Romani 5:12

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francesco.ragazzi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da francesco.ragazzi »

“senza spargimento di sangue non c’è perdono“ (Lettera agli Ebrei, 9:22).

“…poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Lui è stato prescelto da Dio per fare l’espiazione mediante la fede nel suo sangue” (Lettera ai Romani, 3:23-25).

Se tutto ciò fosse vero, il popolo ebraico si troverebbe in una condizione spirituale altamente problematica. Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta duemila anni fa, gli Ebrei avrebbero infatti perduto l’espiazione incompleta e temporanea fornita dai sacrifici; e inoltre, poiché essi non credono in Gesù, non esisterebbe per loro alcuna via per ottenere il perdono di Dio.

La posizione dell’Ebraismo su questo tema è radicalmente diversa. Gli antichi Maestri del Talmud insegnano che, in mancanza del Tempio e dei riti che in esso si svolgevano, le offerte sacrificali sono sostituite dalla preghiera, dallo studio della Torah e dagli atti caritatevoli. Questi tre elementi, se uniti al ravvedimento (Teshuvah), permettono a chiunque di ricevere il perdono di tutte le proprie colpe.

Infatti sta scritto :

“Quando [gli Israeliti] peccheranno contro di te (perché non c’è alcun uomo che non pecchi), e tu, adirato contro di loro, li abbandonerai in balìa del nemico e saranno deportati nel paese del nemico, lontano o vicino, se nel paese in cui sono stati deportati rientrano in se stessi, se tornano a te e ti supplicano nel paese di quelli che li hanno portati in prigionia e dicono: «Abbiamo peccato, abbiamo agito iniquamente, abbiamo fatto del male», se tornano a te con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima nel paese dei loro nemici che li hanno deportati e ti pregano rivolti al loro paese che tu hai dato ai loro padri, alla città che tu hai scelto e al Tempio che io ho costruito al tuo Nome, tu ascolta dal cielo, il luogo della tua dimora, la loro preghiera e la loro supplica e sostieni la loro causa, e perdona al tuo popolo che ha peccato contro di te tutte le trasgressioni che ha commesso contro di te” (1Re 8:46-50).

Ciò che la Bibbia ebraica sottolinea in moltissime occasioni è il fatto che il Creatore del mondo non ha bisogno dei sacrifici: essi servono all’uomo, come segno di rinuncia e di comunione con Dio, ma non sono da intendere come doni materiali volti a placare l’ira di una divinità assetata di sangue.

Infatti sta scritto :

“Io sono Dio, il tuo Dio. Non ti riprenderò per i tuoi sacrifici, né per i tuoi olocausti che mi stanno sempre davanti. Non prenderò alcun torello dalla tua casa né capri dai tuoi ovili. Mie sono infatti tutte le bestie della foresta; mio è il bestiame che sta a migliaia sui monti. Conosco tutti gli uccelli dei monti, e tutto ciò che si muove nei campi è mio. Se avessi fame, non te lo direi; perché il mondo e quanto esso contiene è mio. Mangio forse carne di tori, o bevo sangue di capri? Offri a Dio sacrifici di lode e adempi i tuoi voti fatti all’Altissimo” (Salmi 50:7-14).4

“Poiché io desidero la misericordia e non i sacrifici, e la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Osea 6:6).
“Che m’importa della moltitudine dei vostri sacrifici, dice il Signore. Smettete di portare oblazioni inutili. […] Lavatevi, purificatevi, togliete dalla mia presenza la malvagità delle vostre azioni, cessate di fare il male. Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Isaia 1:11-16).
“Il sacrificio dell’empio è cosa abominevole, tanto più se lo offre con intento malvagio” (Proverbi 21:27).
“Ciascuno si ritirerà dalla propria via malvagia, e così io perdonerò la loro iniquità e il loro peccato” (Geremia 36:3)
“Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri, e ritorni al Signore che avrà compassione di lui, e al nostro Dio che perdona largamente” (Isaia 55:7).
“Se il mio popolo, sul quale è invocato il mio nome, si umilia, prega, cerca la mia faccia e torna indietro dalle sue vie malvagie, io ascolterò dal cielo, perdonerò il suo peccato e guarirò il suo paese” (2Cronache 7:14).
Gli abitanti di Ninive ottennero il perdono solo tramite la loro penitenza e il loro abbandono della malvagità.
In modo ancora più clamoroso, persino al re di Babilonia Nabucodonosor, colui che distrusse Gerusalemme e deportò gli Israeliti, il dono della misericordia non viene negato; Daniele dichiara infatti: “Perciò, o re, gradisci il mio consiglio: poni fine ai tuoi peccati praticando la giustizia e alle tue iniquità usando compassione verso i poveri” (Daniele 4:27).

