Re: Romani 11, 36
Inviato: giovedì 8 giugno 2023, 2:18
Con strani salti e improbabili agganci biblici, la teologia cosiddetta cristiana (del tutto posteriore al tempo di Giovanni) identifica il lògos in “Gesù” collegandolo alla sapienza di Dio. Nella diversa interpretazione di Gv 1:1c (“La parola era Dio”) i trinitari giungono all’equivalenza «“Gesù” = Dio», mentre i Testimoni di Geova approdano alla monolatria: «la parola = un dio».
La sapienza – in ebraico khochmàh (חָכְמָה) e il greco sofìa (σοφία) – era per gli ebrei l’abilità di una persona in un campo specifico. Così, gli ebrei parlavano di un muratore saggio o di un carpentiere saggio. “Saggio” era anche chi sapeva dirigere bene la propria vita e i propri affari in modo che tutto potesse procedere magnificamente. Come si nota, questo è un concetto pratico. Per gli ebrei, che non amavano le astrazioni, tutto era pratico. Il concetto biblico di khokmàh – “sapienza” – era dunque un concetto concreto che nulla ha a che vedere con la filosofia e che va ben al di là della conoscenza e dell’intendimento mentali.
Che Yeshùa fosse una persona sapiente è indubbio. Le persone ne erano stupefatte, tanto che mentre un sabato insegnava in una sinagoga “si stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza [σοφία (sofìa)] è questa che gli è data?»” (Mr 6:2, NR). Quando una volta Yeshùa “salì al tempio e si mise a insegnare”, “i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato»” (Gv 7:14-16, NR). Non stupisce quindi che Paolo affermi che Yeshùa “da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]”. - 1Cor 1:30, ND.
Da qui a sostenere che la sapienza personifica nel libro biblico di Proverbi sia Yeshùa preumano ce ne corre.
In Pr 8 la khochmàh, la “sapienza”, che in ebraico è femminile come nel greco sofìa e in italiano, viene personificata in una donna che “sta in piedi in cima ai luoghi più elevati, sulla strada, agli incroci” e “grida presso le porte della città, all'ingresso, negli androni” (vv. 2 e 3), chimamdo a sé le persone e invitandole ad imparare da lei (vv. 4-10), “perché buona è la sapienza [כִּי־טֹובָה חָכְמָה (ki-tovàh khochmàh); sofìa (σοφία), nella LXX], vale più delle perle e tutte le preziosità non la eguagiano” (v 11, traduzione diretta dall’ebraico). Al capitolo successivo, in Pr 9, la sapienza continua ad agire
come una donna assennata e ospitale: “La Sapienza ha costruito la sua casa … Ha ucciso animali, ha procurato il vino, ha già preparato la sua tavola. Ha mandato le sue serve a fare gli inviti dai punti più alti della città. Esse gridano: «Venite, gente inesperta!»” (Pr 9:1-4, TILC). Basterebbe ciò per capire che siamo di fronte ad un testo poetico in cui viene esaltata la sapienza biblica. Ogni dubbio viene comunque spazzato via quando subito dopo compare la sua controparte, la follia: “La Follia è una donna irrequieta, sciocca e ignorante. Essa siede sulla porta della sua casa, su un trono, nella parte alta della città, per invitare i passanti che vanno dritti per la loro strada” (Pr 9:13-15, TILC). E così abbiamo due donne che impersonificano una la Sapienza e l’altra la Follia. Se la sapienza fosse lo Yeshùa preumano, chi sarebbe la Follia? E, quando la sapienza dice: “Io, la sapienza, risiedo con l’accortezza” (Pr 8:12, nuova TNM), che sarebbe “l’accortezza” che sta insieme alla sapienza? E, ancora, quando la sapienza dice: “Mediante me i re continuano a regnare” (Pr 8:15, nuova TNM), dobbiamo intendere che i re continuano a regnare mediante “Gesù” preumano? Se queste domande appaiono sciocche è perché è sciocca l’identicazione della sapienza con “Gesù” preumano. “Rispondi allo stupido secondo la sua stoltezza, perché non creda di essere saggio”. – Pr 26:5, nuova TNM.
Pur volendo sforzarsi di prendere seriamente la questione, non si può leggere letteralmente Pr 8:22,23: “Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'allora. Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra” (NR). Neppure possiamo prendere alla lettera Pr 8:30: “Allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante” (NR). Siamo infatti in presenza di un testo poetico. Oltretutto, perché mai il “Gesù” preumano dovrebbe parlare in prima persona e in poesia nelle vesti di una donna, e proprio nel libro di Proverbi?
