Manomissioni nelle Scritture Greche e loro motivazioni

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Gianni
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da Gianni »

In 1Tm 5:17 l’“onore” non c’entra nulla. La parola greca usata (τιμή, timè), numero Strong 5092, non indica solo “onore” o “deferenza”, ma – come primo significato - “un valutare con cui il prezzo è fissato”, “prezzo pagato per una persona”. Che questo sia il significato da applicare è evidente dal contesto, dato che Paolo richiama due brani biblici relativi alla ricompensa per il lavoro: “Non devi mettere la museruola al toro mentre trebbia” (Dt 25:4) e: “L’operaio è degno del suo salario” (Lc 10:7). Il passo va quindi tradotto: “Gli anziani che presiedono in modo eccellente siano ritenuti degni di doppio onorario”.
Circa venti anni prima Paolo citava tale detto solo in modo allusivo: “Non abbiamo forse il diritto di mangiare e di bere?” (1Cor 9:4). Ma ora, verso il 64 E. V., esistendo già il Vangelo scritto di Luca o almeno una sua fonte, lo cita unitamente al brano tratto dalle Scritture Ebraiche.
Venne accolto dalla chiesa o congregazione come ispirato ogni scritto composto da un apostolo. Paolo, ad esempio, cita sotto il nome di Scritture tanto un passo del Deuteronomio quanto un brano del vangelo di Luca. Si noti qui come Paolo citi – alla pari – due brani biblici: Dt e Lc.
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Gianni, interessante il discorso che fai su τιμή, certamente il contesto ne specifica il senso. Trattandosi di due citazioni relative al lavoro, il significato è relativo al prezzo pagato, dunque l'onorario.

Quello su cui mi trovo in disaccordo con te è il fatto che Paolo citi, all'interno delle Scritture, un versetto dal Vangelo di Luca. Non mi avrebbe affatto stupito se avesse citato invece lo stesso versetto ma in modalità orale, o come insegnamento del Signore, come fa in molte occasioni. Gli insegnamenti di Yeshùa erano certamente diffusi e ritenuti sacri, in quanto provenienti dal Messia, ma cosa diversa è l'opinione di Paolo su cosa sia "la Scrittura" e "il Vangelo".

Ritengo che esistano molti motivi, sia storici che logici che scritturali, per cui non è possibile che intorno al 60 esistesse un Vangelo di Luca scritto e già accettato dal giudeo Paolo come "Scrittura" al pari del Tanach o una sua fonte, che in ogni caso – orale o scritta (Q) – non era ancora certamente considerata ed accettata come “Scrittura”. Autorevole ed ispirata si, ma non "Scrittura". Effettivamente già al tempo di Paolo circolavano molti vangeli, come pure Paolo denunzia e lo stesso Luca testimonia in 1:1 e come si ricava dalle fonti extrabibliche, e altri scritti attribuiti agli apostoli, veri o fasulli (molti andati perduti o distrutti); ma il periodo paolino è ancora antecedente al momento in cui certi scritti piuttosto che altri iniziarono ad essere considerati alla stregua di Scrittura sacra.

Provo a presentare qualche dimostrazione a sostegno della mia tesi. Questo è un tema che mi stimola molto e che desidero approfondire.
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Gianni
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da Gianni »

Ben venga l'approfonfimento, Antonio. :-) (Stasera suoni a Torino? Mi pare lo trasmettano alla radio ...).
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Purtroppo non suonerò, sono in congedo parentale :-) .
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Gianni
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da Gianni »

:-)
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Vorrei affrontare il discorso partendo un po' a monte. Immediatamente dopo la morte di Yeshùa, ma forse anche prima, i discepoli si trovarono ad affrontare delle controversie con i loro fratelli giudei. Se da un lato i discepoli avevano accettato Yeshùa come il messia, dall'altro il resto dei giudei lo aveva rifiutato perché colui che attendevano doveva essere un uomo potente e forte che avrebbe liberato Israele e non avrebbe certo potuto essere quel "malfattore" morto su un palo. Anche se le idee messianiche tra i giudei erano certamente varie e diverse a quel tempo, il fattore comune era che il messia doveva essere un uomo forte, un liberatore di Israele. Yeshùa non realizzò le aspettative messianiche dei giudei. Ma per i giudei che lo seguirono, lui doveva per forza essere il messia.

