Questa discussione in corso può fornirci un ottimo esempio del serio lavoro che un biblista deve compiere. Vediamo come.
Il testo da analizzare è At 11:26, così tradotto da TNM: “Fu ad Antiochia che per la prima volta i discepoli furono per divina provvidenza chiamati cristiani”. In particolare si tratta di analizzare il verbo greco usato nel testo per stabilirne il senso vero nella sua esatta traduzione. Detto diversamente: è possibile accettare la traduzione “furono per divina provvidenza chiamati cristiani”, sostenuta dalla religione americana che ha prodotto la TNM?
Il verbo usato da Luca è χρηματίζω (
chrematìzo), ed è tale verbo che va analizzato. Procediamo, tenendo presente che i passi corretti da seguire (secondo un serio e basilare metodo ermeneutico) sono tre: 1. Stabilire il significato del verbo tramite il vocabolario greco; 2. Stabilirne il senso tramite una specifica analisi dei contesti in cui il verbo appare nella Scrittura; 3. Verificare il risultato tramite il più ampio contesto dell’intera Scrittura per vedere ciò che la Bibbia stessa dice sulla questione.
Iniziamo con il primo passo: consultare il vocabolario greco per conoscere il significato di χρηματίζω (
chrematìzo). Il più qualificato dei vocabolari greci, il Rocci, dà i seguenti significati (nell’ordine): 1 - a) trattare, trattare qualcuno; b) esporre, riferire; c) dare risposta; 2 – dare/ricevere un responso (oracoli, dèi); 3 – avere relazioni con qualcuno; 4 – a) prendere il nome, chiamarsi; b) essere chiamati; c) diventare.
Sintetizzando, possiamo dire che il verbo può avere due significati: quello primario è “trattare, trattare qualcuno” e quello secondario è “dare/ricevere un responso” nei contesti che riguardano gli oracoli degli dèi.
Secondo passo: il senso che il verbo assume nella Scrittura. Qui ci è d’aiuto uno strumento indispensabile per ogni serio biblista: il
Handkonkordanz zum griechischen Neuen Testament. Si tratta di una concordanza biblica basata sul testo critico più aggiornato delle Scritture Greche (Nestle-Aland). Questa concordanza riporta tutti i passi biblici in cui compare il verbo in questione; le spiegazioni sono date nella lingua internazionale dei biblisti, che è il latino.
Ora citerò tutti i passi nella traduzione di TNM evidenziando in grassetto la traduzione del verbo (e poi tra parentesi la vera traduzione letterale dal testo greco) e in rosso la nota della concordanza tedesca (in latino) e la sua traduzione.
Mt 2:12: “
Avendo ricevuto in sogno
divino avvertimento di non tornare da Erode, si ritirarono nel loro paese per un’altra via” (“Essendo stati avvertiti”) -
responsum accipere (ricevere un oracolo)
Mt 2:22 “
Avendo ricevuto in sogno
divino avvertimento, si ritirò nel territorio della Galilea” (“Essendo stato avvertito”) –
admoneri (ammonire)
Lc 2:26 “
Gli era stato divinamente rivelato dallo spirito santo che non avrebbe visto la morte prima di aver veduto il Cristo” (“Avente ricevuto responso”) -
responsum accipere (ricevere un oracolo)
At 10:22: “Cornelio, ufficiale dell’esercito, uomo giusto che teme Dio e del quale l’intera nazione dei giudei rende buona testimonianza,
ha ricevuto divine istruzioni da un santo angelo di farti venire alla sua casa e di udire le cose che tu hai da dire” (“[A lui] è stato rivelato da un angelo”) -
responsum accipere (ricevere un oracolo)
At 11:26 “Fu ad Antiochia che per la prima volta i discepoli
furono per divina provvidenza chiamati [χρηματίσαι (chrematìsai), infinito aoristo] cristiani” (“Iniziare ad essere chiamati”) -
cognominari (soprannominare)
Rm 7:3 “Mentre il marito vive,
essa sarebbe dunque
chiamata adultera se divenisse di un altro uomo” (“Viene chiamata”) -
vocari (essere chiamati)
Eb 8:5 “Mosè, quando stava per completare la tenda,
ricevette il comando divino” (“Ebbe responso”) -
responsum est alicui (rispondere/dire a qualcuno)
Eb 11:7 “Noè, dopo
aver ricevuto divino avvertimento di cose non ancora viste, mostrò santo timore” (“Avente ricevuto un oracolo” -
responsum accipere (ricevere un oracolo)
Eb 12:25 “Non sfuggirono quelli che rifiutarono
colui che dava sulla terra
divino avvertimento” (Il dicente oracoli”) -
loqui (dire)
Ora, prima di proseguire nell’analisi, occorre contestare la seguente non corretta dichiarazione fatta dalla Watchtower nella sua biblioteca online: “Il verbo chrematìzo è sempre usato nelle Scritture Greche Cristiane in relazione a qualcosa di soprannaturale, oracolistico o divino” (
http://wol.jw.org/it/wol/pc/r6/lp-i/1200270044/245/0" onclick="window.open(this.href);return false;). Così non è in Rm 7:3, in cui una donna viene chiamata adultera se si mette con un altro; essa è chiamata adultera per la sua condotta e non per chissà cosa “di soprannaturale, oracolistico o divino”. Non è perciò vero che nelle Scritture Greche “il verbo
chrematìzo è sempre usato” in senso oracolistico. Di conseguenza, è più che doveroso domandarsi se in At 11:26 lo sia.
