No, Lella. La questione è
ben altra.
Tu sei partita dicendo riguardo a Isaia 40:3: “Non mi pare che Isaia abbia detto di preparare la strada al Figlio di Dio, ... ma a Dio”. Io ti ho mostrato invece che in questo passo Dio sta annunciando ai giudei la liberazione dalla schiavitù babilonese, infatti è detto in Is 40:1,2: “Consolate, consolate il mio popolo ... Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto”.
La profezia che parla del messia è Mal 3:1, in cui Dio dice “la via davanti a me”. Ti ho fatto notare che però in Mt 11:10 Yeshùa, citando le parole di Dio,
non dice “davanti a me” ma “davanti a te”.
Ora, se vuoi accettare le parole stesse di Yeshùa, ciò dimostra che lui non è affatto Dio, proprio perché cambia l’espressione di Dio “davanti a me” e dice “davanti a te”.
E tu, per tutta risposta, che fai? Mi dici che le cose sono due: o darmi ragione e inghiottire il rospo oppure far finta di niente e passare ad un altro passo sperando che io capisca!
Nossignora, Lella. Tu non devi né inghiottire rospi né darmi ragione. Devi semplicemente usare la testa e attenerti al testo biblico.
Non c’è nulla di male nel riconoscere che hai fatto un’applicazione sbagliata di Isaia 40:3. Guarda, puoi perfino dire: è vero, quel passo non dimostra la trinità, ma ne ho altri mille che lo dimostrano. Sarebbe già un passo avanti. Prendendo posizione come hai fatto, invece, mostri solo di non voler sentir ragioni e di voler affermare la tua dottrina trinitaria perfino con passi che nulla c’entrano (Is 40:3) e con altri che la smentiscono (raffronto tra Mal 3:1 e Mt 11:10).
Mi spiace dovertelo ripetere, Lella: tu non sei disposta ad analizzare la Bibbia. Sono quindi io che a questo punto “ti do ragione”, senza inghiottire rospi, ma per compassione.
Sottoscrivo anch’io, come dice Michele, l’affermazione di Annika: “Conoscere Gesù equivale a conoscere Dio". Ancora di più sottoscrivo la precisazione di Michele: “Per noi, conoscere Gesù è l'equivalente di conoscere Dio, dato che è impossibile avere una conoscenza di Dio, al momento. Ma sarebbe sbagliato dire che Gesù è Dio”.
Anzi, mi spingo oltre: Yeshùa e il Padre,
relativamente a noi, sono “uguali” tra loro, perché la volontà dell’uno è la volontà dell’altro, l’amore dell’uno è l’amore dell’altro, le parole dell’uno sono le parole dell’altro. La salvezza divina ci proviene da Dio tramite Yeshùa: “Io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare”. - Gv 12:49.
Sarebbe però uno sbaglio poggiarsi su questi passi per asserire l’identità di natura tra il Padre ed il Figlio, poiché le identiche parole che servono a denotare l’unione tra Yeshùa e il Padre, sono pure quelle che servono a denotare l’unione tra Yeshùa e i suoi discepoli, e tra i discepoli stessi, benché ognuno conservi la propria personalità naturale: “Che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi. […] siano uno come noi siamo uno”. - Gv 17:21,22.
Non ‘tu sei me’, ma “tu sei in me”; non ‘io sono te’, ma “io sono in te”. Si tratta di abitazione, di unione, di vivere l’uno dell’altro (come tra Yeshùa e il suo discepolo), non d’identificazione di natura o di essenza; infatti: “anch'essi siano in noi”, nello stesso modo. Yeshùa è funzionalmente come il Padre, in lui è l’amore del Padre che si dispiega, è la salvezza del Padre che ci perviene, anche se naturalmente sono distinti e l’uno è subordinato all’altro.
Verrà poi il momento in cui, terminata la precedente missione (funzione) di Yeshùa, questi si sottometterà definitivamente al Padre: “Allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti”. - 1Cor 15:28.
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