Re: Il Magnificat - Lc 1:46-55
Inviato: martedì 5 luglio 2022, 10:34
Infatti.
Forum di discussioni bibliche non aderente ad alcuna religione
https://www.biblistica.eu/phpbb/
Caro Marco non mi risulta che i personaggi che citi abbiano avuto contatto diretto faccia a faccia con Dio. Davide ebbe i messaggi direttamente dal profeta. Anche all'inizio della sua ascesa commise degli errori. Per esempio fece uccidere Uria perchè gli piaceva la sua donna e se la prese (ricordo male)? Salomone, suo figlio, nonostante la sapienza (non è che incontrò Dio di persona) si unì a centinaia di concubine e si prostituì agli idoli pagani delle mogli. Se ricordo bene fece costruire anche dei templi. Roboamo, figlio di Salomone, fu anche una delle cause della scissione dei due regni.marco ha scritto: ↑martedì 5 luglio 2022, 7:36Caro Naza, che dire di Davide che dimentica l’aiuto ricevuto da Dio commettendo due peccati odiosi in uno?chelaveritàtrionfi ha scritto: ↑lunedì 4 luglio 2022, 20:40 Quindi fatemi capire. State facendo dire alla scrittura che Maria ha ricevuto la visita di un angelo, ha partorito un figlio senza conoscere uomo, tra l altro il segno che yhvh era in mezzo al popolo.. e poi avrebbe dimenticato tutto?
E di Salomone che dimentica il dono della Sapienza correndo dietro a idoli stranieri?
E di Pietro che, solo tre ore dopo, dimentica le parole del Maestro sul suo rinnegamento?
Disconoscerà per tre volte “il Figlio del Dio vivente” (Mt 16 esperienza avuta con Dio) . Non ci sono serviti i tre anni di vita, piena e invidiabile, vissuta con Gesù.
Tutti questi sono uomini e come noi sono soggetti alle tremende pressioni della materia.
Chi di noi leggendo le vicende peccaminose dei personaggi biblici non ha pensato che al posto loro non ci saremmo comportati in quel modo. Un giorno Dio ci farà leggere la nostra vita sul suo libro e forse arrossiremo per la vergogna.
Dimenticare Dio è un vizio vecchio di 6.000 anni.
Solo Gesù può affermare: perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite Gv 8,29
Mi chiedo come spiegano i trinitari questo. Cioè che Yeshùa imparava. A detta loro Yeshùa era già sapienza fatta carne (quindi sapeva già tutto) ed hanno fatto diventare Dio uno spettatore seduto a guardare sul trono perchè Yeshùa sarebbe artefice di tutto. Non so quando sarà ora di darsi una svegliata e cercare di ripulire millenni di infino.....menti e lavaggi di cervello. Mi riferisco ai trinitari adepti .. perchè quelli in alto le cose le sanno avendo fior di studiosi a loro disposizione se non loro stessiGianni ha scritto: ↑martedì 5 luglio 2022, 4:35 Credo siano necessari un po' di chiarimenti. E tanti.
Yeshùa amava teneramente sua madre Miryàm. Quando da ragazzo si era trattenuto nel Tempio di Gerusalemme dopo la Pasqua, sua madre – non trovandolo più – era molto agitata. La sua inquietudine traspariva ancora dalle parole che ella gli rivolse non appena trovatolo: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena” (Lc 2:48). La risposta di Yeshùa non fu di strafottenza. Aveva solo dodici anni ed era stimato da tutti come un ragazzino molto per bene, tanto che Luca aveva annotato: “Il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui” (Lc 2:40). La risposta di Yeshùa fu rispettosa e piena di candore. Forse non suona così nelle comuni traduzioni: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” (Lc 2:49). La TNM la rende una risposta dura, con un sapore d’improbabile rimprovero. Eppure, possiamo immaginare la scena: Yeshùa era affascinato dalle cose che riguardavano Dio, voleva sapere, imparare; stando “seduto in mezzo ai maestri, li ascoltava e faceva loro delle domande” (Lc 2:46). I maestri non lo presero affatto per un presuntuoso, ma “si stupivano del suo senno” (v. 47). In questo clima così edificante in cui tutti stavano bene, arriva Miryàm con tutta la sua comprensibilissima inquietudine. E Yeshùa, candito, quasi stupito, si giustifica: Perché mai stavate in pena? Non immaginavate che sarei stato qui? Dove potevo essere se non qui? Yeshùa era “mansueto e umile di cuore” (Mt 11:29). Era così sin da bambino e poi da adulto: “Cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini”. - Lc 2:52.
