La congregazione:ha senso biblico oggi?

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Gianni
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Gianni »

Una vecchia scuola di pensiero sostiene che Matteo abbia scritto dapprima il suo “vangelo” in ebraico che sarebbe poi stato utilizzato dagli altri due sinottici. Per i cattolici questa ipotesi è diventata quasi un dogma di fede.

Tra i non cattolici non ha invece trovato molti seguaci, eccezion fatta per i Testimoni di Geova cha l’hanno adottata ufficialmente. Si legge infatti in un testo editato dalla religione con sede a Brooklyn: “All’inizio del III secolo Origene, commentando i Vangeli, scrisse, secondo una citazione che ne fa Eusebio di Cesarea: ‘Per primo fu scritto quello Secondo Matteo, il quale . . . lo pubblicò per i fedeli provenienti dal Giudaismo, dopo averlo composto nella lingua degli Ebrei’” (Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile”, Watchtower Bible and Tract Society of New York, Brooklyn N. Y., 1991, Libro biblico numero 40: Matteo, § 7). Qui viene avvalorata la tradizione dei cosiddetti “padri della Chiesa” (sono stati così chiamati, in senso onorifico, i più eminenti teologi della chiesa antica sorta con l’apostasia dalla prima vera chiesa) che ritenevano che Matteo fosse il più antico “vangelo”.

Questa tradizione è però molto discutibile. Si noti infatti la catena: Eusebio cita Origène. Eusebio muore nel 340 E. V. (egli era nato nel 265) e cita Origène morto nel 253, quando Eusebio non era ancora nato. Abbiamo quindi uno scrittore del 4° secolo che ne cita uno del 3° che non ha conosciuto personalmente. Quando Origène aveva circa 30 anni (nel 215, essendo nato nel 185) era già passato molto più di un secolo da che i libri delle Scritture Greche erano stati completati. Era affidabile Origène? Già la testimonianza di Eusebio (4° secolo) non è diretta, ma neppure quella di Origène (3° secolo) non è diretta. A maggior ragione non possiamo poggiare sulla testimonianza di Girolamo (nato nel 347 e morto nel 420).

L’idea di un’originaria versione ebraica di Matteo poggia sul fatto che Matteo avrebbe citato direttamente dalla Bibbia ebraica e non dalla traduzione greca dei LXX. Ma forse qualche dubbio al riguardo è sorto agli stessi Testimoni di Geova che nella prima edizione del 1991 della loro opera citata viene omesso il seguente passaggio accolto invece venti anni prima: “L’attento esame delle citazioni di Matteo dalle Scritture Ebraiche rivela che egli citò direttamente dall’ebraico. Gerolamo conferma questo nel suddetto Catalogo, dicendo: ‘Si deve osservare che, ovunque l’Evangelista fa uso dell’antica Scrittura, non segue l’autorità dei settanta traduttori, ma dell’ebraico”. - Ibidem, edizione del 1971, pag. 175, §7.

Questa teoria di Matteo quale primo scritto evangelico, del resto, era già stata adombrata da Agostino (nato nel 354 e morto nel 430) che scrisse che Marco sembra aver seguito lo schema di Matteo “come suo abbreviatore, per così dire” (Agostino, De consensu evangelistarum, 1,4). Tuttavia, se si studia bene una sinossi greca si vede che in realtà non fu Marco ad abbreviare Matteo, ma Matteo ad abbreviare Marco. Infatti, anche se Marco (16 capitoli) omette circa metà del materiale di Matteo (28 capitoli) e di Luca (24 capitoli), nella parte che ha in comune è sempre più completo di Matteo.

Alla base dei tre sinottici c’è Mr per le narrazioni e una non ben determinata chiamata Fonte Q (dal tedesco Quelle, “fonte”) per i discorsi di Yeshùa, i cosiddetti lòghia (“discorsi”, appunto, in greco).

