COSA VUOL DIRE PARABOLA?

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ארמאנדו אלבנו
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COSA VUOL DIRE PARABOLA?

Messaggio da ארמאנדו אלבנו »

Parlando con un cattolico romano sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci e come bergoglio lo definì una parabola costui mi dice:

La parabola è un discorso che adombra verità spirituali profonde, comprensibili a pochi. Spesso l'associamo a raccontini immaginari ambientati nella realtà. Ma non sempre è così. Nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, ad esempio, così come nella trasformazione dell'acqua in vino, viene adombrato il miracolo eucaristico. In questo caso, pur trattandosi di accadimenti reali, viene sotteso un significato più profondo, che va al di là dell'evento contingente. La stessa realtà, quindi, diventa metafora di una verità spirituale nascosta e si trasforma in parabola. Ecco il vero senso delle parole di Francesco. Tutto il resto è speculazione spicciola, senza alcun fondamento...

tralasciando il discorso sulla transustanziazione cattolico romano, lui dice in poche parole che pure un fatto reale può essere parabola perchè sottintende un significato spirituale che pochi sono in grado di cogliere.

Ma la parabola non fa riferimento solo a fatti immaginari da cui si vuole dare un insegnamento? Oppure fa riferimento anche a fatti reali?
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Gianni
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Re: COSA VUOL DIRE PARABOLA?

Messaggio da Gianni »

Molto interessante la domanda posta da Armando Albano, e la risposta non è affatto scontata.

Nel rispondere parto da Eb 9:9. Qui l’omileta ebreo autore dello scritto, dopo aver parlato del Tabernacolo (poi divenuto Tempio) e dei suoi compartimenti (Santo e Santissimo), afferma: “Questo è una figura per il tempo presente”.
Che c’entra mai la parabola con questo passo? C’entra, eccome, perché ciò che è tradotto “figura” è nel testo biblico παραβολή (parabolè), letteralmente “parabola”.

In sé la parola greca significa “accostamento/raffronto” e ha un senso molto più ampio del nostro vocabolo “parabola”.

Si consideri attentamente quanto detto in Mt 13:34,35: “Tutte queste cose disse Gesù in parabole alle folle e senza parabole non diceva loro nulla, affinché si adempisse quello che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò in parabole la mia bocca; proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo»”. Qui è citato Sl 78:2: “Io aprirò la mia bocca per esprimere parabole, esporrò i misteri dei tempi antichi”. Andando a controllare il testo ebraico e la traduzione greca che ne fa la LXX, scopriamo che ciò che è tradotto “parabola” è מָשָׁל (mashàl), tradotto in greco con παραβολή (parabolè). – Nella LXX corrisponde a Sl 77:2.

Il vocabolo ebraico מָשָׁל (mashàl) indica non solo una parabola (cfr. Ez 17:2) ma anche una sentenza o proverbio (cfr. 1Sam 24:14), un proverbio vero e proprio (cfr. Pr 10:1) e perfino la satira (cfr. Mic 2:4). Yeshùa non andava in giro a raccontare solo storielle allegoriche. Yeshùa insegnava e dava spiegazioni facendo “accostamenti” (parabole, in senso greco) con altre cose simili. Ecco un esempio: “A che paragoneremo il regno di Dio, o con quale parabola lo rappresenteremo? Esso è simile a ...”. - Mr 4:30,31.

