Manomissioni nelle Scritture Greche e loro motivazioni

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Gianni
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da Gianni »

Caro Antonio, sono lieto che tu abbia accolto la mia spiegazione. Aggiungo quindi un altro dato possibile: nel rafforzare la citazione biblica con il richiamo alle parole di Yeshùa, forse Paolo intendeva dare una duplice prova della sua asserzione, nello stile biblico; infatti, ripetere una cosa due volte dimostra nella Scrittura la verità di quella cosa. – Cfr. Gn 41:32.

Tu dici che il compito degli studiosi è oggi quello di individuare le manipolazioni e ricostruire il messaggio biblico originale. Ti faccio presente, tuttavia, che un attento esame del testo biblico può rivelare che non c’è alcuna manipolazione. Ne è un esempio la questione di 1Tm 5:18 che abbiamo trattato. Anzi, tale questione risolta indica un dato importante: la non affidabilità delle traduzioni. A volte le non buone traduzioni ci fanno apparire delle incongruenze che nel testo biblico non ci sono.
Tu stesso, del resto, dici che è necessario dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il testo delle Scritture Greche che oggi possediamo è infallibile in ogni minimo punto. Si può fare. Ti segnalo che il biblista Claudio Ernesto Gherardi, che si è formato alla Facoltà Biblica e sta facendo il Dottorato, sta scrivendo una serie di studi in cui controbatte alle accuse che nei testi biblici che trattano gli stessi argomenti possono verificarsi dei disaccordi dovuti a rielaborazioni/interpretazioni degli scrittori più tardivi rispetto ai testi ispirati loro anteriori. Un suo primo studio è già apparso nel N. 40 - 1° trimestre 2020 – di Ricerche Bibliche. E ne seguiranno diversi altri.

Va comunque accettato il fatto che alcune manipolazioni ci sono. Ma queste sono ben individuabili tramite uno studio scrupoloso. È il caso di 1Tm 2:11-15. Ne ho scritto qui:
http://www.biblistica.it/wordpress/wp-c ... aolino.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Non vedo l'ora di leggere gli studi di Gherardi, sono sempre precisi e molto esaurienti.
Ti faccio presente, tuttavia, che un attento esame del testo biblico può rivelare che non c’è alcuna manipolazione
In molti casi è proprio così, Gianni. Se da un lato esistono studiosi che propongono interpretazioni con lo scopo di difendere un princìpio di fede religiosa, dall'altro ci sono quelli che cercano di smontare a tutti i costi il testo biblico, per motivi personali che sono spesso da ricercare nella perdita della fede o magari in un modello educativo genitoriale troppo rigido. Non è facile essere totalmente obbiettivi, forse è impossibile. Io dico che non dovremmo mai credere o accettare una cosa come vera se non si ha la certezza che lo sia, o perché qualcuno afferma che lo sia, o perché "si è sempre creduto così"; allo stesso tempo, credo che dovremmo sempre essere pronti a mettere in dubbio qualcosa che abbiamo creduto tutta la vita essere vera nel momento in cui si acquisisce la certezza che sia falsa. Tante volte mi sono chiesto: che cosa accadrebbe se improvvisamente venisse alla luce un manoscritto in aramaico di un Vangelo risalente al I secolo che racconta qualcosa di molto diverso rispetto alle versioni attuali? Che magari descrive un Yeshùa diverso al punto da mettere in dubbio lo Yeshùa dei Vangeli attuali? Lo accetteremmo oppure lo distruggeremmo? Io penso che molti preferirebbero distruggerlo.
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Gianni
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da Gianni »

Concordo, Antonio.
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matteo97
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da matteo97 »

Gianni, non necessariamente le parole di Paolo in 1Tm 2:11-15 risultano fuori posto se correttamente interpretate e contestualizzate. Paolo aveva retaggio farisaico per cui l'imposizione del silenzio alla donna che decontestualizzato potrebbe far pensare ad un atteggiamento misogeno, in realtà è parte della distinzione dei ruoli nella società patriarcale del mondo antico (peraltro perdurata sino agli anni '60 del '900 prima della "rivoluzione"-involuzione sessantottina). Misoginia è attribuire caratteristiche negative al genere femminile in quanto tale e ritenere questo inferiore a quello maschile, voler la distinzione dei ruoli non è maschilismo (anche se è ciò che ci viene instillato dai media).
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Matteo, il problema non è tanto l'atteggiamento misogino o maschilista, ma piuttosto sono le parole seguenti:

“Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell'amore e nella santificazione con modestia”