Che Marco sia il “vangelo” scritto prima degli altri due sinottici e cui gli altri due si riferiscono poggia sull’evidente semplicità e arcaicità di Marco. Per fare un’illustrazione: l’acqua di un fiume è, in quanto ai suoi elementi, più “semplice” alla sorgente o alla foce? È ovvio che alla foce, avendo l’acqua raccolto molti altri elementi lungo il suo cammino, sia più “complessa”. Così si spiega bene il fatto che la base di Matteo e Luca è Marco, e che essi si discostano da Marco solo di tanto in tanto per tornarvi nuovamente ad attingere il loro materiale. Ad esempio, ogni volta che Marco accenna al fatto che Yeshùa tenne discorsi, Matteo ve li introduce; quando Marco dice che Yeshùa salì sul monte (Mr 3:12), Matteo vi aggiunge il sermone della montagna (Mt 5-7). Altro esempio: in Mr 1:1-3 abbiamo: “Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: ‘Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero a prepararti la via... Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’”, ma in Mt 3:3 abbiamo: “Di lui parlò infatti il profeta Isaia quando disse:‘’Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’”, in cui manca la prima citazione fatta da Marco; questo si spiega con il fatto che Matteo, scrivendo dopo Marco, nota che quella prima citazione è tratta da Malachia (3:1) e non da Isaia (40:3) come il secondo passo citato, per cui – dato che Marco aveva scritto: “Secondo quanto scritto nel profeta Isaia” – Matteo elimina la prima citazione non conforme a Isaia e lascia la seconda. Così anche per Mr 12:1: “Poi [Yeshùa] cominciò a parlare loro in parabole” in cui quel “parabole” al plurale sta ad indicare che Yeshùa iniziò a usare un metodo di insegnamento nuovo: quello parabolico, e Marco vi inserisce una sola parabola (vv. 1-9); Matteo, invece, cogliendo l’occasione (e quindi basandosi su Marco) ve ne aggiunge altre oltre a quella di Marco. - Mt 21:28-22:14.

Va poi notato che buona parte del materiale comune ai tre sinottici è conservata con le parole di Marco (infatti, in caso di divergenza critica, gli studiosi tendono ad ammettere la priorità del racconto marciano su quelli mattaico e lucano).

Alla base dei tre sinottici sta la tradizione orale: Yeshùa non ha mai scritto nulla e gli apostoli all’inizio erano impegnati a predicare, per cui la prima forma della “buona notizia” (vangelo) è stata necessariamente quella orale. Già i primi scrittori ecclesiastici posero in risalto il fatto che Marco aveva messo per iscritto la predicazione di Pietro. - Cfr. Ireneo, Papia.
Che la tradizione orale avesse grande valore nell’antichità appare dal fatto che il Corano fu tramandato per lungo tempo a memoria prima di essere messo per iscritto, così com’era avvenuto per Omero (Iliade, Odissea). La tradizione orale aveva grande importanza presso i rabbini stessi: i bravi discepoli – dicevano i rabbini – sono quelli che non lasciano sfuggire neppure una goccia dell’insegnamento ricevuto.
La tradizione orale aveva un duplice scopo: 1. convertire le persone, 2. istruire i nuovi convertiti. A questo scopo servivano due documenti: per la conversione si ebbe lo scritto evangelico di Marco, per l’insegnamento la fonte scritta dei lòghia o discorsi di Yeshùa (Q).

Marco, non essendo testimone oculare, dovette attingere alla predicazione di altri testimoni. È più che probabile che Marco si sia riferito all’insegnamento di Pietro. La fonte fu Pietro, col quale Marco fu in stretto contatto. Pietro non lo chiamò forse ‘mio figlio’ (1Pt 5:13)? Pietro era stato testimone oculare praticamente di tutto ciò che Marco narrò. Il contenuto di Mr, destinato alla conversione, presenta Yeshùa come un potente taumaturgo (operatore di miracoli) e specialmente come colui che morì e risorse per la salvezza dell’umanità. I discorsi polemici e le parabole sono ridotti al minimo. Marco insiste molto di più su quello che Yeshùa fece (materiale adatto a convincere e convertire) che su quello che insegnò. Non fa meraviglia che Marco sia stato preso come base da Matteo e Luca, se si pensa che esso riproduceva la vivida predicazione di un Pietro testimone oculare della più grande risonanza presso i primi discepoli.

