Re: Yeshu'a è Dio?
Inviato: giovedì 12 settembre 2019, 11:20
Samaritano, la tua certezza della divinità di Yeshùa è una manifestazione del potere che l'autoconvinzione ha su di noi. Però, la certezza di qualcosa dovrebbe derivare da una dimostrazione, ad esempio io sono certo che il fuoco brucia perché posso constatarlo, ma non potrei esserne sicuro se non mi bruciassi. Citi Gv 18:36, dove non si parla affatto della divinità di Yeshùa, per cui non è possibile desumerla da questo versetto, e dunque la tua certezza deriva da autoconvinzione e non da dimostrazione.
Nel passaggio di Gv 18:33-37 il tema è la regalità di Yeshùa, non la sua divinità. Infatti, al v.33 Pilato domanda "Sei tu il re dei Giudei?". Il re dei giudei non è Dio, ma il mashiach, l'unto, come lo furono Ezechia, Davide, Salomone; i capi dei sacerdoti mandano Yeshùa da Pilato con l'accusa di essersi proclamato re dei giudei perché sapevano che Pilato non avrebbe tollerato un dissidente all'unico re che era Cesare, che avrebbe potuto generare sommosse che lui avrebbe dovuto sedare.
Yeshùa, dunque, risponde alla domanda se lui fosse re, non Dio, e al v.37 Yeshùa dice: "Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità". La sua missione regale era quella di "essere testimone", ossia rappresentante, ed è proprio questo ciò che è il re nell'antichità, perché è intronizzato da Dio e Lo rappresenta; ma colui che testimonia di qualcosa o qualcuno e lo rappresenta, non è mai quel qualcosa o qualcuno ma, appunto, suo testimone e rappresentante. Il verbo μαρτυρέω (marturèo, da cui "martire") significa "dare testimonianza", "essere testimone"; come gli apostoli ("inviati") erano testimoni di Yeshua ("Voi siete testimoni di queste cose", Lc 24:48) ma non erano Yeshùa, Yeshùa era testimone della Verità, ma non era la Verità. Lo era finché la rappresentava, come il pane e il vino "sono" corpo e sangue perché li rappresentano. Infatti, Yeshùa è chiamato "apostolo", ossia inviato, e l'inviato non può essere colui che invia, come Mosè, nominato "elohim" da Dio, non è Elohim (Es 4:15-16):
"l'apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo, il quale è fedele a colui che lo ha costituito, come anche lo fu Mosè, in tutta la casa di Dio" (Eb 3:1-2).
Ecco, volevo dimostrarti che prima di accettare un'idea come vera, è necessario verificare se quell'idea è dimostrata vera dal testo biblico oppure è solo frutto di autosuggestione. Bisogna sempre procedere un versetto alla volta, esaminandolo bene nel contesto del discorso e in quello biblico e storico-culturale. Questo è ciò che ci proponiamo di fare qui.
Nel passaggio di Gv 18:33-37 il tema è la regalità di Yeshùa, non la sua divinità. Infatti, al v.33 Pilato domanda "Sei tu il re dei Giudei?". Il re dei giudei non è Dio, ma il mashiach, l'unto, come lo furono Ezechia, Davide, Salomone; i capi dei sacerdoti mandano Yeshùa da Pilato con l'accusa di essersi proclamato re dei giudei perché sapevano che Pilato non avrebbe tollerato un dissidente all'unico re che era Cesare, che avrebbe potuto generare sommosse che lui avrebbe dovuto sedare.
Yeshùa, dunque, risponde alla domanda se lui fosse re, non Dio, e al v.37 Yeshùa dice: "Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità". La sua missione regale era quella di "essere testimone", ossia rappresentante, ed è proprio questo ciò che è il re nell'antichità, perché è intronizzato da Dio e Lo rappresenta; ma colui che testimonia di qualcosa o qualcuno e lo rappresenta, non è mai quel qualcosa o qualcuno ma, appunto, suo testimone e rappresentante. Il verbo μαρτυρέω (marturèo, da cui "martire") significa "dare testimonianza", "essere testimone"; come gli apostoli ("inviati") erano testimoni di Yeshua ("Voi siete testimoni di queste cose", Lc 24:48) ma non erano Yeshùa, Yeshùa era testimone della Verità, ma non era la Verità. Lo era finché la rappresentava, come il pane e il vino "sono" corpo e sangue perché li rappresentano. Infatti, Yeshùa è chiamato "apostolo", ossia inviato, e l'inviato non può essere colui che invia, come Mosè, nominato "elohim" da Dio, non è Elohim (Es 4:15-16):
"l'apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo, il quale è fedele a colui che lo ha costituito, come anche lo fu Mosè, in tutta la casa di Dio" (Eb 3:1-2).
Ecco, volevo dimostrarti che prima di accettare un'idea come vera, è necessario verificare se quell'idea è dimostrata vera dal testo biblico oppure è solo frutto di autosuggestione. Bisogna sempre procedere un versetto alla volta, esaminandolo bene nel contesto del discorso e in quello biblico e storico-culturale. Questo è ciò che ci proponiamo di fare qui.