Gv 14: manifestazione del Messia

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bgaluppi
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Gv 14: manifestazione del Messia

Messaggio da bgaluppi »

Questo capitolo del Vangelo di Giovanni è uno dei più belli (e anche più difficili) di tutto lo scritto, perché in esso Yeshùa spiega ai discepoli, in un momento intriso di intimità e tristezza, i segreti del cammino verso il raggiungimento della perfezione divina, che si espleta prima durante la vita umana e poi dopo la morte fisica attraverso l'applicazione dei suoi insegnamenti e la manifestazione della potenza messianica stessa, che agisce negli uomini che vivono sui suoi passi.

I versetti che mi hanno fatto comprendere il senso profondo di questo capitolo sono il 12, il 13 e il 14, da cui vorrei iniziare, sperando di proseguire insieme a voi:

“12 In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch'egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre; 13 e quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14 Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.”

Innanzitutto, occorre notare quella che apparentemente sembrerebbe essere una contraddizione con quanto affermato da Yeshùa altrove nel medesimo Vangelo:

“Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia.” (Gv 15:16)
“In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà” (Gv 16:23)

In questi due versetti, Yeshùa dichiara che la preghiera deve essere rivolta a Dio in suo nome, ma nei vv. 14:13,14, egli dichiara che sarà lui stesso a rispondere alle richieste rivoltegli dai discepoli in suo nome. Il fatto stesso che ci si debba rivolgere a Yeshùa in suo nome è oltremodo illogico, oltreché contraddittorio rispetto a Gv 15:16 e 16:23. Infatti, Paolo può chiedere qualcosa a Pietro nel nome di Marco, non certo nel nome dello stesso Pietro. Occorre dunque capire bene, perché risolvendo questo dilemma, potremo comprendere pienamente il senso di tutto il capitolo 14.

Innanzitutto, credo che possiamo eliminare dalla disamina il v. 14, poiché contiene alcune varianti e addirittura non compare in alcuni manoscritti. Come ho scritto qui:

“La particella pronominale "me" è presente nel P66 o Papiro II Bodmer (II secolo), nel Codice Sinaitico (א del IV secolo), nel Codice Vaticano (B del IV secolo), nella Vulgata latina (IV secolo), nella Pescitta siriaca (V secolo), nella Versione siriaca filosseniana-harclense (VI secolo), nel Codice di Washinghton o di Freer (W del V secolo), nel Codice Sangallensis (Δ del IX secolo), nel Codice Korideth (Θ del IX secolo) ed in alcuni manoscritti minori (28, 33, 700, …); è stata sostituita con τον πατερα (al Padre) in due manoscritti minori (249 e 397); non si trova nel Codice Alessandrino (A del V secolo), nel Codice Beza (D del V secolo), nella Vetus latina (II secolo), nel Codice Cyprius (K del IX secolo), nel Codice Regius (L del VIII secolo), nel Codice Athous Laurae (Ψ del VIII secolo), nel Codice Petropolitanus (П del IX secolo) e nel Textus Receptus (XVI secolo).”

E Gianni ha aggiunto qui:

“I manoscritti P66אBWVgSy(h,p) sono a favore di "mi chiederete", mentre i manoscritti ADIt hanno solamente "chiederete", che suona può logico e non crea incongruenze.
Al di là dei manoscritti, vorrei far notare due altri passi giovannei che mostrano come il "mi" (chiederete) è estraneo al testo genuino:
"Affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia". - Gv 15:16.
"Qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà". - Gv 16:23.
Non è quindi sufficiente ritenere spuria la particella "mi" (me in greco), ma è l’intero versetto che è messo in discussione. Per questa ragione molte versioni antiche omettono l’intero versetto. Non abbiamo quindi alcun motivo di credere che sia Yeshùa ad esaudire le nostre preghiere.”

In effetti, il versetto 13 non riporta la particella με, per cui la richiesta è rivolta a Dio, come confermato dai vv. 15:16 e 16:23. Tuttavia, resta da risolvere il fatto che in questo versetto 14:13 Yeshùa afferma che sarà lui, e non Dio, ad esaudire le richieste: “e quello che chiederete [a Dio] nel mio nome, [io] lo farò”. Subito dopo aggiunge “affinché il Padre sia glorificato nel Figlio”, da cui si comprende che — nonostante sia Yeshùa ad esaudire le richieste — è sempre Dio che opera, ma tramite la potenza del Messia, che è stato investito di tale potenza da Dio (cfr. Mt 28:18).

Tuttavia, esistono ancora dei problemi da risolvere: perché mai dovrebbe essere il Messia ad operare nel discepolo, quando potrebbe essere direttamente Dio a farlo? Oltretutto, l'azione particolare del Messia potrebbe far pensare a due entità separate, Padre e Figlio, come fanno i binitari. Ma questo contraddirebbe quanto è affermato in Gv 15:16 e Gv 16:23, in cui è direttamente Dio ad esaudire le preghiere.

In Gv 11:4, in riferimento alla malattia e alla morte di Lazzaro, Yeshùa afferma che “Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato”. Qui avviene l'esatto contrario rispetto al v. di Gv 14:13: il miracolo è si “per la gloria di Dio”, ma lo scopo ultimo è la glorificazione di Yeshúa in vita, mentre in Gv 14:13 (in cui Yeshúa fa riferimento a dopo la sua morte) è Dio ad essere glorificato attraverso il potere del Messia.