I Testimoni di Geova, che collegano Gv 1:1 alla sapienza di Pr 8, argomentano che in Pr 8:22 la sapienza non può essere semplicemente quella di Dio perché Dio è sapiente da sempre. Questo è un piccolo ragionamento basato su una lettura letterale. In Pr 8:24 la sapienza dice nel testo ebraico: “Fui partorita [חֹולָלְתִּי (kholàlti) ]”. Se si legge alla lettera, va letto tutto alla lettera. Al v. 22 sempre la sapienza dice: “Yhvh mi creò [קָנָנִי (qananì)]”. In Gn 4:1, Eva dice dopo aver concepito e partorito Caino: “Ho acquistato un figlio [קָנִיתִי אִישׁ (qanìti ish)]” (TILC), il cui senso è “ho avuto/partorito”. Si tratta dello stesso verbo qanàh (קָנָה) di Pr 8:22, secondo cui Yhvh ebbe la sapienza partorendola. Giacchè Yhvh non partorisce, occorre tradurre “mi creò” e non “mi ebbe / mi partorì”. Creata o partorita? È ovvio, anche qui non si possono fare distinzioni in un testo poetico e allegorico. E il “Gesù” preumano fu creato o fu partorito all’inizio dei tempi? Nessuna delle due. Tutta la storia di Yeshùa è così riassunta da Paolo: “Colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria” (1Tm 3:16, NR). La storia di Yeshùa inizia da uomo e solo dopo la sua morte viene assunto da Dio in cielo. Il biblista Claudio E. Gherardi fa notare: «Niente viene detto di un’esistenza preumana»; poi spiega: «Paolo qui prende in considerazione la sua esistenza terrena, l’unica che ebbe prima di ascendere al cielo (cfr. Gv 1:14 dove il verbo ghinomai significa "iniziare ad esistere, apparire nella storia"; la sua forma eghèneto è espressa all'indicativo aoristo che indica un’azione puntuale colta nel momento in cui si manifesta. La traduzione della frase potrebbe essere: "D'un tratto la parola appare sul palcoscenico della storia umana")».
Pare perfino assurdo dover argomentare su Pr 8. È del tutto evidente la sapienza lì lodata non ha alcunché a che fare con l’uomo Yeshùa di Nazaret, se non per il fatto che egli possedeva.
Per trovare un collegamento tra la “parola” e la “sapienza” occorre cercarlo nell’apocrifo Sapienza, scritto in greco: “Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola [ἐν λόγῳ (en lògo) b], e con la tua sapienza [σοφίᾳ (sofìa)] hai formato l'uomo”. – Sapienza 9:1,2, nuova CEI.
Il prologo di Giovanni non inizia dicendo: ‘In principio era la sapienza e la sapienza era presso Dio, e la sapienza era Dio’.
La sapienza – in ebraico khochmàh (חָכְמָה) e il greco sofìa (σοφία) – era per gli ebrei l’abilità di una persona in un campo specifico. Così, gli ebrei parlavano di un muratore saggio o di un carpentiere saggio. “Saggio” era anche chi sapeva dirigere bene la propria vita e i propri affari in modo che tutto potesse procedere magnificamente. Come si nota, questo è un concetto pratico. Per gli ebrei, che non amavano le astrazioni, tutto era pratico. Il concetto biblico di khokmàh – “sapienza” – era dunque un concetto concreto che nulla ha a che vedere con la filosofia e che va ben al di là della conoscenza e dell’intendimento mentali.
Che Yeshùa fosse una persona sapiente è indubbio. Le persone ne erano stupefatte, tanto che mentre un sabato insegnava in una sinagoga “si stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza [σοφία (sofìa)] è questa che gli è data?»” (Mr 6:2, NR). Quando una volta Yeshùa “salì al tempio e si mise a insegnare”, “i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato»” (Gv 7:14-16, NR). Non stupisce quindi che Paolo affermi che Yeshùa “da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]”. - 1Cor 1:30, ND.
Da qui a sostenere che la sapienza personifica nel libro biblico di Proverbi sia Yeshùa preumano ce ne corre.