I discepoli si trovarono quindi in una situazione difficile, che li rendeva, agli occhi dei giudei, seguaci di un falso messia, ma d'altro canto loro avevano trovato una tomba vuota e testimoniarono di averlo visto risorto, cosa che determinava con divina certezza la sua messianicità. Anche se la prima comunità – quella di Gerusalemme – continuava a vivere nella Città Santa ed era composta da giudei che continuarono ad essere tali, non venendo meno all'obbedienza alla legge di Mosè, di fatto si trovavano in una situazione difficile; Giacomo, il capo della comunità, fu messo a morte senza troppi problemi per volontà del sommo sacerdote Anania appena eletto (Flavio dixit), evidentemente per motivazioni religiose legate a Yeshùa; cosa che provocò indignazione tra le altre autorità e tra la gente che reputava il fratello di Yeshùa uno tzadiq (era chiamato "il Giusto"). I discepoli di Yeshùa erano sempre fratelli ebrei, ma suscitavano certamente problemi a molti, soprattutto alle autorità giudaiche, in virtù della loro scelta non condivisa anzi osteggiata e ritenuta una menzogna. Yeshùa ebbe il coraggio di sfidare la classe sacerdotale, si scagliò contro le guide religiose che reputava "cieche", in stile profetico; è naturale che quella stessa classe sacerdotale non vedesse di buon occhio il gruppo di discepoli di quel personaggio, ritenuto da alcuni un grande maestro, da altri un apostata.

In seguito alla predicazione apostolica fuori dai confini della terra di Israele, vennero a sorgere delle comunità che inizialmente erano certamente composte da soli giudei (Yeshùa ordinò agli apostoli di andare a predicare solo alle pecore perdute della casa di Israele) e in seguito – soprattutto grazie a Paolo – si allargarono anche a stranieri convertiti. È in questo periodo, circa dieci anni dopo la morte di Yeshùa probabilmente, che i veri problemi iniziarono. Come si evince dalle fonti bibliche ed extra-bibliche, i discepoli si trovarono in contrasto sia con i giudei che non ritenevano che i credenti stranieri dovessero essere esentati dal "giogo della Torah", sia con gli stranieri pagani che non ritenevano avessero bisogno di quella nuova fede che comportava uno stile di vita molto diverso.

Da molte lettere di Paolo si evince quanto reali fossero i dissidi dottrinali nelle comunità; in molte di esse, se non nella totalità di esse, sono evidenti aspri contrasti, provocati da quelli che secondo Paolo erano "falsi maestri", "falsi dottori" che diffondevano dottrine diverse dalle sue. Anche le lettere di Giuda, Pietro, Giacomo e Giovanni denunciano falsi maestri e dottrine apostate all'interno della comunità. Questo dimostra come non tutti, all'interno delle comunità, fossero d'amore e d'accordo sulla giusta dottrina apostolica, e quindi Paolo e altri erano costretti a scrivere lettere (molte sono andate perdute) – e altrettante ne ricevevano – per denunciare queste dottrine e dare giuste istruzioni.

Oggi verrebbe da chiedersi: ma se esistevano tutte queste controversie, perché non affidarsi semplicemente ai Vangeli o agli scritti che erano ritenuti sicura testimonianza di vera dottrina, come faremmo oggi, e verificare quale fosse la giusta via da seguire? La risposta sembra ovvia: perché i Vangeli attuali non esistevano ancora (altrimenti Paolo li avrebbe citati in ogni sua lettera) e perché in realtà di Vangeli e scritti apostolici di ogni tipo ne circolavano molti (Paolo stesso li denuncia). Se pur fossero esistite delle "bozze", o delle raccolte di discorsi o testi in aramaico poi tradotti in greco (come Papia testimonia circa 60/70 anni dopo Paolo), questi scritti non erano che alcuni tra i molti che già circolavano al tempo di Paolo e soprattutto dopo il 70 e non erano ancora stati differenziati dai falsi al punto da essere precanonizzati come "Scrittura" in tutte le comunità. Ireneo, infatti, nel suo "Contro le eresie" (180-185), è il primo a parlare di quattro vangeli "veri" – quelli che conosciamo – contro i molti falsi, e dice praticamente che gli "eretici" (i falsi maestri) fraintendono il messaggio cristiano o perché usano dei Vangeli che non sono veri Vangeli o perché usano uno solo dei quattro che sono autentici. Alcuni gruppi usavano solo Matteo, altri solo Marco e così via (e questo decenni dopo Paolo). Per Ireneo, proprio come il Vangelo di Cristo è stato diffuso dai quattro venti del cielo sui quattro angoli della terra, così devono esserci quattro e solo quattro Vangeli, che sono Matteo, Marco, Luca e Giovanni (una motivazione non proprio stringente).

