MATTEO 9:1-8

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Gianni
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da Gianni »

Ciao, Lucia. Per rispondere alla tua domanda basta esaminare il contesto: è dell’autorità di perdonare i peccati che vi si parla. Come vada intesa tale “autorità” è da capire bene, in senso biblico, perché è unicamente Dio che può perdonare i peccati.
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Gianni
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da Gianni »

Ciao, Lucia. Se leggi in passo di Mt 9:2 in una traduzione che si mantiene sul letterale noterai una cosa “strana” secondo il modo di parlare italiano. TNM, come sappiamo, tende sempre al letterale e traduce così: “Fatti coraggio, figlio; i tuoi peccati ti sono perdonati”. Yeshùa non disse: ‘Ti perdono i tuoi peccati’, ma: “I tuoi peccati ti sono perdonati”.
Per capire la differenza, immagina che qualcuno ti abbia fatto uno sgarbo. Tu gli diresti “ti perdono”; se però gli dici “il tuo sgarbo ti è stato perdonato”, probabilmente la persona ti domanderebbe da chi. Ora non vorrei aver complicato le cose con il mio piccolo esempio. Passo quindi alla spiegazione diretta.
Nota, prima di tutto, che Yeshùa il plurale passivo: “I tuoi peccati ti sono perdonati”.
In Gv 20:23 è lo stesso: “A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”. Sembrerebbe – a prima vista – che qui venga affermato il potere assolutorio conferito alla chiesa. Non si deve però fare l’errore di leggere la Scrittura da un punto di vista postumo, avendo in mente il credo attuale di qualche religione. Il plurale passivo “saranno perdonati” e “saranno ritenuti” è un modo ebraico di riferirsi a Dio senza nominarlo, giacché i giudei cercavano di pronunciare il nome di Dio meno possibile, per il grande rispetto che ne avevano. Si deve leggere quindi con il senso di ‘a chi perdonerete i peccati, Dio li perdonerà; a chi li riterrete, Dio li riterrà’.
Ci sono due forme verbali sostitutive del tetragramma. Nel primo caso, invece di mettere il tetragramma divino, gli evangelisti omettono il soggetto della frase e mettono il verbo al plurale. Questa procedura risulta del tutto sconosciuta a chi non conosce bene la Bibbia. Il motivo è che il verbo al plurale che si trova nei testi originali suona male al nostro orecchio. Nelle traduzioni correnti si preferisce quindi evitarlo, sostituendolo con il passivo impersonale. Qualche esempio chiarirà il punto. In Lc 6:38 Yeshùa dice (stando alla traduzione): “Vi sarà versata in grembo una misura eccellente, pigiata, scossa e traboccante”. Si noti il passivo impersonale: “Vi sarà versata”. In realtà Yeshùa si espresse diversamente. Ecco il testo originale: δώσουσιν (dòsusin), “daranno”. Il Lc 12:20 viene mantenuto il verbo al plurale, perché anche nella traduzione italiana suona bene; Yeshùa dice “Irragionevole, questa notte ti chiederanno la tua anima”. Chi richiede la vita dello stolto è indubbiamente Dio. Yeshùa, secondo l’uso dei giudei, evita la menzione di Dio e usa il verbo al plurale: “Ti chiederanno”.
Il passo di Lc 16:9 appare alquanto oscuro in TNM: “Fatevi degli amici per mezzo delle ricchezze ingiuste, affinché, quando queste verranno meno, essi vi ricevano nelle dimore eterne”. La prima parte è chiara: Yeshùa consiglia di farsi degli amici usando bene il proprio denaro; le “ricchezze ingiuste” non sono altro che i beni accumulati in questo mondo: non sono ingiuste perché ottenute illegalmente, ma solo perché di questo mondo. Il problema è nella traduzione della seconda parte: “Essi vi ricevano nelle dimore eterne”. Così tradotto, “essi” non può che riferirsi agli “amici” precedenti. Ci domandiamo come sia mai possibile che tali persone, diventate amiche grazie alle ricchezze condivise con loro, possano avere la facoltà di accogliere chi ha agito accortamente con loro “nelle dimore eterne”. Può darsi che essi stessi non entrino neppure “nelle dimore eterne”, ma – anche se ci entrassero – che potere avrebbero mai di accogliere lo scaltro che se li è fatti amici? La spiegazione che danno gli editori di TNM appare alquanto contorta: “Dovremmo avere l’obiettivo di usare le ‘ricchezze ingiuste’ per farci amici i Proprietari delle ‘dimore eterne’. Essendo il Creatore, Geova possiede ogni cosa, e il suo Figlio primogenito partecipa a tale proprietà quale Erede di tutte le cose . . . Per diventare loro amici, dobbiamo usare le ricchezze in un modo che abbia la loro approvazione” (La Torre di Guardia del 1° gennaio 1992, 13, § 19). Ma come poteva Yeshùa includersi fra “i Proprietari delle ‘dimore eterne’” se ancora non aveva mostrato la sua fedeltà fino alla morte e ancora non era stato costituito “erede di tutte le cose” (Eb 1:2)? Da buoni studiosi preferiamo sempre riferirci alla Scrittura prima di accampare ipotesi. Il contesto del passo (vv. 1-8) riporta la parabola di Yeshùa su un tale che manipolando la contabilità del suo padrone si fa amici alcuni debitori falsificando i libri contabili così da diminuire l’importo dei loro debiti. Il suo scopo è chiarito: “Quando sarò cacciato dalla gestione, mi ricevano nelle loro case [quelle dei debitori avvantaggiati]” (v. 4). La morale della parabola sta nel finale: “Il suo signore lodò l’economo, benché ingiusto, perché aveva agito con saggezza” (v. 8). Qui non si giustifica affatto il falso in bilancio, ma si pone l’attenzione sull’avvedutezza dell’economo furbacchione. Yeshùa fa questa applicazione della sua stessa parabola: “I figli di questo sistema di cose, nei loro rapporti con quelli della propria generazione, sono più saggi dei figli della luce” (v. 8). “Saggi” non è proprio la parola giusta: Yeshùa parla di φρονιμώτεροι (fronimòteroi), “attenti ai propri interessi”. Comunque, si parla di “rapporti con quelli della propria generazione”. Yeshùa sta parlando di cose quotidiane, della vita di tutti i giorni. Quando nell’applicazione finale della parabola consiglia di ‘farsi degli amici per mezzo delle ricchezze ingiuste’ (v. 9), è semplicemente ovvio che sta suggerendo di intrattenere relazioni buone con il prossimo. Ma Yeshùa va oltre: “Se non vi siete mostrati fedeli riguardo alle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere?” (v. 11). Come dire: se non avete saputo usare bene le ricchezze materiali, chi vi affiderà quelle spirituali che sono quelle vere? Yeshùa allude all’aldilà. “Non potete essere schiavi di Dio e della Ricchezza” (v. 13). Occorre scegliere: o si usano bene le ricchezze materiali, condividendole, oppure si rimane schiavi di esse rinunciando a sottomettersi a Dio. È in questo contesto che Yeshùa dichiara:
ἵνα δέξωνται ὑμᾶς εἰς τὰς αἰωνίους σκηνάς
ìna dècsontai ümàs èis tas aionìus skenàs
affinché accolgano voi in le eterne tende

