Come è avvenuta la creazione?

alessandra
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da alessandra »

anzi ciao a tutti :-) spero che poi la vicenda con quella donna cattolica si è conclusa nel migliore dei modi :-)
noiman
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da noiman »

Ciao Alessandra.
Non ho molto tempo ma provo a darti una breve risposta ,
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Gianni
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da Gianni »

Quanto scritto da Noiman mi ha fatto venire in mente altre riflessioni che propongo di seguito, chiedendo allo stesso Noiman – se lo ritiene – di correggere il tiro per ciò che riguarda le mie riflessioni basate sul Tanàch (gliene sarei grato).

È basandosi sulla sua esperienza personale, che l’apostolo Paolo cerca di assolvere il difficile compito di far comprendere la funzione della Toràh a delle comunità composte sia da persone deformate dal legalismo farisaico sia indifferenti alla Legge di Dio.
La teologia farisaica con cui Paolo era stato formato “ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri” (At 22:3) definiva il peccato come pure lo definisce 1Gv 3:4: “Il peccato è la violazione della legge”. Paolo, pur affermando questa verità biblica, vede oltre: se l’essenza della Toràh è l’amore, il peccato non è solo la trasgressione della Legge, ma anche la rottura di una relazione. La mancanza di rispetto per Dio e l’indifferenza per la sua volontà sono il rifiuto dell’amore di Dio. Questo non rispondere all’amore di Dio con l’amore, questa non risposta che, in effetti, è risposta fredda e distaccata alla sollecitudine divina, accomuna sia i pagani (che in qualche misura conoscono Dio attraverso la sua creazione), sia i giudei del suo tempo (che conoscono la Toràh); ambedue i popoli trasgrediscono.
Pagani: “L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l'ingiustizia . . . pur avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio, né l'hanno ringraziato”. - Rm 1:18-32, passim.
Giudei: “Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti vanti in Dio, conosci la sua volontà . . . come mai dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? . . . Tu che ti vanti della legge, disonori Dio trasgredendo la legge?”. - Rm 1: 2:17-29, passim.

Il peccato è, sia nella lingua ebraica sia in quella greca, un fallire il bersaglio, non raggiungere un obiettivo. In Gdc 20:16 si parla di alcuni frombolieri che “potevano lanciare una pietra con la fionda a un capello, senza fallire il colpo”; “fallire il colpo” è nel testo ebraico יַחֲטִא (yakhàti). Il verbo חטא (khatà) significa sia “peccare” sia “mancare (il bersaglio)”. Nel passo di Gdc citato, la LXX greca usa il verbo ἐξαμαρτάνοντες (ecsamartànontes), che contiene la parola ἁμαρτία (amartìa). Dalle documentazioni che sono state ritrovate e che parlano degli antichi giochi olimpici, sappiamo che quando un atleta mancava il bersaglio, la folla gridava: “Ἁμαρτία, ἁμαρτία” (amartìa, amartìa), “Sbagliato! Sbagliato!”. In termini moderni che ci sono familiari: Peccato! Peccato! Il peccato è quindi prima di tutto un errore ma questo errore è nella Bibbia una violazione della santa Toràh di Dio: “Il peccato [ἁμαρτία (amartìa)] è la violazione della legge” (1Gv 3:4). Mentre per lo più i nostri errori sono sbagli dovuti a mancanza di attenzione, pigrizia o superficialità, la trasgressione è un atto consapevole e molto grave. In italiano la parola “trasgressione” contiene due significati, riferendosi sia all’atto di trasgredire sia al risultato di tale atto. Nella sua precisione, la lingua greca ha due parole distinte. In Rm 5:14,15 troviamo tutt’e due le parole: “La morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione [παραβάσεως (parabàseos)] simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Però, la grazia non è come la trasgressione [παράπτωμα (paràptoma)]”. La prima parola è παράβασις (paràbasis), di cui παραβάσεως (parabàseos) è genitivo: la terminazione greca –σις (-sis) indica l’azione, l’atto, il trasgredire. La seconda parola è παράπτωμα (paràptoma): il suffisso –μα (-ma) indica il risultato dell’azione, la colpa per aver trasgredito. È dopo aver compiuto l’atto di trasgressione (paràbasis) che si acquisisce la colpa (paràptoma). Da ciò deriva la condizione di “ingiustizia”, l’ἀδικία (adikìa), che è uno stato di ribellione contro Dio, il modo di vivere in cui il peccato signoreggia l’essere umano e lo distrugge.