Al tempo di Ireneo, quindi, non era ancora stabilito in modo definitivo e condiviso quali fossero i vangeli autentici; lo stesso Giustino – attorno al 150-160 – cita alcuni versetti dei Vangeli, ma senza indicarne la paternità, seppur il canone Muratoriano nello stesso periodo circa testimonia una visione diversa (a conferma della diversità di opinioni e tradizioni). Per Giustino, questi libri sono semplicemente noti, collettivamente, come le “Memorie degli Apostoli”. Ci volle quasi un secolo prima che fossero definitivamente ascritti a Matteo, Marco, Luca e Giovanni in modo condiviso.

In questa situazione, è logico che non fosse possibile che il Vangelo di Luca venisse citato da Paolo già nel 63/64 alla stregua di "Scrittura", se neppure Papia, Giustino e Ireneo parlano ancora dei Vangeli come "Scrittura". Lo stesso canone Muratoriano nel 170 non considera gli scritti come facenti parte della Scrittura, ma dice semplicemente che quelli erano i testi, ispirati e non, che venivano letti nella comunità (anche "il Pastore di Erma" veniva letto).

L'uso del termine grafè, nelle lettere paoline e negli stessi Vangeli (che non furono scritti con lo scopo di essere inclusi nella Bibbia), fa sempre riferimento alla Scrittura Ebraica e presuppone quindi il riconoscimento di una raccolta ben definita ed accettata; il fatto che ancora all'inizio del II secolo i Vangeli in circolazione nella comunità fossero molti, e che nelle comunità esistessero profondi dissensi, dimostra che non esisteva ancora una raccolta "ufficiale" che potesse essere citata come "Scrittura". Certamente i discorsi di Yeshùa circolavano, erano conosciuti e imparati a memoria dai discepoli, anche perché la stragrande maggioranza di loro era certamente analfabeta, ma non esistevano ancora veri e propri testi riconosciuti come sacri e quindi inseribili in un contesto scritturale assieme al Tanach.

Per questi (ed altri) motivi ritengo che sia improbabile che Paolo, nel 63/64, citasse Luca chiamandolo Scrittura. Avrebbe potuto citare un insegnamento o un discorso di Yeshùa, dicendo "il Signore dice" o "il Signore comanda", come fa ad esempio nella 1Cor. Si potrebbe obbiettare che Paolo scriveva a Timoteo (non alla comunità) e che loro due lo sapevano bene quali scritti fossero da ritenersi "Scrittura" in virtù della paternità o origine apostolica; ma se lo sapevano, avrebbero dovuto saperlo anche le varie comunità (o dovremmo pensare che Paolo e Timoteo se lo tenessero per sé?). E se fosse stato chiaro ed accettato che certi scritti o bozze di scritti fossero da considerarsi sacri al pari del Tanach, non ci sarebbe stato motivo dell'esistenza di tante controversie. In ogni caso, il termine "Scrittura" deve riferirsi necessariamente ad un testo o una raccolta di testi indubitabili e universalmente riconosciuti ed accettati, soprattutto se citati accanto alla Torah o al Tanach.

In ultima istanza c'è anche da chiedersi come mai – pur essendo Pietro Giovanni e Giacomo ancora in vita e forse altri dei Dodici – al tempo di Paolo esistessero tanti dissidi dottrinali e circolassero tanti scritti che finivano per influenzare le varie comunità. Se gli apostoli facevano da garanti ed erano d'accordo con Paolo, come potevano i falsi maestri influenzare così tanto i fedeli?
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Gianni
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da Gianni »

Caro Antonio, tu affronti la questione di 1Tm 5:18 partendo un po' a monte. Io faccio l’opposto: parto dalla fine, anzi da dopo la fine, ovvero dal trarre le conclusioni della tua argomentazione. Queste, dette in poche parole, sono: Paolo sbaglia a citare Luca come Scrittura.

