Stella, comprendo cosa vuoi dire, e lo condivido. Ma se preghi in nome di Cristo letteralmente, ossia pronunciando le parole “Ti prego in nome di Yeshùa”, fai qualcosa che lui non ha mai detto di fare. Lui disse ai Dodici, e solo a loro, che nella loro missione (affidatagli da Yeshùa in persona) avrebbero avuto l'autorità e il potere di chiedere qualunque cosa (non di pregare), affinché potessero manifestare chiaramente che Dio era con loro, perché la gente credesse. A questo servivano le opere miracolose. Yeshùa fece con loro quello che Dio fa col Messia: “Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra.” (Sl 2:8). Ma Dio, qui, non parla di preghiera, parla di autorità. Pietro, con due parole, fece cadere Anania a terra morto. Chiedere nel nome di qualcuno, in italiano, significa chiedere avendo ricevuto delega di farlo da quel qualcuno, e significa avere autorità decisionale assoluta, avendo la piena fiducia di chi ci delega. Tu pensi che noi possiamo avere l'autorità di chiedere come se fossimo Yeshùa, cioè al posto suo? Quando Pietro disse alla moglie di Anania che sarebbe morta per aver mentito allo spirito, quella morì; è come se fosse stato Yeshùa a dire quelle cose, perché Pietro aveva l'autorità di agire in suo nome, al posto suo, come se fosse lui. Per questo Yeshùa disse ai Dodici: “Quello che [voi Dodici] chiederete nel mio nome, [io] lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio” (Gv 14:13). Ecco, secondo me Sl 2:8 fa capire bene la differenza che intercorre tra chiedere e pregare. Il Messia e i suoi apostoli potevano chiedere, sapendo di ottenere; noi possiamo pregare, rimettendoci alla Sua volontà.Comunque se io prego nel nome di CRISTO sigifica che mi presento davanti al padre non perche' ho meriti ,ma nella grazia che ho ottenuto tramite i meriti di CRISTO
Se io fossi Pietro, o Giovanni, potrei permettermi di chiedere a Dio la realizzazione di qualcosa in nome di Yeshùa, poiché Yeshùa stesso mi avrebbe conferito autorità di chiedere come se fossi lui in persona.
“In nome di: in rappresentanza o per delega di: "in n. del popolo italiano" (sostituisce la frase in n. di Sua Maestà, che si usava come formula iniziale delle sentenze al tempo della monarchia)” — Treccani
Pregare in nome di Yeshùa significa aver ricevuto da Yeshùa il permesso e l'autorità di pregare come se fossimo lui in persona, cioè pregare al posto suo. Ciò non ha senso, perché nessuno di noi può e deve pregare al posto di Yeshùa. Ognuno di noi prega e deve pregare in nome di se stesso. E nessuno di noi può chiedere in nome di Yeshùa, cioè al posto suo, perché questa prerogativa fu concessa solo agli apostoli, ai Dodici innanzi tutto. Tu te la sentiresti di metterti al posto di Yeshùa davanti a Dio? Gli apostoli lo fecero perché furono chiamati da Yeshùa (e da Dio) a farlo. Io non mi sento affatto chiamato da Yeshùa a parlare o chiedere al posto suo. Questo significa chiedere in suo nome (e non pregare in suo nome). La preghiera è un atto di intima adesione a Dio e di speranza nella Sua attenzione, non una richiesta, che esprime il desiderio di raggiungere uno scopo con certezza. Gli apostoli chiedevano con certezza, sapendo che lo facevano come se fosse Yeshùa a farlo; noi preghiamo, non chiediamo.
Ti faccio una domanda. Quali sono gli unici versetti del Vangelo in cui Yeshùa insegna come pregare (e non come chiedere)? E in quei versetti, egli insegna a pregare “in suo nome”, cioè al posto suo?