Chi ha scritto questo probabilmente non era ebreo e non conosceva bene la Scrittura Ebraica. Infatti Adamo non fu formato per primo, perché l'adàm non è l'ish (uomo maschio), ma l'essere umano che include entrambe le parti maschile e femminile, che poi viene simbolicamente diviso in uomo e donna. Quindi nel testo biblico i due sessi nascono insieme nel momento in cui vengono separati. Le parole seguenti, poi, non hanno alcun senso da un punto di vista scritturale e logico. Infatti non si capisce neppure cosa si intenda con “[la donna] sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell'amore e nella santificazione con modestia”. Nel messaggio evangelico, la donna è salvata dal sacrificio salvifico, come ogni uomo, i figli e la modestia non c'entrano assolutamente nulla (ed è ovvio che la donna necessiti della fede, come ogni altro essere umano). Se il parto dei figli fosse necessario al fine della salvezza della donna, l'efficacia universale del sacrificio salvifico sarebbe negata.

Ora la questione è: se queste parole non sono riconducibili a Paolo, ma sono presenti nei manoscritti dei testi canonici e nelle edizioni critiche (e lo sono), la Scrittura potrebbe contenere anche altri versetti corrotti, e dunque non è tecnicamente infallibile. Se lo fosse, non potrebbe contenere questi (e altri) versetti.
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matteo97
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da matteo97 »

Precisamente chi avrebbe avuto diretto accesso ai manoscritti per modificare parti a proprio piacimento? I copisti ma quali (la prima Bibbia stampata è quella di Gutenberg della metà del '400)? E possibile che nessuno si ponesse il problema di contraffazioni? Ebraicisti in passato ce ne sono stati e non mi pare abbiano portato testimonianza di distorsioni e manipolazioni. Tra l'altro l'opinione dei padri della Chiesa nemmeno è affidabile per tutto il comparto dottrinario da essi elaborato. Si aprono tutta una serie di casi che andrebbero analizzati storiograficamente, altrimenti rimangono mere speculazioni.
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Matteo, basta leggere gli studi di eminenti storici e critici, o ancor meglio le testimonianze degli stessi Padri della Chiesa. In questo caso le loro testimonianze sono più che affidabili, perché non riguardano la dottrina, ma denunciano fatti che avvenivano. Niente speculazione, dunque, ma documenti storici che testimoniano ciò che avveniva. Negare la storia non va mai bene, bisogna semplicemente accettarla. Te ne riporto alcune sotto.

I copisti nei primi secoli non erano professionisti (cioè preparati e retribuiti per il loro lavoro, e soprattutto super partes) come accadeva di solito nel mondo greco-romano, ma membri delle congregazioni più o meno istruiti che si prendevano l'onere di questo lavoro. Siccome la quasi totalità delle persone comuni nel mondo antico era analfabeta o comunque non in grado di scrivere (le lettere venivano lette pubblicamente ai credenti da chi sapeva leggere), tranne i benestanti che potevano permettersi un'istruzione o gli schiavi che potevano essere istruiti un minimo per svolgere compiti amministrativi, è probabile che i primi copisti siano stati in certi casi gli stessi capi delle comunità, quelli che avevano bisogno dei testi per uso personale o comunitario, o persone che copiavano per altri correligionari (cfr. Kim Haines-Eitzen, Guardians of Letters: Literacy, Power, and the Transmitters of Early Christian Literature, NY, Oxford University Press, 2000).

Viste le aspre diatribe dottrinali all'interno delle comunità, esistenti sin dal tempo di Paolo, chi copiava i testi poteva benissimo cambiare delle parole, cancellare o aggiungere intere frasi, in buona fede o allo scopo di dimostrare che gli scritti confermavano la loro dottrina a discapito di un'altra. Questo accadeva soprattutto in seguito alla morte degli apostoli, nel momento in cui non esistevano più controllori garanti della veridicità del messaggio trasmesso; i falsi che circolavano nel mondo antico erano molti, alcuni dei quali sono giunti fino a noi (Paolo denuncia i falsi scritti già al suo tempo). Perché scrivere dei falsi, ossia scritti attribuiti ad altri? Perché se a scrivere era Paolo, o Pietro, o Timoteo, i loro scritti avevano autorità e venivano presi in considerazione; dunque bastava scrivere una lettera a nome di Paolo in cui dice questo e quello e dà istruzioni alla comunità o a un terzo e metterla in circolazione. In alcuni casi la frode poteva essere smascherata, ma non necessariamente, per quanto ne sappiamo. In effetti i falsi a nome di apostoli sono numerosi e potrei citarti diversi esempi storici di falsi smascherati. Senza Paolo in giro a leggere questi scritti, chi poteva garantirne l'autenticità o meno, soprattutto se erano fatti a regola d'arte? Le tecniche per far passare uno scritto pseudoepigrafico come vero erano molte, e si ritrovano utilizzate in molti testi.