La brama di conoscenza, che superava quella del suo maestro di sinagoga, lo indusse a cercare la soddisfazione alla sua sete di sapere tra i rabbini che insegnavano nel Tempio. Così, mentre gli altri pellegrini al termine della loro permanenza di alcuni giorni si preparavano a ripartire, egli rimase nel Tempio per interrogare i dottori: “Passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori”. - Lc 2:43.
Secondo l’usanza rabbinica, Yeshùa - seduto per terra in mezzo agli altri uditori - poneva domande ai maestri e lasciava tutti stupiti per le sue questioni e le sue risposte: “Tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte” (Lc 2:47). Questo stare nel Tempio tra i dottori da parte di un ragazzino non era un fatto insolito. Anche Giuseppe Flavio riferisce che lui stesso, all’età di quattordici anni, era solito recarsi nel Tempio e discutere con i dottori di Gerusalemme. Comunque, in genere i rabbini disdegnavano i ragazzi più piccoli. Va poi detto che allora in Medio Oriente un ragazzo semita di dodici anni era molto più maturo dei nostri ragazzini della stessa età. Da notare è il modo in cui Yeshùa sviluppa la sua conoscenza: interroga i maestri e risponde alle loro domande.
Nel frattempo la carovana riparte e i genitori di Yeshùa, pensando che fosse con qualche parente o amico della comitiva (ormai aveva dodici anni), lasciano Gerusalemme. Ma alla prima tappa, non trovandolo, tornano a Gerusalemme. Dopo averlo cercato ovunque, lo ritrovano al Tempio.
Miryàm lo rimprovera dolcemente: “Ragazzo, perché ci hai fatto questo?” (Lc 2:48, traduzione dal greco). Il testo non dice “figlio” (NR, TNM), che il greco è υἱός (yiòs, cfr. Lc 3:23), ma dice τέκνον (tèknon), che significa “ragazzo”. Miryàm mostra anche rispetto per Giuseppe, nominandolo per primo: “Tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena”. - V. 48.
La risposta di Yeshùa è tra lo stupito e la dimostrazione, per la prima volta, di una certa indipendenza: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?”. - V. 49.
La comune traduzione “nella casa del Padre mio” va puntualizzata. È più corretto mettere “casa” tra parentesi quadrate, come fa TNM: “Nella [casa] del Padre mio”. La parola “casa”, infatti, non compare nel testo greco. Il testo originale ha ἐν τοῖς τοῦ πατρός μου (en tòis tù patròs mu) che letteralmente significa “negli/nelle del Padre mio”.
Questa espressione può avere due significati. Può significare “nelle cose del Padre mio”, ovvero le cose che riguardano Dio. Così appare in vari passi: “Tu non hai il senso delle cose di Dio [τὰ τοῦ θεοῦ (tà tù theù), “gli/le del Dio”]” (Mt 16:23); “Non mi è lecito fare del mio [ἐν τοῖς ἐμοῖς (en tòis emòis), “nei miei” o “nelle (cose) mie”] ciò che voglio?” (Mt 20:15); “Colui che è sposato si dà pensiero delle cose del mondo [τὰ τοῦ κόσμου (tà tù kòsmu), “gli/le del mondo”]”. La donna senza marito o vergine si dà pensiero delle cose del Signore [τὰ τοῦ κυρίου (tà tù kyrìu), “gli/le del Signore”]”. - 1Cor 7:33,34.
Oppure l’espressione potrebbe significare “nella casa del Padre mio”. Questo è il senso che dà la LXX greca in alcuni passi: “Eretto nella casa di Aman” (Est 7:9, TNM); “Non ci sarà superstite nel suo luogo di residenza” (Gb 18:19, TNM). La parola “casa” (“luogo di residenza” in TNM) viene tradotta nel greco della LXX semplicemente con ἡτοίμασεν Αμαν (etòimasen Aman), “eretto Aman”, nel primo caso; e con ἐν τοῖς αὐτοῦ (en tòis autù), “negli/nelle di lui”, nel secondo caso. Quale preferire? Il contesto della frase di Yeshùa suggerirebbe “nella [casa] del Padre mio”, dato che egli si trova nel Tempio.
