Re: C'E VITA DOPO LA MORTE?
Inviato: domenica 24 agosto 2014, 18:46
Lella, siccome mi chiami indirettamente in causa, faccio il mio commento al tuo intervento.
Il tuo sistema di immedesimarti nei personaggi biblici è ottimo: ci permette di partecipare alla scena, di essere lì, di vedere le cose, di sentire con i nostri orecchi le parole, di gustare ogni particolare. C’è però un ma. Ed è quello che tu stessa menzioni quando dici: “Io ho un mio cervello, e un modo di pensare un po’ particolare, specialmente sulle interpretazioni bibliche”. Per una vera immedesimazione occorre lasciare da parte la propria mentalità e pensare come pensano i personaggi biblici. Se poi vuoi fare un passo ulteriore (che è ottimo), dovresti anche domandarti come capivano i lettori contemporanei dello scrittore sacro quei brani. Nell’accingerti ad immedesimarti dovresti prima di tutto guardare al contesto. Proviamo insieme.
“I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavano di lui. Ed egli disse loro: «Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio” (Lc 16:14,15). Riesci a vedere la scena? I farisei se ne stanno lì, nella loro arrogante opulenza e sghignazzano burlandosi di Yeshùa. Il Maestro li redarguisce. Come avranno reagito? Di certo non si saranno cosparsi il capo di cenere. Possiamo immaginare che assunsero un atteggiamento di sicumera più deciso, se non altro per salvare la faccia. Ora fermiamoci un momento per immedesimarci in Yeshùa. Sarebbe servito continuare a discutere e a rimproverarli? Da ottimo psicologo qual era, Yeshùa sapeva che facendo così avrebbe solo esacerbato gli animi. Ricorre allora a un suo metodo che usava spesso: racconta una parabola.
“C'era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri” (vv. 19-21). Non è difficile individuare i farisei nella figura del ricco ben vestito. Ma Yeshùa non vuole semplicemente dare una stoccata ai presuntuosi farisei, che non sarebbe servita a nulla. Yeshùa ribalta la situazione! “Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: ‘Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma’” (vv. 22-24). Qui possiamo immaginare che nel ribaltamento della situazione i farisei stessi si stavano immedesimando, non solo noi. Ora stanno zitti, non si beffano più di Yeshùa ma sono col fiato sospeso e forse si domandano come andrà a finire. Intanto noi possiamo notare che per impartire la sua lezione e (e il suo insegnamento) Yeshùa usa dei paradossi, come le fiamme che tormentano il ricco. Anche la goccia d’acqua è un paradosso. Che mai potrebbe fare in tutte quelle fiamme? Il povero si accontentava in vita delle briciole cadute dalla tavola, e ora nel contrasto paradossale il ricco darebbe chissà che per una goccia d’acqua! Essere portati nel seno di Abraamo va capito come lo capivano i presenti, che erano ebrei. Qui ti serve poco l’immedesimazione: devi fare ricerche e scoprire cosa significava per loro.
Ma i paradossi continuano: “Abraamo disse: ‘Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi’” (vv. 25,26). Il paradosso non è solo la voragine ma il fatto che si possa comunicare da una parte all’altra.
“Ed egli disse: ‘Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento’. Abraamo disse: ‘Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli’. Ed egli: ‘No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno’. Abraamo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita’” (vv. 27-31). Nuovo paradosso: un morto che può presentarsi ai vivi.
L’insegnamento finale? “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se …”. E ciò ci riporta all’inizio: “Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori” (v. 15), “È più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge” (v.17). Con i paradossi della sua parola Yeshùa costrinse quei saccenti e presuntuosi farisei a immedesimarsi finanche nella fine che avrebbero fatto.
E noi, Lella, riusciamo a immedesimarci davvero?
Il tuo sistema di immedesimarti nei personaggi biblici è ottimo: ci permette di partecipare alla scena, di essere lì, di vedere le cose, di sentire con i nostri orecchi le parole, di gustare ogni particolare. C’è però un ma. Ed è quello che tu stessa menzioni quando dici: “Io ho un mio cervello, e un modo di pensare un po’ particolare, specialmente sulle interpretazioni bibliche”. Per una vera immedesimazione occorre lasciare da parte la propria mentalità e pensare come pensano i personaggi biblici. Se poi vuoi fare un passo ulteriore (che è ottimo), dovresti anche domandarti come capivano i lettori contemporanei dello scrittore sacro quei brani. Nell’accingerti ad immedesimarti dovresti prima di tutto guardare al contesto. Proviamo insieme.
“I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavano di lui. Ed egli disse loro: «Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio” (Lc 16:14,15). Riesci a vedere la scena? I farisei se ne stanno lì, nella loro arrogante opulenza e sghignazzano burlandosi di Yeshùa. Il Maestro li redarguisce. Come avranno reagito? Di certo non si saranno cosparsi il capo di cenere. Possiamo immaginare che assunsero un atteggiamento di sicumera più deciso, se non altro per salvare la faccia. Ora fermiamoci un momento per immedesimarci in Yeshùa. Sarebbe servito continuare a discutere e a rimproverarli? Da ottimo psicologo qual era, Yeshùa sapeva che facendo così avrebbe solo esacerbato gli animi. Ricorre allora a un suo metodo che usava spesso: racconta una parabola.
“C'era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri” (vv. 19-21). Non è difficile individuare i farisei nella figura del ricco ben vestito. Ma Yeshùa non vuole semplicemente dare una stoccata ai presuntuosi farisei, che non sarebbe servita a nulla. Yeshùa ribalta la situazione! “Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: ‘Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma’” (vv. 22-24). Qui possiamo immaginare che nel ribaltamento della situazione i farisei stessi si stavano immedesimando, non solo noi. Ora stanno zitti, non si beffano più di Yeshùa ma sono col fiato sospeso e forse si domandano come andrà a finire. Intanto noi possiamo notare che per impartire la sua lezione e (e il suo insegnamento) Yeshùa usa dei paradossi, come le fiamme che tormentano il ricco. Anche la goccia d’acqua è un paradosso. Che mai potrebbe fare in tutte quelle fiamme? Il povero si accontentava in vita delle briciole cadute dalla tavola, e ora nel contrasto paradossale il ricco darebbe chissà che per una goccia d’acqua! Essere portati nel seno di Abraamo va capito come lo capivano i presenti, che erano ebrei. Qui ti serve poco l’immedesimazione: devi fare ricerche e scoprire cosa significava per loro.
Ma i paradossi continuano: “Abraamo disse: ‘Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi’” (vv. 25,26). Il paradosso non è solo la voragine ma il fatto che si possa comunicare da una parte all’altra.
“Ed egli disse: ‘Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento’. Abraamo disse: ‘Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli’. Ed egli: ‘No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno’. Abraamo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita’” (vv. 27-31). Nuovo paradosso: un morto che può presentarsi ai vivi.
L’insegnamento finale? “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se …”. E ciò ci riporta all’inizio: “Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori” (v. 15), “È più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge” (v.17). Con i paradossi della sua parola Yeshùa costrinse quei saccenti e presuntuosi farisei a immedesimarsi finanche nella fine che avrebbero fatto.
E noi, Lella, riusciamo a immedesimarci davvero?