Siamo qui di fronte proprio ad uno di quei casi in cui per nominare Dio evitando il tetragramma si usa il verbo al plurale senza soggetto. Come abbiamo già osservato, nelle traduzioni italiane ciò si rende con il passivo. Se volessimo renderlo in italiano lasciando intatto il senso, avremmo: “Affinché vi si riceva nelle dimore eterne”.
Un altro modo usato dai giudei per evitare la menzione di Dio è quello che potremmo chiamare il “passivo divino”. Dato il grandissimo rispetto che gli ebrei avevano per Dio, evitavano perfino di nominarlo. Ancora oggi, se capita di leggere la saggistica di ebrei tradotta in italiano, si troverà spesso questa forma: “D-o”. Non osano neppure scrivere “Dio” per intero! Questo si chiana grande rispetto. I giudei del tempo di Yeshùa usavano la parola “Dio”, e Yeshùa stesso la usò, sebbene mai il tetragramma. Ma ogni volta che potevano, evitavano però perfino di dire “Dio”. Le nostre traduzioni delle Scritture Greche di solito conservano il “passivo divino”. Si veda Mt 5:4: “Felici quelli che fanno cordoglio, poiché saranno confortati”. Qui il passivo “saranno consolati” significa “Dio li consolerà”.
Questo tipo di passivo, in sostituzione della menzione di Dio, nei soli quattro vangeli ricorre un centinaio di volte. Il lettore occidentale che ha scarsa o nessuna conoscenza di cultura biblica, non se ne accorge neppure. “Felici i misericordiosi, poiché sarà loro mostrata misericordia” (Mt 5:7): Dio sarà misericordioso con loro. “Col giudizio col quale giudicate, sarete giudicati” (Mt 7:2): Dio vi giudicherà. “Continuate a chiedere, e vi sarà dato” (Mt 7:7): Dio vi darà.
Questo era il normale modo di esprimersi di Yeshùa, che era poi quello di tutti i giudei del suo tempo. Sebbene Yeshùa contestasse diverse tradizioni sbagliate che i giudei avevano, su questo non solo non ebbe da ridire ma lo adottò lui pure.
Si noti Mr 2:5-7: “Quando Gesù vide la loro fede disse al paralitico: ‘Figlio, i tuoi peccati ti sono perdonati’. Ora erano là seduti degli scribi, che ragionavano nei loro cuori: ‘Perché costui parla in questa maniera? Egli bestemmia. Chi può perdonare i peccati se non uno solo, Dio?’”. Qui Yeshùa rende noto al paralitico che Dio lo perdona. Può farlo perché “il Figlio dell’uomo ha autorità di perdonare i peccati sulla terra” (v. 10), ma è sempre Dio che concede il perdono. Yeshùa è così riguardoso che non nomina Dio e usa il solito passivo: “I tuoi peccati ti sono perdonati”. Nella loro reazione gli scribi usano invece la parola “Dio”. Questo contesto illustra bene l’uso attento che si faceva della parola “Dio”. Yeshùa, data la situazione, usa il passivo. Gli scribi, orgogliosi di esaltare Dio, lo menzionano. E stiamo parlando solo della parola “Dio”, non del tetragramma!