Il titolo del libro biblico di Proverbi è nella Bibbia ebraica מִשְׁלֵי שְׁלֹמֹה (mishlè shlomò): “Massime di Salomone”. La traduzione greca dei LXX lo traduce con Παροιμίαι Σαλωμῶντος (Paroimìai Salomòntos, “detti di Salomone). La traduzione latina della Vulgata lo chiama Liber proverbiorum, da cui il nostro Proverbi.
Il mashàl (משל) ebraico è qualcosa di più ampio. La parola mashàl (di cui מִשְׁלֵי, mishlè, è il plurale) è di origine incerta, ma può tradursi con “similitudine” e designa una verità espressa in modo immaginoso perché si imprima nella mente. Il mashàl si può ridurre ad una delle seguenti categorie:
a) Il proverbio propriamente detto: “Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio [משל (mashàl)]: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?’” (Ez 18:2; cfr. Ger 31:29). “Di qui venne il proverbio [משל (mashàl)]: ‘Saul è anche lui tra i profeti?’”. - 1Sam 10:12.
b) L’apologo, con cui si fanno parlare animali e cose inanimate col proposito di dare precetti morali.
“Un giorno, gli alberi si misero in cammino per ungere un re che regnasse su di loro; e dissero all'ulivo: ‘Regna tu su di noi’. Ma l'ulivo rispose loro: ‘E io dovrei rinunziare al mio olio che Dio e gli uomini onorano in me, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Allora gli alberi dissero al fico: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Ma il fico rispose loro: ‘E io dovrei rinunziare alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Poi gli alberi dissero alla vite: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Ma la vite rispose loro: ‘E io dovrei rinunziare al mio vino che rallegra Dio e gli uomini, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Allora tutti gli alberi dissero al pruno: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Il pruno rispose agli alberi: ‘Se è proprio in buona fede che volete ungermi re per regnare su di voi, venite a rifugiarvi sotto la mia ombra; se no, esca un fuoco dal pruno, e divori i cedri del Libano!’”. - Gdc 9:8-15.
L’allusione è al modo in cui si appiccava il fuoco alle foreste. Il senso è: Stiano bene attenti i sichemiti (v. 7) al passo che fanno, perché o si fidano di Abimelec per sempre oppure ne saranno schiacciati (ciò che di fatto avvenne).
c) Parabola. Con un racconto che ha qualche somiglianza con quanto si vuol dire si vuol insegnare una verità morale.
Natan, parlando a Davide colpevole di adulterio, gli fece capire che lui, ricco e potente poligamo, aveva proprio rubato l’unica pecora, vale a dire l’unica moglie di un vicino povero. - 2Sam 12:1-6.
La donna di Tecoa, volendo patrocinare in favore del figlio Absalom bandito dal padre Davide, riferì la parabola di un figlio che dopo aver ucciso il fratello era ricercato dai parenti perché fosse lui pure ucciso, lasciando così la madre del tutto vedova. - 2Sam 14:5-7.
d) Satira. Mordente, deride il vizio e mira a correggere i costumi. Un esempio di satira è quello che descrive l’adultero re di Babel che scende nello sheòl o soggiorno dei morti:
“Come! Il tiranno è finito? È finito il tormento? Il Signore ha spezzato il bastone degli empi, lo scettro dei despoti. Colui che furiosamente percoteva i popoli con colpi senza tregua, colui che dominava rabbiosamente sulle nazioni, è inseguito senza misericordia. Tutta la terra è in riposo, è tranquilla, la gente manda grida di gioia. Perfino i cipressi e i cedri del Libano si rallegrano a motivo di te. ‘Da quando tu sei atterrato’, essi dicono, ‘il boscaiolo non sale più contro di noi’”. - Is 14:4-8.

Il mashàl è quindi un termine elastico che nessuna parola delle nostre lingue moderne può riprodurre esattamente. Il senso preciso è determinato di volta in volta alla luce del contesto in cui si trova. Però, giacché vi soggiace sempre lo scopo di istruire e di correggere, il mashàl finì con l’acquistare il senso largo e comprensivo della sententia dei latini o della massima italiana. La collezione dei mishlè biblici si potrebbe quindi definire un’antologia di massime ebraiche.

La forma italianizzata “parabola”, corrispondente al greco παραβολή (parabolè), non rende sempre l’idea del vocabolo greco, che è più ricca.
Vediamo un altro esempio. Eb 11:19: “Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione”. E dov’è mai finita la parola παραβολή (parabolè) presente nel testo biblico originale? Il passo dice:
ἐν παραβολῇ ἐκομίσατο
en parabolè ekomìsato
in similitudine ricevette
Più conformemente, TNM traduce: “Lo ricevette pure in modo illustrativo”. Se stessimo alla lettera, sarebbe “in parabola”.

