Il vero testo di Matteo 28:19
Inviato: martedì 10 giugno 2014, 11:10
Un testo molto citato dai trinitari per sostenere la loro dottrina è Mt 28:19, in cui il risuscitato Yeshùa avrebbe dato, stando all’attuale testo biblico, questo comando ai suoi discepoli “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Questa formula trinitaria è uno dei presunti pezzi forti dei trinitari. Eppure questo passo pone un grande problema, perché se quel comando fosse genuino si dovrebbe dire che tutta la prima chiesa vi disubbidì in massa. Troviamo infatti nella Bibbia che il battesimo fu sempre amministrato nel solo nome di Yeshùa e che mai fu utilizzata quella formula.
La verità è che quella formula non risale a Yeshùa. La formula originale doveva essere: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel mio nome”. Così infatti fece la prima chiesa, come ampiamente attestato nella Scrittura. Evidentemente qualche scriba trinitario manipolò il testo. Di ciò abbiamo un’autorevole testimonianza: Eusebio di Cesarea (265-340), vescovo e scrittore greco, definito uno dei “padri della chiesa”, il quale aveva posizioni simili a quelle di Ario (256-336). Ario era un teologo che professava il puro monoteismo, insegnando il Dio uno e unico, eterno e indivisibile e, di conseguenza, che Yeshùa - in quanto "generato" - non poteva essere considerato Dio allo stesso modo del Padre proprio perché la natura divina è unica; essendo infatti un "figlio" (e quindi "venuto dopo" di Colui che lo ha generato), Ario spiegava che non poteva essere co-eterno al Padre, essendo la natura divina di per sé eterna e indivisibile. Il Figlio, dunque, come attesta la Bibbia, è in posizione subordinata rispetto al Padre. Ario fu scomunicato nel 300.
Eusebio di Cesarea aveva la stessa posizione. Ai primi del 20° secolo lo studioso Fred. C. Conybeare analizzò le citazioni di Mt 28:19 fatte da Eusebio. Costui conosceva bene il testo mattaico, quello genuino, perché nelle sue opere più recenti e molto spesso (ben diciassette volte), Eusebio cita Mt 28:19 sotto questa forma: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel mio nome”. Le due citazioni più interessanti si leggono nella sua Dimostrazione evangelica. Nel primo passaggio (in, 6, PG 24, col. 233) Eusebio cita integralmente Mt 28:19 compreso il seguito del testo: "[...] insegnando loro a rispettare tutto ciò che io vi ho comandato”. Nel secondo passaggio (ibidem, col. 240) prima cita le parole “andate, fate discepoli in tutte le nazioni”, poi commenta lungamente l'espressione “nel mio nome”, dando prova di averla letta bene nel testo biblico. È dunque certo che Eusebio conosceva la forma genuina del testo mattaico, che conteneva “nel mio nome” e che non era ancora stata manomessa modificandola in “battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Questa testimonianza di Eusebio di Cesarea è resa ancora più certa perché è sostenuta dall’apologeta Giustino di Nablus (100-162/168), filosofo cristiano. Nel suo Dialogo con Trifone, composto verso il 150, in 39,2 egli scrisse che se Dio ritardava il suo giudizio finale lo faceva sapendo che ogni giorno “alcuni, essendo stati fatti discepoli nel nome del suo Cristo”, abbandonavano la via dell'errore. Queste ultime parole mostrano chiaramente che si trattava di pagani, come nel testo mattaico.
Nella forma genuina, attestata da Eusebio e da Giustino, il testo mattaico offre un buon parallelo con quello di Lc 24:47: “Nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti”. Luca, scrivendo per lettori non ebrei, rimpiazza il verbo “fare discepoli” con il più comune “predicare”.
In ogni caso la formula trinitaria di Mt 28:19, che non è genuina e autenticamente di Yeshùa, non costituisce neppure una prova per la dottrina della trinità, perché dalla formula manipolata non si può dedurre alcuna identificazione di Yeshùa con Dio e neppure che lo spirito santo sia una persona.
La verità è che quella formula non risale a Yeshùa. La formula originale doveva essere: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel mio nome”. Così infatti fece la prima chiesa, come ampiamente attestato nella Scrittura. Evidentemente qualche scriba trinitario manipolò il testo. Di ciò abbiamo un’autorevole testimonianza: Eusebio di Cesarea (265-340), vescovo e scrittore greco, definito uno dei “padri della chiesa”, il quale aveva posizioni simili a quelle di Ario (256-336). Ario era un teologo che professava il puro monoteismo, insegnando il Dio uno e unico, eterno e indivisibile e, di conseguenza, che Yeshùa - in quanto "generato" - non poteva essere considerato Dio allo stesso modo del Padre proprio perché la natura divina è unica; essendo infatti un "figlio" (e quindi "venuto dopo" di Colui che lo ha generato), Ario spiegava che non poteva essere co-eterno al Padre, essendo la natura divina di per sé eterna e indivisibile. Il Figlio, dunque, come attesta la Bibbia, è in posizione subordinata rispetto al Padre. Ario fu scomunicato nel 300.
Eusebio di Cesarea aveva la stessa posizione. Ai primi del 20° secolo lo studioso Fred. C. Conybeare analizzò le citazioni di Mt 28:19 fatte da Eusebio. Costui conosceva bene il testo mattaico, quello genuino, perché nelle sue opere più recenti e molto spesso (ben diciassette volte), Eusebio cita Mt 28:19 sotto questa forma: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel mio nome”. Le due citazioni più interessanti si leggono nella sua Dimostrazione evangelica. Nel primo passaggio (in, 6, PG 24, col. 233) Eusebio cita integralmente Mt 28:19 compreso il seguito del testo: "[...] insegnando loro a rispettare tutto ciò che io vi ho comandato”. Nel secondo passaggio (ibidem, col. 240) prima cita le parole “andate, fate discepoli in tutte le nazioni”, poi commenta lungamente l'espressione “nel mio nome”, dando prova di averla letta bene nel testo biblico. È dunque certo che Eusebio conosceva la forma genuina del testo mattaico, che conteneva “nel mio nome” e che non era ancora stata manomessa modificandola in “battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Questa testimonianza di Eusebio di Cesarea è resa ancora più certa perché è sostenuta dall’apologeta Giustino di Nablus (100-162/168), filosofo cristiano. Nel suo Dialogo con Trifone, composto verso il 150, in 39,2 egli scrisse che se Dio ritardava il suo giudizio finale lo faceva sapendo che ogni giorno “alcuni, essendo stati fatti discepoli nel nome del suo Cristo”, abbandonavano la via dell'errore. Queste ultime parole mostrano chiaramente che si trattava di pagani, come nel testo mattaico.
Nella forma genuina, attestata da Eusebio e da Giustino, il testo mattaico offre un buon parallelo con quello di Lc 24:47: “Nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti”. Luca, scrivendo per lettori non ebrei, rimpiazza il verbo “fare discepoli” con il più comune “predicare”.
In ogni caso la formula trinitaria di Mt 28:19, che non è genuina e autenticamente di Yeshùa, non costituisce neppure una prova per la dottrina della trinità, perché dalla formula manipolata non si può dedurre alcuna identificazione di Yeshùa con Dio e neppure che lo spirito santo sia una persona.