L’essere umano, non è in grado di abbandonare il peccato con le sue forze:
“Che cosa diremo dunque? La legge è peccato? No di certo! Anzi, io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge; poiché non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: ‘Non concupire’. Ma il peccato, còlta l'occasione, per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza; perché senza la legge il peccato è morto. Un tempo io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii; e il comandamento che avrebbe dovuto darmi vita, risultò che mi condannava a morte. Perché il peccato, còlta l'occasione per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno e, per mezzo di esso, mi uccise. Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono. Ciò che è buono, diventò dunque per me morte? No di certo! È invece il peccato che mi è diventato morte, perché si rivelasse come peccato, causandomi la morte mediante ciò che è buono; affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante. Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Poiché, ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Così dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato”. – Rm 7:7-25.
Peccare non è solo trasgredire la santa Toràh di Dio; è opporsi alla Legge, ignorarla. “Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato” (Gc 4:17), per cui l’omissione del bene è peccato tanto quanto fare il male. È per questo che “tutto quello che non viene da fede è peccato” (Rm 14:23). Non basta compiere le “opere della Legge”: occorre la convinzione, la fede in Dio ubbidendo alla sua santa Legge con pieno convincimento.

Vista la condizione umana peccaminosa, Paolo sa “che tutti, Giudei e Greci [= ebrei e pagani], sono sottoposti al peccato” (Rm 3:9) e che “tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” (Rm 3:12; cfr. Sl 14:3;53:3). L’essere umano non solo è peccatore, ma è in una posizione bloccata, non sapendo come venirne fuori.

È a questo punto della riflessione che Paolo si discosta dalle sue precedenti convinzioni farisaiche. Nell’antropologia dei farisei si ammetteva che nella natura dell’essere umano ci fossero, sin dalla creazione, due impulsi: uno buono e uno cattivo:
1. Impulso buono: הטוב יצר (yètzer hatòv). È l’inclinazione al bene che si acquisisce quando giunge la maggiorità spirituale (12 anni per le ragazze, 13 per i ragazzi: bat mitzvà, מצוו בת, “figlia del comandamento”; bar mitzvà, מצוו בר, “figlio del comandamento”).
2. Impulso cattivo: הרע יצר (yètzer harà). È l’inclinazione al male; non è una forza demoniaca, ma l’uso scorretto delle necessità fisiche. – Gn 6:5;8:21.
Nella concezione farisaica, l’essere umano non è quindi obbligato verso l’inclinazione al male o al bene, ma ha il potere di scelta ed è in grado di scegliere coscientemente e volontariamente. - Berakòt 61a,b; Nedarìm 32b; Ecclesiaste Rabàh 4:13.