Siccome oggi accogliamo sia la 1Tm che Lc come Scrittura, saremmo di fronte all’erranza della Scrittura. E, a sua volta, se la Scrittura sbaglia lì, dove altro potrebbe sbagliare? Diventa inaffidabile.

La tua conclusione andrebbe rivista. Oggi, di fatto, Lc fa parte della Scrittura, per cui potresti al massimo parlare di anacronismo, ma non di errore. A sua volta, il presunto anacronismo dovrebbe essere indagato storicamente, ossia accertandoci dell’esatta datazione sia della 1Tm che di Lc.

Forse la questione può essere risolta diversamente. Il testo paolino recita:
λέγει γὰρ ἡ γραφή, Βοῦν ἀλοῶντα οὐ φιμώσεις, καί Ἄξιος ὁ ἐργάτης τοῦ μισθοῦ αὐτοῦ (1Tm 5:18)
dice infatti la Scrittura: [al] bue trebbiante non mettere la museruola, e degno [è] l’operario del salario di lui
(Il dativo “[al] bue” è richiesto dall’italiano; in greco il verbo è transitivo, come – mi si passi il termine, solo per capirci - se fosse: “non ammuseruolare [il] bue trebbiante”).
Questo è il testo di Nestle-Aland. Si tenga però presente che punteggiatura e maiuscole sono aggiunte dai critici testuali.

La citazione è indubbiamente tratta da Dt 25:4: Οὐ φιμώσεις βοῦν ἀλοῶντα.
Ma siamo così certi che l’altra frase – riscontrabile in Lc 10:7 (ἐργάτης τοῦ μισθοῦ αὐτοῦ) - sia una citazione? Non potrebbe essere un commento? In tal caso, tradurremmo:
“Dice infatti la Scrittura: «Non mettere la museruola al bue che trebbia», e l'operaio è degno del suo salario”.
Potremmo benissimo vedervi un rafforzativo: dopo aver detto che egli anziani che presiedono bene le comunità devono essere ritenuti degni di doppio onorario, con il sostegno della Scrittura Paolo ribadisce che l'operaio è degno del suo salario.

Che le sue parole siano identiche a quelle lucane non pone problemi, infatti sono parole autentiche di Yeshùa. Più che citare Luca, Paolo cita Yeshùa che, come noto, non ha mai scritto alculchè.

C’è dell’altro: in Gal 4:30 vediamo che Paolo cita Gn 21:10 adattandolo al contesto del suo ragionamento. Nel passo genesiaco Sara dice ad Abraamo: “Caccia via questa serva e suo figlio; perché il figlio di questa serva non dev'essere erede con mio figlio, con Isacco” (Ἔκβαλε τὴν παιδίσκην ταύτην καὶ τὸν υἱὸν αὐτῆς: οὐ γὰρ κληρονομήσει ὁ υἱὸς τῆς παιδίσκης ταύτης μετὰ τοῦ υἱοῦ μου Ισαακ – LXX). E Paolo modifica così: “Caccia via la schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non sarà erede con il figlio della donna libera” (Ἔκβαλε τὴν παιδίσκην καὶ τὸν υἱὸν αὐτῆς, οὐ γὰρ μὴ κληρονομήσει ὁ υἱὸς τῆς παιδίσκης μετὰ τοῦ υἱοῦ τῆς ἐλευθέρας). Eppure Paolo afferma che λέγει ἡ γραφή, “dice la Scrittura”.
Questo esempio mostra come Paolo, giustamente, usi la Scrittura in modo correttamente interpretativo. Qui abbiamo un adattamento, in 1Tm 5:18 una citazione esatta da Dt 25:4 seguita da con commento rafforzativo.
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Caro Gianni, la tua soluzione è decisamente soddisfacente, complimenti. Effettivamente, Paolo può aver citato la Scrittura e aggiunto un commento rafforzativo suo o a memoria (proveniente direttamente dai discorsi di Yeshùa), che non intende affatto citare come scritturale. In questo caso, l'anacronismo è risolto.

