Il peccato e la ricaduta in esso
Inviato: sabato 10 gennaio 2015, 21:51
“Ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore, ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra”. (Rm 7:15-23)
In questo passo, Paolo mette in evidenza come dentro ogni credente esista un conflitto: sappiamo ciò che è bene e ciò che è male, perché siamo stati purificati da Yeshùa e il Suo esempio ci illumina, ma ricadiamo in ciò che non vogliamo fare spinti dalla parte corrotta che è dentro di noi. Se odiamo i molluschi, non li mangiamo. E allora perché, nonostante odiamo il peccato, ci ricadiamo? Se odiamo peccare, dovremmo non peccare, proprio come non mangiamo i molluschi. Purtroppo, io mi trovo spesso in questa condizione, per questo ho deciso di creare questo argomento.
"Ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce" (Giacomo 1:15)
Non mangiare qualcosa che non ci piace è facile, poiché è una reazione fisiologica; ma resistere alla concupiscienza è altra cosa, poiché quella ci tenta dall'interno e Satana sa come sfruttarla ed amplificarla. In questo caso, siamo di fronte ad una battaglia con forze potenti che, da dentro, ci spingono a fare ciò che non vogliamo veramente fare, facendo leva sulle passioni umane legate alla materia e su tutto ciò che di perverso esiste dentro di noi.
"Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo" (Mc 7:20-23)
Provo ad esternare una mia convinzione, che vi prego criticare se vi trovaste in disaccordo. E' scritto: "Nessuno, quand'è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno" (Giacomo 1:13). Detto questo, penso che il ricadere nel peccato sia anche un'ottima occasione per migliorarsi e diventare sempre più immuni ad esso. Non siamo perfetti come Yeshùa, ma dobbiamo cercare di diventarlo migliorandoci sempre più durante il percorso. Con ciò non intendo assolutamente giustificare il peccato, ma a volte credo che bisogna stare attenti a non essere troppo duri con noi stessi e rendersi conto che, nonostante abbiamo ricevuto la verità tramite la fede, siamo sempre sottoposti al peccato, fino alla morte. Se cadiamo nell'errore di sentirci indegni e irrimediabilmente recidivi ogni volta che pecchiamo, questo può portarci lontani da Dio, poiché Satana sa sfruttare bene ogni momento. Se, invece, riconosciamo umilmente il nostro errore e facciamo un esame di coscienza, chiedendo il perdono di Dio e la forza di non commettere più quel tipo di peccato, proponendoci di non commetterlo più, riusciremo a liberarcene. Se continuiamo a cadere in quel peccato, significa che non preghiamo abbastanza e non manifestiamo al Padre il bisogno del Suo sostegno.
Allora, se pecchiamo, non abbattiamoci, ma preghiamo il Padre e confidiamo nel Suo sostegno. Da soli non possiamo vincere il peccato.
In questo passo, Paolo mette in evidenza come dentro ogni credente esista un conflitto: sappiamo ciò che è bene e ciò che è male, perché siamo stati purificati da Yeshùa e il Suo esempio ci illumina, ma ricadiamo in ciò che non vogliamo fare spinti dalla parte corrotta che è dentro di noi. Se odiamo i molluschi, non li mangiamo. E allora perché, nonostante odiamo il peccato, ci ricadiamo? Se odiamo peccare, dovremmo non peccare, proprio come non mangiamo i molluschi. Purtroppo, io mi trovo spesso in questa condizione, per questo ho deciso di creare questo argomento.
"Ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce" (Giacomo 1:15)
Non mangiare qualcosa che non ci piace è facile, poiché è una reazione fisiologica; ma resistere alla concupiscienza è altra cosa, poiché quella ci tenta dall'interno e Satana sa come sfruttarla ed amplificarla. In questo caso, siamo di fronte ad una battaglia con forze potenti che, da dentro, ci spingono a fare ciò che non vogliamo veramente fare, facendo leva sulle passioni umane legate alla materia e su tutto ciò che di perverso esiste dentro di noi.
"Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo" (Mc 7:20-23)
Provo ad esternare una mia convinzione, che vi prego criticare se vi trovaste in disaccordo. E' scritto: "Nessuno, quand'è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno" (Giacomo 1:13). Detto questo, penso che il ricadere nel peccato sia anche un'ottima occasione per migliorarsi e diventare sempre più immuni ad esso. Non siamo perfetti come Yeshùa, ma dobbiamo cercare di diventarlo migliorandoci sempre più durante il percorso. Con ciò non intendo assolutamente giustificare il peccato, ma a volte credo che bisogna stare attenti a non essere troppo duri con noi stessi e rendersi conto che, nonostante abbiamo ricevuto la verità tramite la fede, siamo sempre sottoposti al peccato, fino alla morte. Se cadiamo nell'errore di sentirci indegni e irrimediabilmente recidivi ogni volta che pecchiamo, questo può portarci lontani da Dio, poiché Satana sa sfruttare bene ogni momento. Se, invece, riconosciamo umilmente il nostro errore e facciamo un esame di coscienza, chiedendo il perdono di Dio e la forza di non commettere più quel tipo di peccato, proponendoci di non commetterlo più, riusciremo a liberarcene. Se continuiamo a cadere in quel peccato, significa che non preghiamo abbastanza e non manifestiamo al Padre il bisogno del Suo sostegno.
Allora, se pecchiamo, non abbattiamoci, ma preghiamo il Padre e confidiamo nel Suo sostegno. Da soli non possiamo vincere il peccato.