Si noti anche l’enfasi posta nel “Padre mio”, in contrasto con il “tuo padre e io” di Miryàm. Il Padre di Yeshùa, in modo tutto particolare, è Dio e non Giuseppe. Si noti anche il “dovevo [greco δεῖ (dèi)]” detto da Yeshùa. Tale verbo si trova altre sei volte in Lc ed è sempre connesso alla passione e alla morte di Yeshùa, come in Lc 13:33: “Bisogna che io [greco δεῖ με (dèi me), “si deve io”]”. Forse anche nel passo relativo al Tempio c’è un vago accenno di Luca alla morte di Yeshùa, dato che si precisa che i genitori lo trovarono “tre giorni dopo” (Lc 2:46; cfr. 24:7); sembrerebbe quasi che Luca voglia dire: Yeshùa deve trovarsi nel Tempio e compiere la volontà del Padre fino al suo culmine nella morte e alla sua resurrezione dopo tre giorni. In questa prospettiva la visita al Tempio sarebbe un preannuncio del calvario e della sua resurrezione.
La risposta di Yeshùa è la chiave per comprendere tutto l’episodio. “Perché mi cercavate?”. Tale domanda ha senso solo nel caso in cui egli avesse già avvertito i genitori che si sarebbe allontanato per recarsi al Tempio. Che egli lo avesse già detto loro sembra anche arguirsi dal seguente “non sapevate che […]?”. Yeshùa, sapendo di averli avvertiti, pensava che loro lo sapessero e quindi non si preoccupava di loro. Era tranquillo e li attendeva: non capiva infatti il motivo di tanta pena da parte di Miryàm e il suo rimprovero. Ciò spiega il tono un po’ stupito di Yeshùa.
Ma se i genitori erano stati avvertiti, perché si erano così agitati non trovandolo più? Luca ce lo spiega: “Essi non avevano capito quanto aveva detto loro” (v. 50, Dia). NR ha “Essi non capirono le parole che egli aveva dette loro”; TNM: “Non afferrarono la parola che disse loro”; Did: “Essi non intesero le parole ch'egli avea lor dette”. Tuttavia, in questo passo così imbevuto di semitismi, il verbo usualmente tradotto con il passato remoto (“non capirono”) può anche essere tradotto – come in ebraico – con il trapassato (“non avevano capito”). In ebraico non vi è distinzione tra i due tempi. Questa traduzione elimina tutte le difficoltà insiste nelle comuni traduzioni del brano. Si era quindi trattato di un malinteso: Yeshùa, prima di lasciare Gerusalemme voleva visitare ancora una volta il Tempio e aveva avvisato i genitori; questi, forse per la confusione della carovana, non avevano capito bene il senso di quello che lui aveva detto loro oppure avevano pensato che sarebbe tornato subito. Simili inconvenienti non erano rari nei pellegrinaggi; non c’è festività in cui qualcuno non si perda. Yeshùa si era avviato al Tempio sicuro di poterci rimanere a piacimento perché lo avrebbero mandato a chiamare prima della partenza. I genitori, non avendo ben capito, non se ne preoccuparono, pensando che fosse già da qualche parte nella loro comitiva in partenza. Ormai non era più un bambino. Poi dovettero pensare che lui, non trovando più la carovana, doveva essersi recato a casa di qualche parente o conoscente, così lo cercarono. Il ragazzo, invece, non si preoccupava perché era certo che lì nel Tempio i genitori alla fine lo avrebbero trovato.
Gianni, è evidente che pur di dare addosso veralmente "seppur virtualmente" a miliardi di persone che credono nella Deita di Yeshùa e che tu definisci "i pagani trinitari"Gianni ha scritto: ↑martedì 5 luglio 2022, 16:17 Vero, alcune religioni insegnano che Yeshùa dodicenne istruiva i rabbini nel Tempio. Era invece lui a imparare dai rabbini, anche facendo loro domande.
Per i pagani trinitari la lista si allunga: il loro dio nasce da una donna, imparara dai rabbini, viene ucciso e si risuscita da solo.