quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo” (Gv 6:14,15). In verità, Yeshùa è destinato da Dio a essere il re universale, ma non era in tempo. Il maligno, sapendo il piano di Dio, in una delle sue tre tentazioni propose a Yeshùa di diventare re di tutta la terra per una via facile e senza passare dalla sofferenza, ma Yeshùa rifiutò.
Ma rimaniamo si Marco. Cosa vuoi trattare ora di Mr?
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Esatto. La situazione descritta da Mr 3:20-30 trova Yeshùa al centro dell’incomprensione generale. Dapprima, i familiari di Yeshùa credono che sia uscito di senno e lo trattano come uno fuori di testa: vergognandosi di lui, mandano a prenderlo per riportarlo a casa, come farebbe una moglie che va all’osteria a riprendersi il marito che sproloquia (v. 21). La situazione peggiora con gli scribi, che addirittura affermano che è indemoniato (v. 22). Yeshùa risponde con perfetta logica, ma fa anche un’osservazione molto profonda: quegli scribi stanno rifiutando l’evidenza dell’azione divina, dello spirito santo di Dio, per cui non si tratta semplicemente di un’offesa recata a lui, ma a Dio stesso: “In verità vi dico: ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno»” (vv. 28,29). Il v. 30 conferma: “Egli parlava così perché dicevano: «Ha uno spirito immondo»”.
βλασφημία (blasfemìa) in greco significa parlare empiamente contro la maestà divina.
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Re: Commento ai Vangeli

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Vero, ma con ciò che vuoi dire?
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