Paolo è molto più realista e sa che la forza di volontà non basta per compiere il bene ed evitare di compiere il male. Nonostante lo sforzo personale, ‘il bene che vogliamo, non lo facciamo; ma il male che non vogliamo, quello facciamo’ (Rm 7:19). Sebbene Paolo sia stato un fariseo convinto, ora che è discepolo di Yeshùa si discosta dalla concezione farisaica della salvezza. I farisei pensavano di poter ottenere la salvezza con le “opere della Legge” ovvero cercando di osservare i comandamenti con la forza di volontà, tramite opere meritorie che avrebbero recato, secondo loro, la giustificazione (la condizione di “giusti”) e quindi la salvezza. La parola greca δικαιοσύνη (dikaiosǘne) è la traduzione della parola ebraica (e del suo concetto) צדק (tzèdeq): giustizia e giustificazione insieme. Paolo parla di “dono della giustizia [δικαιοσύνης (dikaiosǘnes)]” (Rm 5:17), non di acquisizione della giustificazione-giustizia (dikaiosǘne) per meriti di opere compiute con ferrea volontà. Tuttavia, i bisogni fisici non devono essere abbandonati all’inclinazione cattiva, lo yètzer harà (הרע יצר): “Non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d'iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia [δικαιοσύνης (dikaiosǘnes)] a Dio” (Rm 6:13). Cosa cambia? Cambia la prospettiva e il modo: non si tratta più di guadagnarsi la giustificazione-giustizia (dikaiosǘne) tramite sforzi a colpi di forza di volontà con le presunte meritorie “opere della Legge”, ma di rispondere al “dono della giustizia [δικαιοσύνης (dikaiosǘnes)]” di Dio ubbidendo con fede e permettendo che la giustizia di Dio operi in noi.
La fede è per Paolo e per tutti gli autori ispirati della Scrittura, molto di più di una convinzione intellettuale; questo è un concetto occidentale, non biblico. La fede non è semplicemente credere: “Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano. Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?” (Gc 2:19,20). La prima volta che nella Bibbia si parla di fede, è in Gn 15:6: “[Abraamo] credette [“ripose fede”, TNM] al Signore”. Ecco perché è detto che Abraamo è “il padre di tutti quelli che hanno fede” (Rm 4:11, TNM). “Ripose fede” è nel testo ebraico הֶאֱמִן (heemìn), voce del verbo אָמַן (amàn), derivato semanticamente da אֱמוּנָה (emunàh), che indica la stabilità e la solidità. Da questa parola deriva anche אָמֵן (amèn), che significa “sicuramente”, “certamente”, nel senso di essere d’accordo. I demòni che credono nell’esistenza di Dio (e per questo tremano) sono un esempio di mancanza di fede. Le persone che si limitano a dire che credono nell’esistenza di Dio, ma non hanno fede secondo la Bibbia, imitano i demòni che pure credono, con la differenza che i demòni ci credono davvero e per questo hanno i brividi - φρίσσουσιν (frìssusin), “gli si rizzano i peli”, letteralmente - mentre loro non tremano neppure. La fede biblica comporta una relazione d’intimo affetto e di comunione espressi nella fiducia e nella fedeltà. È non solo un’identificazione, ma un coinvolgimento che porta all’obbedienza. Non è possibile mantenere questo profondo coinvolgimento senza rispondere con le opere. Una fede senza opere non ha senso. “A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?”. – Gc 2:14.
Per Paolo, come per tutti gli agiografi, la fede implica il fare la volontà di Dio, ubbidire. Di questa fede espressa nell’ubbidienza alla Toràh di Dio, possiamo notare nella Bibbia una progressione.
• Sl 15 (di Davide). “O Signore, chi dimorerà nella tua tenda? Chi abiterà sul tuo santo monte?”. Davide elenca 11 punti:
1. “Colui che è puro
2. e agisce con giustizia
3. e dice la verità come l'ha nel cuore;
4. che non calunnia con la sua lingua,
5. né fa male alcuno al suo vicino,
6. né insulta il suo prossimo.
7. Agli occhi suoi è spregevole il malvagio,
8. ma egli onora quelli che temono il Signore.
9. Se anche ha giurato a suo danno, non cambia;
10. non dà il suo denaro a usura,
11. né accetta regali a danno dell'innocente”.
• Isaia 33:14-16. “Chi di noi potrà resistere al fuoco divorante?” Isaia elenca sei punti:
1. “Colui che cammina per le vie della giustizia,
2. e parla rettamente;
3. colui che disprezza i guadagni estorti,
4. che scuote le mani per non accettare regali,
5. che si tura gli orecchi per non udir parlare di sangue
6. e chiude gli occhi per non vedere il male”.
• Isaia 56:1. Per bocca di Dio (“Così parla il Signore”), Isaia sintetizza tutto in due punti:
1. “Rispettate il diritto
2. e fate ciò che è giusto”.
• Mic 6:8. Con Michea l’obbedienza è sintetizzata in tre punti: “O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il Signore, se non che
1. tu pratichi la giustizia,
2. che tu ami la misericordia
3. e cammini umilmente con il tuo Dio?”
• Ab 2:4. Il profeta Abacuc identifica la Legge in solo principio:
1. “Il giusto per la sua fede vivrà”.