Questo ultimo esempio ci permette di rispondere alla domanda di Armando Albano: Ma la parabola non fa riferimento solo a fatti immaginari da cui si vuole trarre un insegnamento? Oppure fa riferimento anche a fatti reali?

Se ci riferiamo alla parola italiana “parabola”, questa indica unicamente un’illustrazione allegorica, come nel caso del regno di Dio che “è simile a un granello di senape, il quale, quando lo si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma quando è seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi; e fa dei rami tanto grandi, che all'ombra loro possono ripararsi gli uccelli del cielo”. - Mr 4:31,32.
Se invece ci riferiamo alla parola biblica παραβολή (parabolè), un fatto reale e storico può essere una parabolè che addita qualcos’altro.

Il primo fatto è chiamato tipo, il secondo è chiamato antìtipo. Come in Gal 4:24-26, in cui
la schiava Agar è tipo della Gerusalemme terrestre, che ne è l’antìtipo; e Sara è tipo della Gerusalemme celeste (antìtipo).

Grazie, Armando Albano, per aver posto questo interessante quesito.
ארמאנדו אלבנו
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Re: COSA VUOL DIRE PARABOLA?

Messaggio da ארמאנדו אלבנו »

Allora in un certo senso anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci è una parabola pur senza negarne la storicità e la concretezza reale del fatto. La moltiplicazione dei pani e dei pesci potrebbe rappresentare anche la parola vivente che Cristo moltiplica e distribuisce e sazia le persone. lui disse di essere il vero pane.

Però dico: il papa ha detto la parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci in un omelia dove si parlava del problema della fama nel mondo. Dicendo ''parabola'' non corre il rischio di creare confusione tra le persone? Solitamente le persone associano la parabola solo ad un fatto immaginario non reale che vuole dare un insegnamento. Così facendo come faccio a capire se bergoglio crede o meno alla storicità del miracolo avvenuto?


Cmq se parabola in senso biblico può riferirsi anche a fatti reali che hanno un significato implicito allora tutto il vangelo è una parabola compresa la resurrezione, senza tuttavia negare la storicità e la realtà di alcuni fatti avvenuti come la resurrezione o altri miracoli?
ארמאנדו אלבנו
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Re: COSA VUOL DIRE PARABOLA?

Messaggio da ארמאנדו אלבנו »

Shalom
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Gianni
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Re: COSA VUOL DIRE PARABOLA?

Messaggio da Gianni »

Caro Armando Albano. Le tue osservazioni sono più che corrette. Io credo che, una volta compreso il senso della parola greca “parabola”, sia assolutamente preferibile non usare mai quel senso nel linguaggio comune, perché – come giustamente dici – non fa che creare confusione.

Sulla moltiplicazione dei pani c’è parecchia confusione in ambito cattolico: ci sono esegeti cattolici che parlano di una sola moltiplicazione, altri di due; ci sono esegeti cattolici che le ritengono storiche, altri no.

Io ho trattato a fondo la questione, qui:

Le due moltiplicazioni dei pani: http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3329" onclick="window.open(this.href);return false;
Problemi circa la moltiplicazione dei pani: http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3335" onclick="window.open(this.href);return false;
Sfumature dei singoli evangelisti nelle moltiplicazioni dei pani: http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3332" onclick="window.open(this.href);return false;
Esame delle due moltiplicazioni dei pani: http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3338" onclick="window.open(this.href);return false;
ארמאנדו אלבנו
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Re: COSA VUOL DIRE PARABOLA?

Messaggio da ארמאנדו אלבנו »

Guarderò questi studi.

cmq ti assicuro che bergoglio a volte quando parla parla con molta ambiguità ed è difficile capire cosa dice. Ti assicuro che mai come ora c'è una spaccatura tra i cattolici romani. Ci sono cattolici romani fedeli a bergoglio e cattolici romani che pur non appartenendo ai sedevacantisti post CV II disconoscono bergoglio come successore legittimo di benedetto 16 e lo ritengono un falso profeta o peggio ancora il falso profeta apocalittico.

E' in atto un vero scisma tra i cattolici romani laici e anche nel clero romano stesso. Ad Ottobre ci sarà un sinodo sulla famiglia e li ci saranno battaglie tra vescovi.
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