Origene, Commentario a Matteo:
“Le differenze tra i manoscritti sono diventate grandi, per la negligenza di alcuni copisti o per la perversa audacia di altri; dimenticano di controllare ciò che hanno trascritto, oppure, mentre lo controllano, effettuano aggiunte o cancellazioni a loro piacimento.”

Circa settanta anni prima, Celso – avversario di Origene – scriveva accusando i copisti cristiani:
“Alcuni fedeli, come gente che ha bevuto troppo, giungono ad altercare fra loro, e alterare il testo originario del vangelo, tre o quattro volte o più ancora, e cambiar la sua natura per avere la possibilità di difendersi dalle accuse” (Contro Celso).

Il vescovo ortodosso di Corinto, Dionigi, lamentava che falsi credenti avessero modificato i suoi scritti, come anche i testi sacri:
“Quando i miei fratelli cristiani mi hanno invitato a scrivere loro delle lettere, così ho fatto. Questi apostoli del diavolo le hanno riempite di zizzania, togliendo alcune cose e aggiungendone altre. Guai a loro. Non sorprende dunque che alcuni abbiano osato corrompere perfino la parola del Signore, quando hanno cospirato per mutilare i miei umili sforzi.”

Un'informazione interessante. Nell'antichità, non esistendo presse da stampa né case editrici che garantivano il lavoro degli scrittori, non era possibile avere la certezza che i propri testi non venissero modificati. In effetti, questo era proprio quello che accadeva. Ecco perché in molti casi troviamo la maledizione di Dio invocata su chi modificasse il testo; è il caso di Ap 22:18-19: “Dichiaro a chi ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà...”. Non è un monito al lettore affinché creda per forza a tutto quello che è scritto, ma piuttosto una tipica minaccia rivolta proprio ai copisti, che potevano aggiungere e togliere ed evidentemente lo facevano, in certi casi.

Insomma, se gli apostoli furono ispirati, di certo non lo erano i copisti e chi li ingaggiava. Nei primi secoli, non ci si faceva tanti scrupoli a modificare un testo, se questo poteva servire a confutare la dottrina di un avversario religioso. In ogni caso, i manoscritti più antichi in nostro possesso sono del IV secolo e sono copie di copie di copie di copie etc. Come facciamo a dimostrare che chi li ricopiò numerose volte nei due secoli precedenti, alla luce di ciò che accadeva, non abbia inserito o cancellato delle parti, o semplicemente corretto parole anche in buona fede? In realtà, le testimonianze storiche sopra citate dimostrano esattamente il contrario. Per confutarle, bisogna dimostrare storicamente che ciò che dicono non è vero, e che nessun cristiano aveva interesse a modificare la parola di Dio, che veniva ricopiata in modo perfetto senza aggiungere o togliere, come facevano i masoreti (ma prima dei masoreti cosa accadeva?). Siamo in grado?

A volte basta cambiare una singola parola per modificare il senso di tutto il discorso (domani ti riporterò qualche esempio di piccole modifiche che hanno contribuito a far passare un'immagine di Yeshùa che potrebbe essere diversa da quella vera, o che hanno dato àdito a dottrine apostate). La formula trinitaria di Mt 28:19 compare sui migliori manoscritti, ma Origène ed Eusebio non la conoscevano; ciò significa che qualcuno l'ha inserita dopo di loro. In periodo di piena apostasia, per usare Paolo, possiamo fidarci ciecamente dei religiosi litigiosi che copiavano i testi? Possiamo mettere la mano sul fuoco che abbiano preservato al meglio gli antichi originali? Possiamo essere assutamente sicuri che i codici del IV-V secolo (Sinaiticus, Vaticanus, Alexandrinus) non abbiano assorbito modifiche apportate durante le infinite ricopiature nei secoli precedenti? La storia suggerisce di no, credo.
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matteo97
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da matteo97 »