Ora si noti molto bene ciò che Ab dice sotto ispirazione: “Il giusto per la sua fede [אֱמוּנָה (emunàh)] vivrà”. Di certo il profeta non intende ritenere abolita la Toràh. Piuttosto, salvaguardando la Legge e la sua osservanza, afferma a nome di Dio che è necessaria l’emunàh (אֱמוּנָה), che come abbiamo visto è la fiducia in Dio che si mostra nella fedeltà con l’ubbidienza. In Rm 1:17 Paolo cita le parole di Ab 2:4; va da sé che egli non possa intendere una cosa diversa da quella detta da Abacuc. Come Abacuc, che cita, Paolo ritiene la Toràh sempre valida, dicendo che va osservata con emunàh (אֱמוּנָה), con fede. Ma fede biblica, quella che non si limita a credere ma obbedisce alla Legge di Dio. Paolo lo dice chiaramente: “Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge”. - Rm 3:31.
Nel Talmùd la Toràh è vista nei suoi 613 precetti: “Rabbi Simlai insegna che 613 comandamenti furono formulati da Mosè: 365 con formula negativa, 248 positiva, quante sono le membra del corpo umano” (Makòt 24a). Per Paolo, tutti i comandamenti, le osservanze, le prescrizioni e le norme si riassumono in una sola attitudine spirituale ovvero nella ricerca della volontà di Dio: “Non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com'è scritto: ‘Il giusto per fede vivrà’” (Rm 1:16,17). Che è poi quello che diceva Abacuc.
alessandra
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da alessandra »

A Noiman:

La punizione per la trasgressione commessa,è l'aggiunta di qualcosa di nuovo che è il discernimento(in sintesi).Sono d'accordo ;però perchè tale aggiunta ha portato alla perdita della conoscenza di Dio?Abramo ,ad esempio , non vorrei dire una sciocchezza ,mi pare sia stato il primo a discostarsi dal politeismo.Forse la conoscenza del bene l'avevamo già,quella che fu acquisita, fu la conoscenza del bene,dal punto di vista del male;in fondo è questo che poi porta all'acquisizione di una nuova coscienza.L'aumento dell'ampiezza della visuale ,ci ha man mano fatto perdere la conoscenza che avevamo in profondità, la nuova condizione fa si che noi vediamo le cose dal punto di vista del bene e poi le giudichiamo dal punto di vista del male .E' questo che secondo me ,ci porta zigzagando all'indietro ,sempre più lontano dal Bene .Il fatto stesso che la nudità non era scandalosa ma lo è diventata dopo, mi fa pensare ad un cambio della guardia.Se la nudità era davvero un male ,allora Dio voleva una cosa che era contro di lui?Osservo, che l'uomo è un tempio in cui prima vi abitava solo il suo Creatore ed in seguito, anche il suo avversario.Siamo come un regno diviso nel suo interno .Il nuovo regno si è creato nell'ego, che, se dapprima era solo una propaggine, con il peccato è diventato una potenza,un dominio che contende con l'io .Il distruttore spinge attraverso gli istinti(ossi il suo volere) ,a violare le leggi della giustizia e così pian piano giustificare la sua distruzione;ha piegato la mente e lo spirito all'ego e fa si che essi si voltino da Dio e lo servano,a me fa venire in mente come una mano infilata in un guanto in cui viene mosso a piacimento un dito contro l'altro.La colpa viene attribuita dal male ,lo stesso che ha dato gli istinti.Penso questo ,in quanto, l'albero della conoscenza del bene e del male era sempre stato lì e adamo ed eva, lo avevano sempre ignorato,quindi in loro non vi era nessuna volontà malvagia,è servito lo stratagemma del serpente (quindi un intervento esterno)affinchè trasgredissero ."Diventerete come Dio "non era un loro desiderio ma ,a cosa saputa,era cosa desiderabile e come ha detto Gianni,la colpa viene dopo.Ecco perchè non glielo aveva detto il loro Creatore.Egli sapeva che aveva detto ai suoi figli, che potevano prendere tutto quello che era desiderabile.Altra cosa che è cambiata dopo il peccato originale, è stato l'adorazione di Dio. Osservo che l'adorazione di Dio e il servire Dio, era ruolo dato agli angeli ,pur essendo superiori ,essi hanno il ruolo di servitori ed adoratori.Le creature terrestri per conoscendo Dio non hanno mai avuto questo ruolo,qui mi viene in mente quello che ha scritto Gianni (anche se in un contesto del tutto diverso e probabilmente ha un punto di vista sul bene e sul male opposto al mio))a proposito della fede che non è solo credere ma è quell'intima relazione con Dio ,quell'intima fiducia che(secondo me) può essere solo tipica di quel rapporto padre-figlio;tu compi le opere giuste,non per sottomissione, e anche, non credi in tuo padre per poi compiere opere contro di lui ma compi le opere giuste e credi in lui in virtù di quell'intima relazione in cui tu sei in comunione con lui.Forse questo è ciò che ha infastidito di più l'amor di sè,il fatto che le creature terrestri e in particolare l'uomo, non adoravano Dio,leggendo genesi ,non ho mai letto che adamo ed eva lo facevano e nel resto della bibbia,ho letto in numerosissimi passi la conoscenza che le creature hanno di Dio ma non ne praticano adorazione.Noiman, secondo me,questa è stata frutto di quell'aggiunta a gratis che adesso ci porta a vedere Dio in due modi schizofrenici differenti e ad avere lo stesso tipo di rapporto con le cose desiderabili.
noiman
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da noiman »