Per quanto riguarda l'erranza della Scrittura, dopo gli studi effettuati negli ultimi cinquanta anni non è più possibile accettare il testo giunto fino a noi come genuino e ispirato, e dunque "verità assoluta". Gli uomini che annunciarono il Vangelo possono essere stati ispirati, ma non il testo che abbiamo noi dopo quasi due millenni. Non parlerei quindi di erranza scritturale, ma di manipolazioni e inganni umani per scopi dottrinali (legittimi e illegittimi), che hanno storpiato un messaggio che, invece, andava preservato. Credo che il compito degli studiosi sia oggi quello di individuare queste manipolazioni e ricostruire il messaggio originale o ciò che resta di esso, che potrebbe essere molto diverso da quello che la religione ha voluto trasmettere. Oppure è necessario dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il testo delle Scritture Greche che oggi possediamo è infallibile in ogni minimo punto e dunque va accettato e basta. Ma se questo fosse possibile, lo avremmo già fatto e avremmo posto una pietra sopra le dispute. Invece, vedo che il mondo degli studiosi è diviso, e questa divisione è causata essenzialmente da convinzioni religiose che rendono impossibile accettare le cose e valutarle in modo obbiettivo. Credo che un requisito essenziale per uno studioso dovrebbe essere quello di non avere preconcetti o convinzioni dettate da un credo, altrimenti ognuno vede quello che crede.

Per fare un esempio cito un passo da questa stessa lettera, di cui abbiamo discusso recentemente sul forum: 1Tm 2:11-15. Che queste parole siano di Paolo è davvero poco probabile, e credo tu sia d'accordo. Ma ci sono anche altri problemi in questa lettera, ad esempio il senso che Paolo dà alla parola "fede", molto diverso dalle lettere sulla cui provenienza paolina tutti i critici sono unanimemente d'accordo. Anche il contesto storico sembra molto diverso rispetto a quello, ad esempio, della 1Cor, in cui la chiesa è un gruppo di credenti disomogeneo in cui ognuno ha un compito e dei doni, in cui nessuno detiene speciali incarichi. Nella 1Tm, la chiesa è ben organizzata gerarchicamente e questo non corrisponde ad una situazione storica in cui il messia e la fine dell'era presente erano attesi a breve (e dunque non era necessaria un'organizzazione gerarchica), ma corrisponde ad un contesto storico successivo a Paolo, in cui il messia tardava e dunque si rese necessaria una strutturazione amministrativa per evitare il collasso (in virtù dei numerosi dissidi che la morte degli apostoli e il ritardo del Signore vennero a creare). Ma concentriamoci sui versetti che ho citato:

“11 La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. 12 Poiché non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. 13 Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; 14 e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; 15 tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell'amore e nella santificazione con modestia.”

Queste parole non sono di Paolo, a meno che si fosse bevuto il cervello :-) . Sono di qualcuno che utilizza l'autorevolezza del nome di Paolo per dare istruzioni che, altrimenti, non sarebbero state prese in considerazione. E se non sono di Paolo, vuol dire che la lettera non è integra o che è stata erroneamente attribuita a Paolo. Oppure la lettera è di Paolo ma è stata ampiamente modificata. In questo caso, non dovremmo aver timore di dichiararlo apertamente, poiché ciò che conta è capire bene le cose. Se la lettera non è di Paolo o è stata modificata, vuol dire che le Scritture Greche come le conosciamo non sono infallibili. Ma questa possibile conclusione non dovrebbe intimorirci. A questo punto, o rifiutiamo di credere che la lettera non sia genuina o integra pur di difendere l'infallibilità della Scrittura, oppure accettiamo che la Scrittura in nostro possesso contenga manipolazioni e debba essere esaminata con attenzione senza necessariamente dare tutto per scontato.
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

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Ciao Antonio, a scovare le manipolazione che troviamo nel N. T. non ci avrebbero dovuto pensare i critici testuali?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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bgaluppi
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Re: 1Tim 5:18 che scritture cita?

Messaggio da bgaluppi »

Tiziano, i critici testuali hanno fatto il loro lavoro, ma sul materiale disponibile. I manoscritti completi e parziali più antichi risalgono al IV secolo, con qualche frammento al III. Non possono lavorare sul materiale precedente, che non c'è. Ed i Padri testimoniano dello scempio che i copisti facevano dei manoscritti già nel II secolo. Inoltre i critici testuali non possono eliminare il testo che compare sui mss antichi. Prendi ad es. Mt 28:19, qualunque critico ti direbbe che non è una lezione genuina, tuttavia compare sulle ed. critiche. Stessa cosa per theòs di Gv 1:18 e per i versetti misogini e contraddittori che ho citato dalla 1Tm. Perché?
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