Questa esaltazione della potenza del ravvedimento, presente nella Torah prima che nella tradizione rabbinica, appare quindi lontanissima dalle dottrine di chi intende colmare l’abisso tra l’uomo e Dio tramite l’esistenza di mediatori e di sacrifici di riscatto per l’anima umana.

Alla luce di tutto ciò mi chiedo : Come stanno le cose ????
Era davvero necessario il sacrificio di Yeshua ???
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francesco.ragazzi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da francesco.ragazzi »

...e quindi come stanno le cose ???
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bgaluppi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da bgaluppi »

È un argomento davvero complesso. Credo di averlo dipanato nella mia mente, ma è difficile esprimersi a parole. Il perno di tutto è la risurrezione, non il perdono dei peccati in sé; il problema dell'uomo è la morte e la morte è legata al trasgredire e credo sia da qui che si debba partire. Non si tratta solo di pentirsi di peccati che continuiamo a commettere, si tratta di "smettere di peccare", di capire qual è la chiave perché degli uomini per natura fallaci risultino invece puri agli occhi di Dio. Parto da molto lontano ma ci arrivo pian piano al punto del discorso.

Molti mettono in dubbio la risurrezione di Yeshùa; esegeti e studiosi pro e contro la risurrezione hanno scritto centinaia di libri e guerreggiato per secoli, e continuano a guerreggiare oggi. Se si ascoltano entrambi i fronti in modo obbiettivo - senza lasciarsi condizionare dalla fede né dallo scetticismo - troveremo punti di forza e punti deboli in entrambi.

In questo momento non parlo da credente; metterò la mia fede da parte per un momento, per poter ragionare in modo analitico. Se si mette in dubbio la risurrezione di Yeshùa, allora dovremmo mettere in dubbio anche la risurrezione nel Tanach, cioè la risurrezione come evento, perché i passi che ne parlano possono essere interpretati in senso traslato o simbolico. E se la risurrezione non esiste nel Tanach, allora Yeshùa non è risorto; ma se esiste, allora la risurrezione di Yeshùa diventa possibile, anzi probabile. Secondo il giudaismo, la fiducia nella risurrezione è un punto cardine per ogni ebreo, perché il Tanach la presenta, ed è difficile pensare che i più grandi maestri della Torah si siano sbagliati. E se riteniamo personalmente che il Tanach non ne parli, allora dobbiamo smentire i maestri.

Adesso dobbiamo chiederci: sulla base di cosa un uomo può meritarsi di vivere di nuovo dopo la morte? La risposta non può essere l'obbedienza perfetta e "meccanica" ad ogni singola mitzvah della Torah, perché nessun uomo è stato in grado e sarà in grado di obbedire in modo perfetto, senza mai violare neppure un singolo precetto. La nostra natura lo rende impossibile. È possibile pensare che Yeshùa stesso, dalla nascita fino alla morte, non abbia mai trasgredito ad un singolo precetto, anche il più piccolo e insignificante, se così lo possiamo definire? Ebrei dice che fu tentato senza mai commettere peccato; ma da quando, dalla nascita o dal battesimo? E in che senso? Se è vero che in tutta la sua vita non sbagliò mai, allora era veramente un essere sovrumano, “divino”, e non un uomo di carne, perché l'errore (il "peccato", termine che non sopporto) è innato nell'uomo ed è funzionale alla crescita verso la perfezione. Oltretutto, se avesse avuto capacità "divine", non ha senso che sia stato risuscitato per aver obbedito a Dio essendo come Dio. Sarebbe un'ovvietà. Ammesso e non concesso che Yeshùa abbia peccato durante l'arco della sua vita, ossia abbia trasgredito anche ad un solo punto della Torah, sulla base di cosa è stato risuscitato? Io credo sulla base della sua condotta nei confronti di Dio e del prossimo. Poi c'è da considerare che Yeshùa si è consacrato a Dio in età adulta, quando era pronto per farlo, non quando non lo era; dunque ha fatto un percorso prima. La perfezione della sua ubbidienza, credo, risiede nell'aver saputo adempiere i due grandi comandamenti: "amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua” e “amerai il tuo prossimo come te stesso”; e non significa che abbia tralasciato gli altri, attenzione. Il suo sacrificio, allora, risiede nell'aver saputo rinunciare al suo ego e aver vissuto in base ad un sentimento di amore incondizionato e di totale obbiettività e assenza di giudizio nei confronti del "prossimo", ossia quello che gli stava vicino. Amare davvero il prossimo come se stessi, significa amare Dio in modo perfetto. Sembrano parole facili, banali, ma proviamo a renderci conto quanto sia difficile e improbabile riuscire ad amare veramente se stessi e relazionarsi con il prossimo come se fosse un altro "noi".