Ri-ciao Alessandra

]
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noiman
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da noiman »

Ciao Alessandra, non avevo visto il tuo ultimo intervento e
Ultima modifica di noiman il martedì 14 febbraio 2017, 23:46, modificato 1 volta in totale.
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Gianni
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da Gianni »

Caro Noiman, rifletto su queste tue parole:
L’albero della vita è “asè tov” “fai del bene”, l’albero della conoscenza del bene e del male è invece “sur merà” “fuggi dal male”. Essi rappresentano i precetti di questo mondo, “sur merà”, e “asè tov”sono intrecciati e profondamente connessi. Apparentemente i concetti sono due e opposti, ma nel pensiero ebraico si aggiunge una terza posizione: non basta fare “il bene”, ma occorre allontanarsi dal male e questa condizione viene prima della seconda. I due concetti sono opposti, si intersecano contigui e contradditori; non faccio il male? …..Allora vuole dire che così facendo faccio del bene, ma questo pensiero vale anche all’opposto.
Non è possibile fare il bene senza prima allontanarsi dal male.

Abbiamo quindi due concetti: 1) fare il bene e 2) fuggire dal male. Poi tu spieghi che nel pensiero ebraico si aggiunge una terza posizione: occorre prima allontanarsi dal male e poi fare il bene. Non si può che concordare.

Ora, tu dici: “Non faccio il male? … Allora vuole dire che così facendo faccio del bene”.
Su ciò ho dei dubbi e vorrei quindi un tuo chiarimento.
Non fare il male è indubbiamente positivo, ma non mi pare affatto che equivalga a fare del bene. Si tratta piuttosto di una posizione neutra. Il grande pensatore ebreo Heschel dice che non esistono zone neutre: non fare del male, se non è seguito dal fare il bene, ci lascia in una posizione neutra. Heschel afferma che abbiamo solo due possibilità: o ci mettiamo nelle mani di Dio o in quelle del maligno. La presunta zona neutra è alla fine un mettersi nelle mani del maligno.
Personalmente concordo con Heschel e ritrovo ciò che dice nel pensiero del giudeo Giacomo che afferma che chi “sa fare il bene e non lo fa, commette peccato”. - Gc 4:17.