Ma, una volta convertire le persone, bisognava pur istruirle. Ecco allora il ricorso all’insegnamento di Yeshùa. Questo fu attinto da materiale non marciano e che riproduceva la dottrina di Yeshùa, già esistente verso il 50 E. V.. Va infatti notato che quasi tutto il materiale di Matteo e Luca che è indipendente da Marco presenta una raccolta di “detti” (lòghia) di Yeshùa (fonte Q): si tratta di quel materiale che, vedendo l’accordo Matteo-Luca, ne impedisce la derivazione da Marco in cui non è presente.

Questa fonte (detta Q) sembra sia stata di origine ebraica. Sarebbe quella fonte che Papia erroneamente aveva attribuito a Matteo: “Matteo compilò i lòghia in ebraico e ciascuno li tradusse come potè” (Papia in Eusebio, Hist. Eccl., 3,39), dando così origine a quella catena del “lui-dice-che-l’altro-ha-detto-che-quell’altro-aveva-detto” che ha portato alla tradizione non attendibile che fa dire ai Testimoni di Geova che “il primo a mettere per iscritto la buona notizia intorno al Cristo fu Matteo”. - Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile”, Watchtower Bible and Tract Society of New York, Brooklyn N. Y., 1991, Libro biblico numero 40: Matteo, § 4.

Questi lòghia o detti di Yeshùa presentano una formazione caratteristica: spesso hanno una espressione poetica con ritmi, parallelismi, parole-chiave e inclusioni che ne favorivano la conservazione; come presso i rabbini, vi si trovano dei blocchi di parabole. Questo materiale didattico e dottrinale utilizzato da Matteo e Luca per i loro due scritti, Matteo (più giudaico) lo raggruppò in cinque grandi discorsi (come il pentateuco o cinque libri di Mosè), mentre Luca li disseminò in varie parti del suo scritto. Che ci sia stata una fonte comune ebraica è dimostrato anche dal fatto che le divergenze espressive tra i due si esplicano con traduzioni in greco diverse della stessa parola ebraica originale. Tanto Matteo quanto Luca, poi, aggiunsero alcuni elementi propri: Matteo probabilmente utilizzò i suoi stessi ricordi, Luca riferì altri testimoni.

Tuttavia, gli evangelisti nell’utilizzare le loro fonti, non hanno copiato alla lettera, ma si sono riservati il diritto di introdurvi modifiche secondo il loro scopo e il loro stile. Anziché, quindi, tentare un’armonia forzata tra i tre, è meglio vedere le ragioni per cui essi hanno mutato dei particolari. È in questo modo che si potrà comprendere meglio lo scopo di ogni singolo “vangelo”.

Che Matteo e Luca abbiamo usato Marco come filo conduttore per i loro scritti è dimostrabile anche con le tracce che essi hanno lasciato. Per quanto riguarda Matteo, troviamo in 27:27 il vocabolo πραιτώριον (praitòrion) che, sebbene scritto in greco, è una parola latina (praetorius) che significa “pretorio”; è lo stesso vocabolo che si rinviene in Mr 15:16, e Marco usa spesso parole latine, avendo scritto da una regione latina; di questa, però, rimane traccia in Mt. Lo stesso ragionamento vale per Mt 5:15 e Lc 11:33; qui sia Matteo che Luca usano la parola μόδιον (mòdion): anche questa, sebbene scritta in caratteri greci, non è greca ma latina (modius) e significa “moggio”; Marco la usa in 4:21. Chi usa spesso parole latine è Marco. In Mt e Lc abbiamo solo queste: segno evidente che Matteo e Luca le hanno conservate da Mr.
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Annika
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Annika »

E infatti anche a me risulta che attualmente (già da diversi anni) la maggioranza di studiosi e biblisti cattolici propenda per Marco come nucleo originario + eventuale FonteQ.
Ci sono ancora alcune strade dibattute (anche da studiosi atei/agnostici, cattolici pochissimi) che ipotizzano il Matteo in ebraico, nonché "primo" vangelo, ma oggi come oggi l'unica sicurezza è che Matteo presenta la 'teologia/cultura' più ebraica dei 4 vangeli, e niente di più.

