Scrive Besàseà: “Prima di tutto bisogna chiarire che "figlio dell'uomo" è il risultato di una traduzione errata. In ebraico ben Adam significa umano, "ben" qui significa "appartenente a", non figlio. In italiano diremmo semplicemente "uomo", ma più precisamente "umano".” Tuttavia poi in alcuni esempi Besàseà mostra che
ben indica proprio il figlio. Se Besàseà mi consente, potremmo dirla così:
ben (in aramaico
bar) significa “figlio”, ma nelle espressioni “figli di” indica una categoria: i “figli dei profeti” sono gli appartenenti alla categoria dei profeti (in un certo periodo si ebbero in Israele anche dei veri e propri circoli profetici, accademie profetiche), i “figli degli orefici” sono gli orefici, i “figli di mischiatori d’unguento” sono i profumieri; “figlio dell’uomo” sta quindi, come giustamente ha spiegato Besàseà, per “umano”. Tra parentesi, il “figlio del falegname” riferito a Yeshùa sta per falegname.
A proposito di Gn 2:7, dopo le chiarificazioni di Besàseà (che ringrazio), devo rivedere il mio pensiero.
Besàseà ha spiegato che יצר non indica il “formare”, perché "formare" è di radice צור, mentre
יוצר è invece di radice יצר con il senso di produrre ed indica anche la produzione di idoli e di oggetti di ceramica.
La traduzione וייצר con "formò", sebbene molto diffusa, è quindi errata perché questo verbo è un
piel di radice צרר. Nell’apprenderlo sono rimasto molto stupito, perché l’autorevole
Lessico analitico di ebraico e caldaico di B. Davidson collega וייצר a יצר e cita proprio Gn 2:7. Devo però dire che un dubbio mi era venuto perché il Davidson, alla voce יִּצֶר, rimanda pure a יצר e questa volta cita Gn 2:19. Da qui la mia perplessità, anche perché il Davidson nulla dice sulla presenza di due
yod (
yud, per dirla in israeliano) in ייצר.
Sapevo che i rabbini fanno notare che gli animali sono stati creati con un solo istinto, mentre l’essere umano ha due inclinazioni. Lo
yod (י,
y) è, infatti, la prima lettera della parola יֵצֶר (
yètzer), che significa “inclinazione”, come in Gn 6:5: “[Dio] vide che la cattiveria dell’uomo era abbondante sulla terra e che ogni inclinazione [יֵצֶר (
yètzer)] dei pensieri del suo cuore era solo cattiva in ogni tempo”. – TNM 1987.
Ora tutto è chiaro. E capisco anche il senso “avverbiale” della “povere”, se lo prendiamo come modo o maniera.
Grazie, Besàseà. Il tuo tempo con me è stato ben speso.
