Romani 7:1-6: fine della legge?

trizzi74
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Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da trizzi74 »

Caro Gianni, da qualche giorno sto cercando di capire se l'interpretazione che spesso viene data ad alcuni versetti è realmente quella giusta.Mi riferisco a quei passi biblici che per molte religioni sono la prova che la legge mosaica è stata abrogata.Uno di questi versetti è quello di Romani 7:1-6 che dice:
" Può darsi che non sappiate, fratelli (poiché parlo a quelli che conoscono la legge), che la Legge signoreggia l’uomo finché vive? Per esempio, la donna sposata è legata dalla legge al proprio marito mentre egli vive; ma se il marito muore, è esonerata dalla legge del marito.  E mentre il marito vive, essa sarebbe dunque chiamata adultera se divenisse di un altro uomo. Ma se il marito muore, è libera dalla sua legge, così che non è adultera se diviene di un altro uomo. Così, fratelli miei, anche voi foste resi morti alla Legge per mezzo del corpo del Cristo, per divenire di un altro, di colui che fu destato dai morti, affinché portassimo frutto a Dio.  Poiché quando eravamo in armonia con la carne, le passioni peccaminose eccitate dalla Legge operavano nelle nostre membra affinché portassimo frutto per la morte.  Ma ora siamo stati esonerati dalla Legge, perché siamo morti a ciò da cui eravamo detenuti, così che siamo schiavi in un nuovo senso secondo lo spirito, e non nel vecchio senso secondo il codice scritto".- TNM

Seguendo l'esempio della moglie che diventando vedova è stata "esonerata dalla legge del marito" alcuni pensano che quando il v.4 dice che i cristiani sono "morti alla Legge" significa che non sono più sotto questa legge perchè essa è stata abolita. Questo verrebbe avvalorato dal v.6 che dichiara che siamo "stati esonerati dalla Legge".

La domanda che ti rivolgo è semplice: Come si può dimostrare che questa interpretazione è sbagliata?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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Gianni
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da Gianni »

Caro Trizzi, leggendo Rm 7:1-6 va detto subito che siamo di fronte a una di quelle cose difficili di Paolo che Pietro così definì parlando delle lettere paoline: “In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture”. - 2Pt 3:16.
Ora esaminiamo il passo. Va notata una cosa che sfugge a chi legge in un certo modo:
“[La donna,] se il marito muore, è sciolta dalla legge che la lega al marito” (v. 2). Ora, ci si aspetterebbe che noi fossimo paragonati a quella donna diventata libera. E invece: “Così, fratelli miei, anche voi siete stati messi a morte quanto alla legge mediante il corpo di Cristo” (v. 4). Abbiamo dunque che nella metafora muore il marito e la donna è libera dalla sua legge, mentre nell’applicazione sono morti i credenti (sepolti nel battesimo) e ora sono vivi (riemersi dal battesimo) appartenendo a un altro, cioè a Yeshùa.
Come si spiega? La chiave interpretativa è ai vv. 5,6: “Mentre eravamo nella carne, le passioni peccaminose, risvegliate dalla legge, agivano nelle nostre membra allo scopo di portare frutto per la morte; ma ora siamo stati sciolti dai legami della legge, essendo morti a quella che ci teneva soggetti, per servire nel nuovo regime dello Spirito e non in quello vecchio della lettera”. Nota innanzitutto che Paolo dice che “ora siamo stati sciolti dai legami della legge”. I credenti non sono affatto stati sciolti dalla Legge, ma dai suoi legami. Quali erano questi legami? Paolo spiega più avanti al v. 14: “Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato”. E al v. 7 aveva detto: “La legge è peccato? No di certo!”. Poi ancora ai vv. 12,13: “Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono. Ciò che è buono, diventò dunque per me morte? No di certo! È invece il peccato che mi è diventato morte”. Paolo quindi riconosce che la santa Legge di Dio è buona, ma sa anche che l’essere umano è peccatore e non riesce a essere ubbidiente in tutto.
Intanto una riflessione: Ci sono leggi umane che è difficile rispettare, ma non per questo vengono abolite. La soluzione non è abrogare una legge permettendo il lassismo ma educare le persone a rispettarla. Ora, come ha risolto Dio la nostra incapacità a osservare la sua santa Legge? Non certo abrogandola e concedendo il lassismo. Dio ha fatto morire al nostro posto Yeshùa. E ora? Attenzione bene a ciò che Paolo dice: “Per servire nel nuovo regime dello Spirito e non in quello vecchio della lettera”. – V. 6.
Per essere più precisi, il testo originale dice dulèuein, non “servire” ma “essere schiavi”. Schiavi di chi? Di Dio, ovviamente. Il che indica l’ubbidienza cui siamo tenuti. Cosa è cambiato per il credente? Non certo la Legge, che è sempre quella, ma il modo di ubbidire. Si tratta del “nuovo regime”. Ciò ha che fare con il nuovo patto, di cui Dio disse: “’Questo è il patto che farò con la casa d'Israele, dopo quei giorni’, dice il Signore: ‘io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore’”. - Ger 31:33.
Nota molto bene ciò che Dio dice: “Io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore”. Dio non annulla la santa Legge, ma la interiorizza nel nostro intimo, così che possiamo ubbidirgli “nel nuovo regime dello spirito”.
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da Davide 62 »