(non è un "dogma" la successione dei vangeli. È solo che ormai è l'ordine classico-tradizionale nelle Bibbie cristiane).

Perciò chiedevo: dove cavolo si basa Antonio per fare l'analisi linguistica del nome di Gesù in ebraico?
Sicuramente da traduzioni successive e basate sul greco.... quindi come ci si può affidare a quelle per stabilire grafie e pronunce???
Era solo una domanda tecnica.

P.s. non è che i Padri della Chiesa siano tutti fonti storiche affidabili. Potevano avere loro stessi info errate e riportarle per "sentito dire". È là che interviene il metodo storico scientifico odierno ad analizzare i vari dati e stabilire quelli più o meno veraci. I Padri ci insegnano ben altre cose che la successione dei vangeli.
(e comunque non è da escludere al 100% una redazione originale ebraica, chi lo sa?. Solo che se non ce l'abbiamo non ce l'abbiamo - e non possiamo fare finta di averla!)

Edit per Stella: ho corretto "cavolo" :-)
Ultima modifica di Annika il mercoledì 4 novembre 2015, 6:50, modificato 1 volta in totale.
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Gianni
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Gianni »

Cara Annika, fermo restando quanto detto, non va trascurato che i Vangeli sono scritti sì in greco, ma pensati in ebraico. A volte certi passi per noi oggi un po' strani si capiscono chiaramente traducendoli dal greco all'ebraico e poi ritraducendoli.
stella
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da stella »

:-) CORRETTURA..
Ultima modifica di stella il mercoledì 4 novembre 2015, 6:56, modificato 1 volta in totale.
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Annika
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Annika »

Oh sì su quello non c'è dubbio, cioè sul livello concettuale, e magari anche sintattico, eccetera. E per evidenti (espliciti) inserimenti di qualcosina in ebraico e/o aramaico.

Ma sono le ri-traduzioni dei nomi propri che non mi convincono.....

P.s. scusami Stella per la parola da me usata. Dalle mie parti è come dire "cavolo" e non l'altro significato volgare. Scusa. Anzi, ora correggo cavolo.
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Gianni
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Gianni »

Concordo, Annika. Tradurre i nomi propri è già sbagliato di per sé, ma fare la traduzione di una traduzione, come nel caso di "Gesù", ritraslitterando dal greco che a sua volta traslittera Yeshùa, è un po' troppo.

Stella, l'espressione cacchio non è così scurrile come sembra; è ben diversa dalla parola simile, quella sì volgare, espressa dalla formula chimica "ca z2 o". :-)
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Annika
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Annika »

Stella, se non va ancora tanto bene, se vuoi scrivo ....patate o insalata o cipolle :d
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Gianni
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Gianni »

Cipolle a quest'ora? Oh cacchio!
stella
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da stella »

... VA BENE.. GIANNI .ANNIKA ...ma siccome proveniamo da colture ed ambienti diversi sai ognuno interpreta a modo suo..purtroppo un po' come la ''parola'' ...poi va a vedere all'origine cosa si voleva dire o che cosa significava ...vedete la mia impulsivita' e come come mi e' stata ''inculcato ''il pensiero? suore francescane :-) ..
beh siete perdonati :ymblushing: avete fatto ridere anche me' :-) ...
ma questo serve per comprendere anche la filosofia di interpretazione in altri campi
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Annika
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Re: La congregazione:ha senso biblico oggi?

Messaggio da Annika »

Gianni, io dicevo che era meglio tenere il nome ognuno nella propria lingua, essendo comunque difficile stabilire oggi con certezza una sfumatura di pronuncia risalente a duemila anni fa.
Comunque ok, ora finalmente ho capito da dove viene il testo ebraico di cui parlate. (avevo anche letto di un'operazione culturale, di studio, greco-ebraico, su Matteo, fatta circa nel 1400 o 1500, non ricordo bene)
Ciao. Grazie.
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