Yeshùa non perdona mai direttamente i peccati. È solo Dio che può perdonare i peccati. Possiamo allora dire che Yeshùa si limitava a comunicare il perdono dei peccati da parte di Dio. In ciò agì come il profeta Natan con Davide che aveva peccato. Natan non aveva alcun potere di perdonare i peccati di Davide, così come Yeshùa non ebbe tale potere. Chi perdona è solo Dio. Natan comunicò però tale perdono a Davide: “Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato»”. - 2Sam 12:13.
Diversi studiosi, nel tentativo di affermare la trinità, ritengono che Yeshùa, pur non proclamandosi figlio di Dio, abbia agito come tale. Alcuni affermano anche che Yeshùa non solo si sia arrogato tale autorità, ma si sia equiparato a Dio; lo avrebbe fatto perdonando i peccati. Perdonare i peccati è una prerogativa che solo Dio ha, come del resto osservò uno scriba: “Chi può perdonare i peccati, se non uno solo, cioè Dio?” (Mr 2:7). Va detto però che Yeshùa non perdonò direttamente i peccati, egli disse: “I tuoi peccati ti sono perdonati” (Mr 2:9). Il passivo (“ti sono perdonati”) è una maniera biblica per introdurre Dio senza nominarlo; equivale a: Dio ti perdona i tuoi peccati.
Il punto è importante, per cui va ribadito: È paragonabile all’espressione del profeta Natan che dice a Davide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato” (2Sam 12:13). Come profeta di Dio, Yeshùa ha l’autorità – come l’aveva Natan – di perdonare ossia di comunicare il perdono di Dio dei peccati. Per questo Yeshùa afferma: “Il Figlio dell'uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati” (Mr 2:10). È lo stesso senso che viene dato a Gv 20:23 in cui gli apostoli ricevono il potere di dichiarare perdonati i peccati, non di perdonarli con il proprio potere: “A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”. Si noti poi la differenza tra “i tuoi peccati ti sono perdonati” (passivo) e “àlzati!” (imperativo). – Mt 9:6.
tom anad
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da tom anad »

Gianni
ho letto il tuo articolato intervento e cito solo un passo da te scritto
Perdonare i peccati è una prerogativa che solo Dio ha, come del resto osservò uno scriba: “Chi può perdonare i peccati, se non uno solo, cioè Dio?” (Mr 2:7). Va detto però che Yeshùa non perdonò direttamente i peccati, egli disse: “I tuoi peccati ti sono perdonati” (Mr 2:9). Il passivo (“ti sono perdonati”) è una maniera biblica per introdurre Dio senza nominarlo; equivale a: Dio ti perdona i tuoi peccati.