Detto questo, io non so se Yeshùa fosse davvero certo di risuscitare. Forse no, perché la notte prima della sua condanna, consapevole del suo destino, prega perché gli fosse risparmiato. Non avrebbe avuto motivo di fare ciò, se avesse avuto la certezza della risurrezione. Non so se sin dall'inizio del suo mandato fosse certo che sarebbe finito in quel modo; forse lo sapeva per ispirazione che sarebbe morto, lo vedeva nella sua testa, ma ne divenne man mano consapevole con il dispiegarsi degli eventi. Allora butto là questa ipotesi: lui visse un'intensa esperienza spirituale, un "contatto" con il Superiore, con lo spirito, che gli consentì di vivere in modo da rinunciare al proprio ego ed essere davvero servo di Dio e del suo prossimo, e così dimostrare di amare veramente come Dio ama, senza "preferenze" di sorta (e dunque di amare Dio in modo assoluto e verace). Credo che abbia vissuto come Dio vuole che l'uomo viva, come sono i bambini nell'infanzia ma con mente e anima adulte se vogliamo, essendo "uno" con Dio e con ogni essere umano che gli stava di fronte. E Dio lo ha risuscitato per questo. È stato nel momento della risurrezione, che ha avuto anche lui la certezza di essere il Messia, non prima. Prima lo credeva, sulla base della sua esperienza spirituale, ma dopo lo era. Ovviamente, è solo un'ipotesi. Del resto, nessuno ha la certezza di vincere finché non vince e viene riconosciuto vincitore. In questo senso, lui è stato il primo che ha saputo aprire la porta della risurrezione e l'esempio per altri che scelgono di fare come lui. Ha liberato dal peccato nel senso che ha mostrato in cosa consiste innanzitutto la perfezione dell'obbedienza: amore incondizionato, oltre all'obbedienza alla legge. Chi ama in modo incondizionato, è esente da errore ed è "perfetto".

Sulla base di tutto ciò, i Vangeli interpretano molte profezie del Tanach come riferentisi a Yeshùa. Praticamente, attraverso Yeshùa ciò che nel Tanach era oscuro ora è rivelato. È stato dopo la risurrezione che si è capito che il servo sofferente che si abbassa e accetta il giogo dell'umiliazione, espiando le colpe di molti, era Yeshùa. Certo, nel testo è Israele, ma Israele è rappresentato come un uomo; i Vangeli applicano quella figura umana a Yeshùa. Naturalmente, questo vale per chi crede nella sua risurrezione, non per chi non ci crede.

Yeshùa ha anche attualizzato la sua esperienza attraverso segni e pratiche conformi al modello biblico ed ebraico, per cui lui si dichiara sacrificio espiatorio. Non perché il Tanach richiedesse che un uomo si offrisse al posto dell'animale (non è scritto), ma perché lui sceglie di essere e simboleggiare la vittima espiatoria, secondo il modello biblico. Credo che Yeshùa, durante la cena e specialmente sulla croce, attui un segno biblico, il cui potere espiatorio vale per ogni uomo, come l'espiazione sacerdotale che si faceva una volta all'anno. Il sacerdote espiava i peccati di Israele attraverso un segno, un sacrificio, secondo un costume antico in cui il sangue aveva questa funzione; Yeshùa applica il tutto simbolicamente su di sé, secondo il pensiero dell'epoca. Ognuno di noi può diventare sacrificio per il peccato, ma oggi il sacrificio è caduto in disuso, e dunque parleremmo in termini diversi. Chi offre la propria vita al posto di quella di un altro uomo espia le colpe di tutto il genere umano; chi salva una vita, specialmente rinunciando alla sua, salva il mondo intero, perché dimostra che nessuna vita è più importante di un'altra, specialmente agli occhi di Dio.

Credo che sulla base di queste considerazioni Yeshùa possa essere ritenuto Messia e la risurrezione possa essere ritenuta probabile anche senza fede. Del resto, per quale motivo un uomo non dovrebbe vincere la morte se non per amore? E per quale altro motivo Dio non dovrebbe poter far rivivere un uomo ed esaltarlo ad una forma superiore? Da credente, ci credo e basta, naturalmente. Non so se sono riuscito a far passare qualcosa di sensato.
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francesco.ragazzi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da francesco.ragazzi »