Ed eccoci al terzo passo della nostra analisi: Verificare il risultato tramite il più ampio contesto dell’intera Scrittura per vedere ciò che la Bibbia stessa dice sulla questione.
La domanda ora è questa: In At 11:26 la forma verbale χρηματίσαι (
chrematìsai) ha il senso di “essere chiamati per divina provvidenza” (TNM) oppure di “essere soprannominati” (
Handkonkordanz zum griechischen Neuen Testament)? Ha ragione la religione con sede a Brooklyn (che non vanta alcun biblista) oppure la magistrale opera del biblista Alfred Schmoller, rivista dalla biblista Beate Köster?
In At 11:26 è detto che il fatto avvenne ad Antiochia (di Siria). Lì, dopo la morte di Stefano (At 11:19,20), si erano rifugiati - respinti da Gerusalemme - diversi discepoli di Yeshùa ellenisti (di lingua greca); Barnaba, inviato ad Antiochia dalla chiesa madre gerosolimitana, vi svolse un’importante attività coadiuvato da Paolo. Ora, sarebbe quantomeno strano che “per divina provvidenza” (TNM) ci sia stato un cambio di nome ad Antiochia anziché a Gerusalemme dove c’erano gli apostoli.
In più, mentre negli altri passi biblici è chiaramente indicato chi ricevette il comunicato “soprannaturale, oracolistico o divino”, in At 11:26 non è affatto indicato a chi sarebbe stato rivolto l’oracolo divino. Anzi, la forma verbale usata (infinito aoristo), non solo è generica (infinito) ma indica l’inizio dell’azione (aoristo), venendo a significare “iniziare ad essere chiamati”, “d’un tratto essere chiamati”, reso da TNM “per la prima volta”.
Chi diede ai discepoli di Yeshùa il nome di “cristiani”? Sappiamo che ciò accadde ad Antiochia di Siria, ma Luca non dice esplicitamente chi diede loro tale nome né tantomeno chi avrebbe ricevuto il supposto comunicato “soprannaturale, oracolistico o divino”. Il suo generico “iniziare ad essere chiamati” fa pensare ad un moto spontaneo popolare antiocheno. È escluso che l’iniziativa partisse dai discepoli stessi, perché la forma verbale non è alla terza persona plurale dell’indicativo aoristo. È anche escluso che Barnaba o Paolo o qualche preminente discepolo avesse una rivelazione divina, perché Luca non menziona alcunché di simile. Luca annota soltanto che ad Antiochia avvenne che i discepoli “iniziare ad essere chiamati cristiani”. Per esclusione rimane quindi che si trattò di un moto spontaneo popolare antiocheno.
Ma che cosa ci dice la Bibbia stessa sull’uso del nome “cristiani”? Nulla di buono. Il termine è infatti usato dalla Scrittura solo altre due volte.
La seconda volta che il nome “cristiano” appare nella Scrittura è in At 26:28. Qui è il pagano re Erode Agrippa che lo usa, dicendo a Paolo: “In breve tempo mi persuaderesti a divenire cristiano’” (TNM). È davvero molto illuminante la risposta data da Paolo: “Desidererei dinanzi a Dio che in breve tempo o in lungo tempo non solo tu ma anche tutti quelli che oggi mi odono divenissero tali
quale sono io” (TNM). Qui Paolo dà prova di grande abilità e di tatto. Non si ferma a cogliere l’ironia di Agrippa né la contesta, ma – desideroso di continuare la sua testimonianza – schiva elegantemente quell’appellativo di “cristiano” e nella sua risposta lo sostituisce con un “quale sono io”.
La terza e
ultima volta in cui il termine appare nella Bibbia si trova in 1Pt 4:16. Questa volta è l’apostolo Pietro ad usarlo. Ma si noti come lo usa. Pietro dice che Yeshùa ha sofferto e che anche i suoi discepoli soffrono; poi dice: se uno soffre perché è omicida o ladro, si deve solo vergognare, ma se soffre “come cristiano” per le vituperazioni non ha motivo di vergognarsi, perché essere biasimati “per il nome di Cristo” è motivo di gioia. Anche se i non credenti “parlano ingiuriosamente” e i discepoli sono “biasimati per il nome di Cristo”, essere tacciati col nome di “cristiani” (nell’intento di attribuire loro chissà quale vergognosa colpa) non è motivo di vergogna; lo sarebbe essere tacciati, a ragione, di omicidio o di furto. Da qui appare chiaramente come il nome “cristiano” fosse usato dal volgo per offendere i discepoli di Yeshùa.
Ad ulteriore conferma che l’appellativo di “cristiano” era un soprannome dispregiativo dato dal popolino, abbiamo le parole scritte dallo storico Tacito, che descrivendo i discepoli di Yeshùa scrive: “Coloro che
il volgo chiamava cristiani” (Tacito,
Annales 15,44; corsivo aggiunto per dare enfasi). Il volgo, non “per divina provvidenza”.
Infine, la prova migliore è data da Luca stesso, che dopo aver registrato il fatto di Antiochia, continua a chiamare i discepoli come aveva sempre fatto: discepoli. Egli non adottò
mai il soprannome di “cristiani”, né lo fecero gli altri scrittori ispirati delle Scritture Greche. E questa è la massima prova che quel soprannome non fu dato “per divina provvidenza” come pretendono gli editori di Brooklyn.