In Pr 8 la khochmàh, la “sapienza”, che in ebraico è femminile come nel greco sofìa e in italiano, viene personificata in una donna che “sta in piedi in cima ai luoghi più elevati, sulla strada, agli incroci” e “grida presso le porte della città, all'ingresso, negli androni” (vv. 2 e 3), chimamdo a sé le persone e invitandole ad imparare da lei (vv. 4-10), “perché buona è la sapienza [כִּי־טֹובָה חָכְמָה (ki-tovàh khochmàh); sofìa (σοφία), nella LXX], vale più delle perle e tutte le preziosità non la eguagiano” (v 11, traduzione diretta dall’ebraico). Al capitolo successivo, in Pr 9, la sapienza continua ad agire
come una donna assennata e ospitale: “La Sapienza ha costruito la sua casa … Ha ucciso animali, ha procurato il vino, ha già preparato la sua tavola. Ha mandato le sue serve a fare gli inviti dai punti più alti della città. Esse gridano: «Venite, gente inesperta!»” (Pr 9:1-4, TILC). Basterebbe ciò per capire che siamo di fronte ad un testo poetico in cui viene esaltata la sapienza biblica. Ogni dubbio viene comunque spazzato via quando subito dopo compare la sua controparte, la follia: “La Follia è una donna irrequieta, sciocca e ignorante. Essa siede sulla porta della sua casa, su un trono, nella parte alta della città, per invitare i passanti che vanno dritti per la loro strada” (Pr 9:13-15, TILC). E così abbiamo due donne che impersonificano una la Sapienza e l’altra la Follia. Se la sapienza fosse lo Yeshùa preumano, chi sarebbe la Follia? E, quando la sapienza dice: “Io, la sapienza, risiedo con l’accortezza” (Pr 8:12, nuova TNM), che sarebbe “l’accortezza” che sta insieme alla sapienza? E, ancora, quando la sapienza dice: “Mediante me i re continuano a regnare” (Pr 8:15, nuova TNM), dobbiamo intendere che i re continuano a regnare mediante “Gesù” preumano? Se queste domande appaiono sciocche è perché è sciocca l’identicazione della sapienza con “Gesù” preumano. “Rispondi allo stupido secondo la sua stoltezza, perché non creda di essere saggio”. – Pr 26:5, nuova TNM.
Pur volendo sforzarsi di prendere seriamente la questione, non si può leggere letteralmente Pr 8:22,23: “Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'allora. Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra” (NR). Neppure possiamo prendere alla lettera Pr 8:30: “Allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante” (NR). Siamo infatti in presenza di un testo poetico. Oltretutto, perché mai il “Gesù” preumano dovrebbe parlare in prima persona e in poesia nelle vesti di una donna, e proprio nel libro di Proverbi?
I Testimoni di Geova, che collegano Gv 1:1 alla sapienza di Pr 8, argomentano che in Pr 8:22 la sapienza non può essere semplicemente quella di Dio perché Dio è sapiente da sempre. Questo è un piccolo ragionamento basato su una lettura letterale. In Pr 8:24 la sapienza dice nel testo ebraico: “Fui partorita [חֹולָלְתִּי (kholàlti) ]”. Se si legge alla lettera, va letto tutto alla lettera. Al v. 22 sempre la sapienza dice: “Yhvh mi creò [קָנָנִי (qananì)]”. In Gn 4:1, Eva dice dopo aver concepito e partorito Caino: “Ho acquistato un figlio [קָנִיתִי אִישׁ (qanìti ish)]” (TILC), il cui senso è “ho avuto/partorito”. Si tratta dello stesso verbo qanàh (קָנָה) di Pr 8:22, secondo cui Yhvh ebbe la sapienza partorendola. Giacchè Yhvh non partorisce, occorre tradurre “mi creò” e non “mi ebbe / mi partorì”. Creata o partorita? È ovvio, anche qui non si possono fare distinzioni in un testo poetico e allegorico. E il “Gesù” preumano fu creato o fu partorito all’inizio dei tempi? Nessuna delle due. Tutta la storia di Yeshùa è così riassunta da Paolo: “Colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria” (1Tm 3:16, NR). La storia di Yeshùa inizia da uomo e solo dopo la sua morte viene assunto da Dio in cielo. Il biblista Claudio E. Gherardi fa notare: «Niente viene detto di un’esistenza preumana»; poi spiega: «Paolo qui prende in considerazione la sua esistenza terrena, l’unica che ebbe prima di ascendere al cielo (cfr. Gv 1:14 dove il verbo ghinomai significa "iniziare ad esistere, apparire nella storia"; la sua forma eghèneto è espressa all'indicativo aoristo che indica un’azione puntuale colta nel momento in cui si manifesta. La traduzione della frase potrebbe essere: "D'un tratto la parola appare sul palcoscenico della storia umana")».
Pare perfino assurdo dover argomentare su Pr 8. È del tutto evidente la sapienza lì lodata non ha alcunché a che fare con l’uomo Yeshùa di Nazaret, se non per il fatto che egli possedeva.
Per trovare un collegamento tra la “parola” e la “sapienza” occorre cercarlo nell’apocrifo Sapienza, scritto in greco: “Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola [ἐν λόγῳ (en lògo) b], e con la tua sapienza [σοφίᾳ (sofìa)] hai formato l'uomo”. – Sapienza 9:1,2, nuova CEI.
Il prologo di Giovanni non inizia dicendo: ‘In principio era la sapienza e la sapienza era presso Dio, e la sapienza era Dio’.