Quindi cosa riesco a capire,da romani 7:1-6:io personalmente dicco la mia fin chè penso di poter riuscire ad osservare da solo come uomo carnale i comandamenti? Sto sbagliando! Bisogna essere spirituali, solo allora riuscirò ad osservarli!!!Ma per essere spirituali bisogna fare dei cambiamenti prima di tutto rinascere , ma bisogna essere dei chiamati dal padre è attirati dal figlio solo allora Dio agirà!!!!!
“’Questo è il patto che farò con la casa d'Israele, dopo quei giorni’, dice il Signore: ‘io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore’”. - Ger 31:33.
Nota molto bene ciò che Dio dice: “Io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore”. Shalom Davide62.
trizzi74
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da trizzi74 »

Caro Gianni, nel v.3 Paolo da risalto al fatto che con la morte del marito la moglie non è più soggetta alla sua legge, mentre nel v.4 da risalto alla morte dei credenti.Ho l'impressione che tra l'esempio e l'applicazione non ci sia una perfetta corrispondenza. Che ne pensi?

Inoltre che cosa intese dire Paolo con le parole "resi morti alla Legge" nel v.4?
Infine come interpretare le parole del v.6 "Ma ora siamo stati esonerati [ o liberati - CEI] dalla Legge".
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Gianni
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da Gianni »

In Rm 7:4-12 non si asserire che la Legge di Dio sia stata eliminata. Qui Paolo, stando a una traduzione, direbbe: “Voi foste resi morti alla Legge” (v. 4, TNM). Che cosa vuol dire? Forse che i credenti debbano far conto che la Legge di Dio non esista più? Ciò è quanto la traduzione vorrebbe far credere, ma Paolo non dice che la Legge sia morta: dice che morti sono i credenti: ὑμεῖς ἐθανατώθητε (ümèis ethavatòthete), “voi siete morti”. E non dice morti “alla Legge” (TNM). Infatti, il dativo τῷ νόμῳ (to nòmo) è un dativus iudicantis (dativo del punto di vista) (Grammatica greca, Le Monnier, Firenze, n. 5, pag. 321): “Siete morti per la Legge” ovvero, stando alla Legge, dal punto di vista della Legge, essi erano dichiarati come morti (per le loro colpe). È ciò che spiega lo stesso Paolo in Rm 7:9: “Un tempo io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii”; “In quanto a me, per mezzo della legge morii riguardo alla legge [νόμῳ (nòmo), dativus iudicantis]”. - Gal 2:19, TNM.
Riguardo al v. 6, il testo originale dice κατηργήθημεν ἀπὸ τοῦ νόμου (katerghèthemen apò tù vòmu). Il verbo, che è al passivo indicativo aoristo, significa letteralmente “siamo stati resi inattivi dalla Legge”. Infatti, subito dopo Paolo spiega perché: “Essendo morti in ciò a cui [ἐν ᾧ (en tò)] eravamo tenuti”. Con il battesimo il credente è morto. Risuscita con l’emersione dall’acqua battesimale e ora è una persona nuova, rinata “per servire nel nuovo regime dello spirito”.
La Legge di Dio, afferma Paolo, “è santa” (v. 12). Da nessuna parte lui dice che sia stata abolita, che sarebbe un assurdo solo a pensarlo. Va ricordato che la parola “legge” è inappropriata, perché dovuta al pessima traduzione fatta dalla LXX greca (la prima chiesa usava proprio quella versione). La parola ebraica originale è Toràh, che significa “Insegnamento” Ora, dire che il santo Insegnamento di Dio sia stato abolito è un’assurdità che rasenta la blasfemia.
trizzi74
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da trizzi74 »