Puoi chiarirmi? Grazie.
alessandra
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da alessandra »

E' interessante l'errore che c'è stato nelle risposte ,trovo infatti provvidenziale quella rivolta a Gianni.Quello che dici del significato di conoscenza è l'elemento mancante che riunisce tutto è da un senso ed una funzione agli elementi portati alla luce dalla ricerca.Il significato che tu dai di conoscenza è quello di distinzione,ed effettivamente tale significato mi torna.Dunque, riepilogando, per separare devo conoscere.Quante sono le entità diverse che ritrovo in me(dunque in tutti gli uomini)?Il bene, che non è separato da me e quindi io lo identifico come io;il male che non è separato da me e che quindi io lo identifico come io.Avendo conosciuto in me il bene e il male manca il terzo elemento da conoscere affinchè si possa effettuare una separazione tra i tre(a me interessa quella dal male,non lo sopporto).Se io non sono nè il bene nè il male che è in me(in quanto essi esistono fuori e dentro di me mentre io esisto solo dentro)) ,allora io chi cavolo sono????E qui è buio totale,proviamo comunque a ragionare;se tolgo tutto, quello che rimane è un nome,un semplice nome.L'equazione torna ;chi sono io?Alessandra dunque Alessandra è io ,e che cos'è alessandra?un nome ,quindi l'io è un nome.Se penso a Giacobbe ,che necessità c'era di cambiargli nome?Perchè chiamarlo Israele se la persona in sè non è il suo nome?E Pietro?E Paolo?E Sara?che senso ha cambiare un nome se la persona è la stessa?Io penso che la persona in sè sia un nome dato da Dio e il suo ego sia lo stesso nome anagrammato dal male.Quindi fare il bene ,fare il bene a seconda della propria volontà è impossibile come faceva riflettere Gianni in quel passo di rom 7:19 ben argomentato.Non ci si può allontanare dal male se non lo si distingue da sè e per distinguerlo da sè non basta conoscere lui ,devi conoscere anche te(entrambi gli elementi da separare).Come si fa a conoscere chi si è ,qual è il proprio nome? a me Alessandra non dice niente.Ora la questione si è spostata dal male a questo.Tu sai come si fa?O bisogna aspettare che sia il Signore che ci chiami per nome effettuando lui stesso questa separazione?Se tu sai qualcosa che io non so ,ti prego di essere buono e di dirmelo.Mi raccomando,sii buono
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Gianni
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da Gianni »

Molto interessanti, Alessandra, le riflessioni che fai sul nome.