Perchè se adesso, a posteri, abbiamo la certezza che alcuni passi delle Scritture canoniche sono stati contraffatti ed hanno perso la loro genuinità non sono stati rimossi dal canone ed etichettati come apocrifi? Sono d'accordo che nel I-II secolo circolassero scritture che seppur nominalmente si richiamassero all'Evangelo e al Tanakh, in realtà contenevano dottrine neoplatoniche e gnostiche per esempio il Vangelo di Giuda. Probabilmente Paolo (ipotizzo) temeva una possible infiltrazione del pensiero gnostico, elaborato nell'ambiente culturale alessandrino, nelle Scritture e per precauzione scrisse quell'ammonimento ma il fatto che c'è scritto non deve indurci a pensare che le Scritture siano state per forza manipolate.
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

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Mauri Pesce nel suo "le parole dimenticate di Gesù" affronta uesto argomento.
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Matteo, lo sono state necessariamente, perché sono le molte testimonianze storiche a dirlo e perché ciò risulta evidente dal testo e dai manoscritti. Ti faccio alcuni esempi, iniziando da Mt 28:19 che è davvero eclatante perché serve a giustificare la pratica del battesimo trinitario che non fu mai utilizzata in epoca apostolica, perché Yeshùa non la comandò e perché non era affatto considerato Dio nella prima chiesa (quindi, chi inserì la formula trinitaria, aveva bisogno che il vangelo corroborasse tutte queste cose). Siccome ciò avvenne dopo Eusebio, che conosceva la formula en to onòmati mu (nel mio nome), e siccome Eusebio muore nei primi decenni del IV secolo, significa che sono bastate poche ricopiature perché la formula trinitaria fosse assorbita dai codici Sinaitico, Vaticano e Alessandrino su cui compare, e la formula originale fosse dimenticata. E ciò avvenne in un periodo di maggiore controllo, in cui gli scribi iniziavano ad essere più preparati e più attenti. Non solo, ma le parole precedenti “fate miei discepoli tutti i gentili", che sembrano aver dimenticato completamente le pecore perdute della casa di Israele, sono anche probabilmente contraffatte, perché contraddicono Mt 10:5 in cui Yeshùa ordina espressamente ai discepoli di non andare dai gentili, ed inserite per corroborare la predicazione ai gentili e l'esclusione di Israele dal popolo di Dio, tema caro ai cristiani dei secoli successivi a Yeshùa. È rilevante notare come queste parole non compaiano sulle fonti di Matteo, che sono Marco e Q, che presentano Yeshùa come quello che doveva essere, un maestro di Israele per Israele.

Altro ritocco interessante per capire come una sola parola possa servire a stravolgere l'immagine del giudeo Yeshùa è quello che troviamo in Mr 1:41, in cui abbiamo una variante. Le migliori edizioni critiche hanno la lezione σπλαγχνισθεὶς (splagnisthèis), basandosi sui mss più antichi e autorevoli che la contengono; altri mss più tardi hanno ὀργισθεὶς (orghisthèis), che tuttavia compare sul Diatesseron ed era quindi conosciuta da Taziano il Siro intorno al 170, e quindi ben più antica di quella dei codici sopracitati. La prima variante significa “mosso a compassione”, la seconda “adirandosi”, ed è molto probabilmente quella originale perché ha senso nel contesto in cui Yeshùa appare infastidito dal lebbroso e lo ammonisce severamente (v.43); che Yeshùa fosse contrariato e non mosso a compassione è più plausibile da un punto di vista storico-culturale, perché il lebbroso stava violando un comandamento della Torah e non avrebbe dovuto andarsene in giro in mezzo alla gente (Lv 13-14); a conferma di ciò, Yeshùa subito dopo gli ordina di non dire niente a nessuno (perché Yeshùa non avrebbe dovuto toccarlo!) e di presentarsi al sacerdote per la purificazione secondo la legge di Mosè. Ma quello iniziò a dirlo a tutti e Yeshùa fu bandito dall'entrare nelle città. Lo Yeshùa impietosito, dunque, non è conforme al maestro giudeo che era, ma al messia dei cristiani, mentre quello contrariato risponde perfettamente alla figura storica. Il problema è che la lezione probabilmente contraffatta è stata assorbita dai mss più antichi e autorevoli e dunque si trova sulle edizioni critiche; una semplice parolina al posto di un'altra serviva a eliminare Yeshùa dal suo contesto prettamente ebraico e trasformarlo da un giudeo osservante in un messia che era superiore alla legge di Mosè.

Questo per farti un esempio del lavoro che sarebbe necessario fare per ricostruire ciò che è probabilmente originale da testi che sono stati molto probabilmente aggiustati per soddisfare i bisogni teologici di una litigiosa religione nascente.
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