Gianni ha scritto:Caro Trizzi, leggendo Rm 7:1-6 va detto subito che siamo di fronte a una di quelle cose difficili di Paolo che Pietro così definì parlando delle lettere paoline: “In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture”. - 2Pt 3:16.
Oltre che ringraziarti, devo dirti che queste tue parole li condivido appieno.Questo argormento è davvero molto complesso.Mediterò su quello che hai scritto.

Nel frattempo riporto il significato che il Dizionario esegetico del N.T. da al termine Kartageo:annientare, abrogare, abolire, esautorare, privare del potere, liberare.
Quale di questi significati viene applicato da questo dizionario nel passo di Romani?
Ecco quello che afferma: "In Rom.7,6 si dice che noi siamo liberati da essa, come in Rom. 7,2 la moglie è "libera" dal marito quando questi è morto". Vol.1, coll. 1958.
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da Gianni »

Caro Trizzi, si sta facendo interessante questa discussione. È anche un esempio di come si possa ragionare sulla Scrittura e approfondirla.
Tra i vari significati del verbo greco καταργέω (katarghèo), che tu riporti, occorre sceglierne uno adatto in base a: 1. Al contesto, 2. All’uso che ne fa Paolo, 3. Alla possibilità di tradurlo al passivo (nel nostro caso specifico). Il vocabolario è una gran cosa, è certamente irrinunciabile, ma poi occorre cercare il senso delle parole nella Scrittura. Il vocabolario ci dà solo il significato, ma è la Bibbia che ce ne dà il senso.
Chiarito ciò, potremmo anche accogliere la traduzione da te proposta ovvero “siano stati liberati” in Rm 7:6. Non mi sembra però la scelta migliore. E ti spiego perché.
Nello stesso versetto Paolo spiega perché κατηργήθημεν ἀπὸ τοῦ νόμου (katerghèthemen apò tù vòmu): “Essendo morti”. Se ci rifletti bene, qui non viene presentato il caso di credenti che sono stati esonerati dalla Toràh (teniamo sempre presente che è questa che dobbiamo intendere leggendo “Legge”) ma il caso persone morte (metaforicamente). Paolo sta dicendo che essendo morti i credenti hanno pagato la loro pena per aver infranto la Toràh. Si potrebbe allora dire che ne sono stati liberati? Strano modo se teniamo conto che muoiono; sarebbe come dire che un condannato a morte, venendo giustiziato si è liberato del codice penale. Occorre allora seguire bene il pensiero di Paolo. Richiamo quindi la tua attenzione su Rm 6:6: “Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato [καταργηθῇ (katarghèthe), passivo congiuntivo aoristo] e noi non serviamo più al peccato”. Qui il senso del verbo è “fosse reso inattivo” (TNM) e Paolo spiega perché: “Colui che è morto è stato giustificato dal peccato” (Ibidem). Morendo ha pareggiato i conti. Questo concetto lo sviluppa poi al successivo cap. 7, così in 7:6 afferma che “siamo stati resi inattivi, essendo morti”. Non è la Toràh che è resa inattiva, ma coloro che sono morti avendo pagato il loro debito.
Nella traduzione da te riportata di Rm 7:6 (“Noi siamo liberati da essa”), non c’è solo un errore riguardo alla traduzione del verbo greco, ma addirittura una piccola manipolazione interpretativa, perché Paolo dice ἐν ᾧ (en tò), “in ciò a cui” (e non da "da essa"): “Siamo stati resi inattivi in ciò a cui eravamo tenuti”. Si tratta di una sfumatura, è vero, ma è importante.
Con il battesimo il credente è morto. Risuscita con l’emersione dall’acqua battesimale e ora è una persona nuova, rinata “per servire nel nuovo regime dello spirito”.
Il “nuovo patto” non è altro che un modo nuovo di osservare la santa Toràh di Dio. Dal legalismo si passa all’osservanza sincera, con la Toràh impressa nell’intimo dei credenti. Dice Paolo: “Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica”. – 2Cor 3:6.
Il nuovo patto vincola quindi l’“Israele di Dio” a Dio stesso, e tale nuovo patto consiste nell’aver scritto nella mente e nel cuore la sua santa Toràh. In pratica, cambia il come ma non il cosa.
A conclusione di questa disamina sul verbo greco katarghèo, è il caso di tenere ben presente ciò che Paolo dichiara in Rm 3:31, in cui usa proprio katarghèo: “Annulliamo [καταργοῦμεν (katargùmen)] dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge”.
trizzi74
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da trizzi74 »