Il valore del nome nella Bibbia
Nel linguaggio semitico ebraico (che è quello della Bibbia) il nome indica la realtà della persona, l’essere costitutivo, la sua essenza: “Come è il suo nome, così è lui”. - 1Sam 25:25.
Questo concetto ebraico è presente in tutta la Scrittura. Noi (concetto occidentale) diciamo che una persona ha un nome; l’ebreo (concetto biblico) dice che la persona è il suo nome.
Nella Scrittura il nome indica la natura stessa della persona. La Bibbia spiega che “Adamo mise a sua moglie il nome di Eva, perché doveva divenire la madre di tutti i viventi” (Gn 3:20). Il nome ebraico חוה (Khavàh), da cui il nostro “Eva”, significa “vivente”. Già dal primo nome che sia mai stato assegnato da un essere umano ad un altro essere umano si apprende il valore che il nome assume nella Bibbia. “Questa sarà chiamata Donna [אשה (ishàh); “uomo-femmina”; come dire “uoma”, se ci si passa il termine], perché dall’uomo [איש (ish)] questa è stata tratta” (Gn 2:23). Dio cambia il nome ad Abramo: “Il tuo nome dovrà divenire Abraamo [אברהם (avrahàm), “padre di popoli”], perché di sicuro ti farò padre di una folla di nazioni” (Gn 17:5). Il nome indica quindi la natura e il destino di vita della persona. Ad Abraamo Dio dice: “In quanto a Sarai tua moglie, non la devi chiamare col nome di Sarai, perché il suo nome è Sara [שרה (Saràh); “signora”, “principessa”]. E certamente la benedirò”. - Gn 17:15,16.
Così è in tutta la Bibbia, anche nelle Scritture Greche. Un angelo dice a Giuseppe (lo sposo della madre del Messia) circa il figlio che lei avrà: “Tu gli dovrai mettere nome Gesù, poiché egli salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt 1:21). Si noti qui non solo l’imposizione del nome, ma la ragione per cui tale nome è imposto: “Poiché egli salverà il suo popolo”. Ma non poteva chiamarsi Beniamino o Amos o Simone e salvare lo stesso il popolo? Per la nostra mentalità occidentale ciò sarebbe del tutto indifferente e del tutto ininfluente. Per la mentalità biblica, no. Perché nel nome c’è il destino della persona. Il nome imposto al Messia doveva essere proprio יהושע (Yehoshùa), che significa “Yah salva”. Questo nome sarebbe stato il programma di vita del Messia, quel nome particolare avrebbe segnato il suo destino: attraverso di lui Dio avrebbe recato la salvezza. Nel testo greco il nome Yehoshùa è tradotto con Ỉησοῦς, già usato dalla LXX greca per tradurre il nome ebraico “Yehoshùa”, Giosuè, il successore di Mosè.
Nella Scrittura, quindi, il nome rappresenta l’autentica personalità della persona e, in certo senso, il suo destino o programma di vita.

La conoscenza del nome come potere
Presso gli ebrei (e, quindi, nella Bibbia) c’era l’idea che conoscendo il nome di qualcuno si poteva esercitare un certo potere su di lui. Ciò appare da subito. Dopo che il primo uomo fu creato, Dio gli fece passare in rassegna tutte le bestie: “Le conduceva all’uomo per vedere come avrebbe chiamato ciascuna; e in qualunque modo l’uomo la chiamasse -ciascun’anima vivente - quello era il suo nome. L’uomo dava dunque i nomi a tutti gli animali domestici e alle creature volatili dei cieli e a ogni bestia selvaggia del campo” (Gn 2:19,20). In questo modo Adamo poneva la sua autorità sugli animali, conformemente al piano divino: “Tenete sottoposti i pesci del mare e le creature volatili dei cieli e ogni creatura vivente che si muove sopra la terra”. - Gn 1:28.
Questo concetto risulta chiaro in Is 43:1, dove Dio dice ad Israele: “Non aver timore, poiché io ti ho ricomprato. [Ti] ho chiamato per nome. Sei mio”. Si noti il parallelismo: “[Ti] ho chiamato per nome” = “sei mio”.
Israele, orgogliosa della sua appartenenza a Dio, dice: “Ascoltatemi, o isole, e prestate attenzione, gruppi nazionali lontani. Geova [Yhvh] stesso mi ha chiamato fin dal ventre. Dalle parti interiori di mia madre ha menzionato il mio nome”. - Is 49:1.
Proprio perché c’era l’idea che conoscendo il nome di una persona si poteva in certo qual modo padroneggiarla, gli esseri spirituali nascondono il proprio nome. All’angelo che ha lottato con Giacobbe, costui chiede: “Dichiarami, ti prego, il tuo nome”. L’angelo capisce l’antifona, e controbatte: “Perché domandi il mio nome?”. E non glielo rivela, limitandosi a benedirlo: “E lì lo benedisse”. - Gn 32:29. La donna di Gdc 13:6, che ha ricevuto la visita di un angelo, dice poi che l’angelo non le “ha dichiarato il suo nome”. Quando Manoa domanda il nome di un angelo, questi gli risponde: “Perché devi chiedere del mio nome, quando esso è meraviglioso?” (Gdc 13:18); più che “meraviglioso”, la Bibbia dice פלאי (fèly): “misterioso”. Ci sono solo due casi in tutta la Bibbia in cui si conosce il nome di un angelo.
noiman
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Re: Come è avvenuta la creazione?

Messaggio da noiman »

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