Ti faccio un piccolo esempio: Le stagioni non sono fatte solo dal freddo a zero gradi e di colpo il caldo a 38 gradi. Cosa voglio dire? Che Dio perdona i peccati ma come? Da quando DIO ha dato ogni potere in cielo e sulla terra al suo unigenito Figlio, è lui che è lo strumento del perdono.
Che voglio dire? che dalla resurrezione di Cristo noi non possiamo presentarci davanti a Dio Padre per chiedere perdono. Non c'è perdono senza spargimento di sangue e quindi se non chiediamo a Cristo per mezzo del suo sangue noi non abbiamo perdono.
Diverso è se noi fossimo giusti davanti a Dio perché il rispetto integrale della Legge è sufficiente ad essere approvati da DIO.
Ma la Bibbia dice che non c'è neppure uno giusto, quindi tutti possiamo ottenere il perdono dei peccati solo per mezzo di Gesù.
Solo quando ogni cosa sarà messa sotto i piedi di Cristo e ci sarà stata la vittoria sulla morte (che avverrà dopo il trono bianco) ogni cosa sarà sottoposta a Dio. Ma fino a quel momento il RE è Cristo e il regno gli appartiene perché Dio glielo ha dato e noi dobbiamo andare a Lui per essere perdonati.

Conclusione: è Dio che perdona, ma, se non chiediamo perdono a Cristo non otteniamo nulla.
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bgaluppi
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da bgaluppi »

Conclusione: è Dio che perdona, ma, se non chiediamo perdono a Cristo non otteniamo nulla.
Dove mai la Scrittura afferma che sia necessario chiedere perdono a Cristo? E Cristo insegna questo?

“Voi dunque pregate così:
"Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal male".” — Mt 6:9-13

Poi aggiunge: “Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.” (vv. 14,15).
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da Liberocredente »

Bgalupi

E per ottenere la remissione del debito,cioè il perdono dei peccati,Dio cosa ha stabilito?
In sostanza per il perdono dei peccati Dio ha stabilito l'agnello immolato e il suo sangue perfetto lava le vesti macchiate dal peccato. È il sangue di Gesu che perdona i peccati del mondo perché Dio cosi ha stabilito da sempre.

Perché poi Dio dovrebbe subordinare il perdono dei peccati non a se stesso ma ad una creatura inferiore a lui?
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da Liberocredente »

Stefano alla sua morte si rivolse a Gesu dicendo Signore non imputare loro questo peccato.
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da Liberocredente »

In poche parole è impossibile ricevere il perdono dei peccati senza Gesu. Perche mai Dio ha questo bisogno imprescindibile di Gesu?

Apocalisse 7,10: la salvezza appartiene a Dio E L'AGNELLO.
Questo è un canto di adorazione unico rivolto a Dio e l'agnello

Salmo 3,8; Salmo 36,39; Salmo 61,8: la salvezza appartiene a Yhwh e la salvezza è in Yhwh

La salvezza quindi non appartiene ad una creatura. La salvezza da cosa se non dai peccati?
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bgaluppi
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da bgaluppi »

C'è un po' di confusione tra peccato e peccato. Mi spiego. Il sacrificio di Yeshùa non rende l'uomo perfetto, immune al peccato, ma libera l'uomo dalla condizione di morte che è conseguenza del peccato del primo uomo. Infatti, se il sacrificio di Yeshùa e la fede ci rendessero immuni dal peccato, non avrebbe senso che Yeshùa insegnasse a pregare Dio per la remissione dei peccati ("rimetti a noi i nostri debiti"). E non avrebbero senso le parole di Paolo in RM 7:20 "Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me." etc.

Fai un'ottima domanda, che richiede analisi biblica approfondita: "Perche mai Dio ha questo bisogno imprescindibile di Gesu?". Però questo tema andrebbe discusso nel 3D sulla salvezza.
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da Liberocredente »

Eppure nel vangelo di Giovanni troviamo questo:

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!


1Giovanni 1:7
Ma se camminiamo nella luce, com'egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.
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Re: MATTEO 9:1-8

Messaggio da bgaluppi »

Il termine "peccato" è hamartìa e significa "mancare il bersaglio", "fallire". Yeshùa dice "chi crede in me ha vita eterna", non "chi crede in me non pecca più". Infatti, il suo sacrificio libera dalla morte, non dai nostri peccati quotidiani. Siamo uomini fallaci e tali restiamo fino alla morte; ma Paolo spiega che attraverso Cristo siamo giustificati, attraverso la grazia; ora, se fossimo perfetti, non avremmo bisogno di essere giustificati. Praticamente, il sacrificio di Cristo annulla la condanna a morte derivante dalla trasgressione adamica.
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