La soluzione di questa apparentemente insignificante differenza è nel contesto del capitolo: Yeshùa, qui, non sta più cercando di mostrare la sua elezione messianica attraverso opere miracolose, come fa nel caso di Lazzaro; e non sta insegnando a pregare. Lui, qui, cerca di alleviare la tristezza dei discepoli, ai quali ha appena annunciato che presto non sarà più con loro e, dove lui andrà, loro non potranno seguirlo. Tuttavia, sarà presente spiritualmente in loro, “tornerà da loro”, e non solo in senso traslato, ma reale, e anche loro diventeranno come lui, in vita e anche dopo. Sembra proprio che Yeshùa stia parlando di come la potenza messianica, dopo la sua morte, si manifesterà e sarà attiva nei discepoli che lo seguono e sarà qualcosa di realmente presente in loro. Ecco perché è necessario pregare e chiedere “in suo nome”, affinché il potere messianico — che è potenza divina — si manifesti nel discepolo. In questo capitolo, Yeshúa sta spiegando in modo specifico chi è lui e cosa è il Messia.

Non dobbiamo fare l'errore di concepire Yeshùa/Messia come un ente fisico legato alla sua forma umana: il Messia è qualcosa di superiore e preesistente, una sorta di energia divina (Gv 1:1). Lui diviene Messia, non nasce tale, cioè assume le caratteristiche divine (spiritualmente parlando) che il Messia rappresenta e dunque lo “incarna” (Gv 1:14), per poi diventare perfettamente Messia — cioè vero e proprio potere divino — dopo la morte (Rm 1:4). Per questo il potere di Dio e del Messia sono praticamente la stessa cosa. Adesso, nel cap. 14, Yeshùa è proiettato al futuro e sta già parlando di ciò che accadrà dopo la sua morte: lui sarà comunque presente, loro non saranno lasciati soli; anzi, la potenza e la gloria di Dio saranno loro rese manifeste attraverso il Messia, ossia Yeshúa resuscitato (e quindi divenuto potenza divina), che opererà nel discepolo aiutandolo a raggiungere quell'unione con Dio che Yeshùa aveva raggiunto in vita e soprattutto dopo, attraverso il suo sacrificio. Il discepolo, attraverso l'insegnamento messianico appreso da Yeshùa in vita e la sua potenza espletata ora spiritualmente ed energeticamente come Messia dopo la morte, potrà anch'egli divenire “uno con Dio”. Ecco perché Yeshùa afferma che “nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6), come dire che nessuno assurge alla perfezione divina senza il Messia: nessun uomo, senza il potere messianico, può evolversi alla forma definitiva, il cosiddetto “Regno di Dio”, né in terra, né in cielo. Sembra, dunque, che il “Messia” non sia un singolo uomo prescelto come tale, o un'era o un re, ma piuttosto una “condizione divina”, che l'uomo può raggiungere attraverso l'amore incondizionato. Lui ha raggiunto per primo questa condizione; altri potranno fare altrettanto, e faranno meglio (v. 12) perché lui “è andato al Padre” e quindi è come se la sua volontà, che permane “nel Padre”, dirigesse la potenza messianica e divina su chi opera “in suo nome”.

Per questo, credo che possiamo tranquillamente affermare che il Messia “è Dio”, ossia “energia divina” (Gv 1:1 ss.), e che Yeshùa, adesso, è “in Dio” e, come lui, lo saranno tutti quelli che seguono le sue orme:

“Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via” — Gv 14:2-4

Capitolo difficilissimo. #:-S
Matteo
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Re: Gv 14: manifestazione del Messia

Messaggio da Matteo »

Spettacolare spiegazione, d’altronde!
Letta tutta d’un fiato :-)
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bgaluppi
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Re: Gv 14: manifestazione del Messia

Messaggio da bgaluppi »

Matteo, mi fa piacere che tu ti ci ritrovi. Anche io l'ho scritta tutta d'un fiato, per cui forse c'è bisogno di verificare questa mia ipotesi applicandola ai passi della Scrittura in cui si parla del Messia e del Regno di Dio e vedere se regge.
Janira
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Re: Gv 14: manifestazione del Messia

Messaggio da Janira »

Straordinaria spiegazione, grazie Antonio! Mi sono emozionata durante la lettura, come se fossi stata lì anche io
:YMAPPLAUSE:
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bgaluppi
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Re: Gv 14: manifestazione del Messia

Messaggio da bgaluppi »

Grazie Janira, in effetti è un momento emozionante del Vangelo, colmo di tristezza ma allo stesso tempo di grande energia. Per questo, dopo avervi chiarito la mia idea interpretativa, voglio analizzarlo un passo alla volta, per sviscerare ogni significato.

La scena, in realtà, ha inizio al v 13:31, in cui Yeshúa annuncia l'avvenuta glorificazione terrena (Dio glorificato in Yeshúa) e l'imminente glorificazione celeste (Yeshúa glorificato in Dio). Il testo va compreso: la glorificazione terrena (v. 31) riguarda il completamento della sua missione, per cui è stato scelto da Dio nel momento del battesimo: la costituzione della ecclesía dei discepoli e il sacrificio; la glorificazione celeste (v. 32) riguarda l'intronizzazione, ossia il passaggio alla condizione superiore e definitiva “in Dio”, che sarà confermata e compresa pienamente con la risurrezione.

Successivamente, Yeshúa annuncia la sua dipartita (v. 33), ad un luogo in cui i discepoli non potranno seguirlo, e lascia loro l'insegnamento fondamentale: “Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri” (v. 34). Dopodiché, annuncia a Pietro il suo tradimento. Inutile dire come tutto ciò crei nei discepoli, che ancora non comprendono di cosa Yeshúa stia parlando, uno stato di forte angoscia. E qui, passiamo al cap. 14.
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