Caro Gianni, facendo alcune ricerche ho scoperto che ci sono altri che la pensano come te.
Ti riporto quello che ho letto sul commentario scritto da Antonio Pitta ( presbitero e docente ordinario di esegesi del N.T.) dal titolo: La lettera ai Romani (ed. Paoline).
Inizio riportando la traduzione di Romani 7:2-6 fatta dallo stesso autore:
Infatti, la donna sposata è legata alla legge per tutto il tempo in cui il marito vive; ma se muore il marito,è svincolata dal diritto matrimoniale.Pertanto, lei è chiamata adultera se, mentre vive il marito, si concede a un altro uomo; ma se il marito muore, è libera dal vincolo, cosicché non è adultera se si concede un altro uomo.Così, fratelli miei, anche voi siete morti alla Legge, per mezzo del corpo di Cristo, così da appartenere a un altro: a colui che è risorto dai morti, così da produrre frutti per Dio.Infatti, quando eravamo nella carne, le passioni dei peccati operavano nelle nostre membra, mediante la Legge, così da produrre frutti per la morte; invece adesso siamo stati separati dalla Legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, cosicché possiamo servire nella novità dello Spirito non è nel vecchiume della lettera.

Ecco il suo commento inerente ai versetti 4 e 6.
V.4: Non è la prima volta che Paolo, quando applica un principio giuridico pone in evidenza soltanto alcuni aspetti, senza preoccuparsi di eventuali incongruenze. Così al rigore di logica sorprende che mentre nell’esempio (versetto tre) muore il marito, determinando la libertà giuridica della moglie di unirsi con chi vuole, nell’applicazione gli stessi credenti sono morti e sono liberi di passare alla relazione sponsale nuova con Cristo.
Tuttavia non bisogna esagerare nelle contraddizioni, perché il primo elemento di contatto tra l’esempio e l’applicazione si trova nella possibilità che la moglie e i credenti hanno di passare a un altro uomo. Di per sé, Paolo non dice che il primo uomo corrisponde alla legge mosaica né che si riferisce al livello della morte di Cristo e tantomeno alla condizione previa di chi ancora non è in Cristo: queste sono conclusioni indebite che riducono l’esempio a un’allegoria e lo costringono in una camicia di forza. Dunque, la prima conseguenza dell’esempio riguarda la libertà dei personaggi coinvolti nel paragone: come la vedova è libera di sposare chi desidera, così credenti sono liberi di entrare in relazione sponsale con Cristo, perché sono stati uniti al suo corpo.
D’altro canto, è inevitabile la non perfetta corrispondenza tra l’esempio e l’applicazione: mentre nell’esempio sono coinvolte due persone, il marito e la moglie, nell’applicazione sono gli stessi credenti a passare dalla morte alla vita. Comunque, è importante sottolineare che Paolo non dice che la Legge è morta o è stata abrogata, perché non può pervenire a tale conclusione che, a prima vista, sarebbe anche naturale dall’applicazione dell’esempio. Invece, si può notare che, nell’applicazione, muore il credente e non la Legge. Ancora una volta, come in Romani 3:31, quando sarebbe consequenziale pensare alla morte o all’abrogazione della Legge, Paola evita volutamente tale conclusione: noi, per mezzo del corpo di Cristo moriamo alla Legge, anche se questa non è abrogata ma negativizzata o resa indifferente.
In questo processo di morte alla Legge, Cristo svolge un duplice ruolo: mediante il suo corpo moriamo alla Legge e siamo uniti a lui che è risorto dai morti. Dunque, egli è nello stesso tempo la via attraverso la quale moriamo e viviamo per Dio, ribadendo quanto Paola già dimostrato in Romani 6:10-11.- pag. 263-264

V 6: Al passato fa da contrasto il presente della vita cristiana; e qui Paolo sottolinea l’ultimo collegamento tra l’esempio giuridico e l’applicazione: come la donna, se muore il marito, è libera dal vincolo matrimoniale, così i credenti. Ma anche in questo caso, la corrispondenza non è perfetta: se la donna “è libera” con la morte del marito (versetto due), i credenti “sono stati separati” (katerghèthemen), intendendo il passivo come divino: Dio li ha separati dalla Legge con la loro partecipazione alla morte di Cristo.
Evocando ancora il passato precristiano dei credenti, Paolo ricorre a un verbo che esprime un contesto di prigionia: la Legge è come un pedagogo (confronta Galati 3,23-25) che non lascia liberi coloro che gli sono affidati. Una volta liberati dalla Legge e posti sotto il dominio della grazia, i credenti possono servire il Signore nella novità dello Spirito e non nel vecchiume della lettera. L’applicazione si conclude con un’antinomia tipicamente paolina: alla novità si oppone il vecchiume e la lettera Spirito. Forse è bene interpretare questi genitivi come di origine o soggettivi: dallo Spirito deriva o dipende la novità della vita mentre dalla lettera il vecchiume della morte. Paolo ha già utilizzato l’opposizione tra la “lettera” e lo “Spirito” in 2 Corinti 3:6-7 e in Romani 2:27-29, a proposito della circoncisione dello Spirito e non della lettera. Queste connessioni pongono in evidenza il retroterra profetico dell’opposizione: all’osservanza esterna o della lettera si oppone quella interiore dello Spirito (confronta Ger 31; Ez 36). Dalla compresenza di quest’opposizione e dall’applicazione sponsale della relazione con Cristo emerge che lettera e Spirito corrispondono alle due economie della salvezza: da una parte si trova quella vecchia in cui la Legge è ridotta alla lettera, ossia la sua osservanza esteriore, dall’altra quella dello Spirito. Per questo, dietro l’applicazione sponsale si trova, come nell’Antico Testamento la costruzione di una relazione di alleanza con Dio; ora con Cristo si realizza la nuova alleanza. Ma, anche in questo caso, è bene precisare che Paolo non dice che la Legge è abrogata: ciò che risulta negativizzato, e quindi considerato come vecchio, è la riduzione della Legge mosaica a lettera, ossia a un’economia senza lo Spirito o, in definitiva, senza la sua finalizzazione cristologica".- pag.265-266.
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da Gianni »

Grazie, Trizzi, per aver riportato questo commento, che condivido. L'unica cosa che non mi trova d'accordo è il passivo divino che l'autore ipotizza al v. 6, ma questa è una sottigliezza. :-)
trizzi74
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Re: Romani 7:1-6: fine della legge?

Messaggio da trizzi74 »

Caro Gianni, la Legge mosaica oltre che comprendere i 10 comandamenti, comprendeva all’incirca 600 leggi. La domanda che ti chiedo è: Se noi siamo tutt’oggi chiamati a essere ubbidienti a tale Legge, a quale di tutte queste leggi rimaniano vincolati?

Riguardo al commento del versetto di Romani 7:6 che ho riportato, l’autore usa due volte la parola “ economia”. Mi potresti spiegare il suo significato?
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