Non si può negare che nel corso della storia della teologia fino ai nostri giorni, ci siano stati modi di spiegare e di intendere la morte espiatoria di Gesù che hanno gettato una luce sinistra su Dio: “Per molti cristiani… le cose stanno come se la croce andasse vista inserita in un meccanismo costituito dal diritto offeso e riparato. Sarebbe la forma in cui la giustizia di Dio infinitamente lesa verrebbe nuovamente placata da un’infinita espiazione… la ‘infinita espiazione’ su cui Dio sembra reggersi si presenta in una luce doppiamente sinistra… s’infiltra così nella coscienza proprio l'idea che la fede cristiana nella croce immagini un Dio la cui spietata giustizia abbia preteso un sacrificio umano, l’immolazione del suo stesso Figlio. Per cui si volgono con terrore le spalle ad una giustizia, la cui tenebrosa ira rende inattendibile il messaggio dell'amore”...
(J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo)
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bgaluppi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da bgaluppi »

Dici bene, Francesco. Ma quanto poco sappiamo su cosa Yeshùa disse veramente, su come parlava ogni giorno ai discepoli. Qua e là troviamo qualche traccia, ma dobbiamo andare davvero a fondo con la mente per capire bene.

In quel tempo, il modello era il sacrificio. Ebrei dice questo, non c'è salvezza senza spargimento di sangue, senza l'uccisione di una vittima. tutte le culture antiche lo praticavano e gli ebrei non se lo sono certo inventato. È naturale dunque che i vangeli parlino di sacrificio espiatorio anche riguardo a quello di Yeshùa, perché Yeshùa stesso utilizza su di sé il modello sacrificale. Lo applica alla sua esperienza. Ma insegna anche in cosa consiste il sacrificio di se stessi: amare un amico al punto da essere pronti a sacrificarsi per lui. Esiste un motivo maggiore per cui Dio dovrebbe risuscitare un uomo e proclamarlo "unto"? E la vera liberazione di Israele e del mondo è prettamente politica oppure intima e spirituale? Yeshùa, nei Vangeli, è liberatore e re in questo senso: "vi lascio la pace, vi dò la MIA pace". Il Messia non doveva liberare e portare un regno di pace? Yeshùa lo fa, ma tutto avviene a livello interiore. Il regno di Dio e l'era messianica non vengono da fuori, ma da dentro.

In tempi antichi, le profezie messianiche erano interpretate secondo il pensiero del tempo, e la Scrittura parla col linguaggio del tempo. Yeshùa interpreta e attualizza il tutto in modo nuovo e inconcepibile per il tempo, a livello interiore, non esteriore. Dio regna dentro di noi, non fuori; il regno di pace lo troviamo in noi, non fuori. Il Messia libera interiormente, non esteriormente. Io lo leggo così. Per cui, il regno di Dio viene dall'alto ma dentro di noi, non in modo che si possa vedere con gli occhi. Per questo il regno di Dio va cercato, e non aspettato.
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francesco.ragazzi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da francesco.ragazzi »

Yeshùa interpreta e attualizza il tutto in modo nuovo e inconcepibile per il tempo, a livello interiore, non esteriore. Dio regna dentro di noi, non fuori; il regno di pace lo troviamo in noi, non fuori. Il Messia libera interiormente, non esteriormente. Io lo leggo così.

Dici bene Antonio, ma questa liberazione interiore come si concretizza dopo la nostra morte ? Dirai con la Resurrezione !!!

Ma ritorna sempre la stessa domanda .... Era proprio necessario il sacrificio di Yeshua ?
Era propedeutico alla nostra liberaziome interiore ???
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bgaluppi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da bgaluppi »

Ciò che è necessario certamente è obbedire a Dio: “se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19:17). Il Tanach non annuncia esplicitamente la necessità che il Messia morisse. Di fatto, il Tanach non parla mai del Messia in modo esplicito: una volta è un re, un'altra un sacerdote, un'altra sembra rappresentare un periodo storico. Isaia parla però della necessità che il servo si carichi delle colpe di tutti, ebrei e stranieri, come il capro che veniva lasciato nel deserto era carico dei peccati di Israele e li portava via. Sono tutti simboli, segni, che Yeshùa attualizza con la sua esperienza. Evidentemente, lui lo ritenne necessario.

Mi si dirà: "ma il servo è Israele". Si. Ma chi è Israele? Quale Israele? Israele in questo caso è rappresentata nella forma di un uomo, dunque il servo è astratto, è una figura simbolica che deve essere incarnata. Yeshùa incarna il servo, evidentemente leggendolo come rappresentazione di ciò che deve essere il Messia. La risurrezione dimostra che aveva ragione. Ma ovviamente, bisogna credere che sia risorto.
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bgaluppi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da bgaluppi »

Francesco, qual è il tuo dubbio, se la salvezza dipende dal sacrificio di Yeshùa? Cioè, se non fosse morto, non ci sarebbe salvezza?
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francesco.ragazzi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da francesco.ragazzi »

Carissimo Antonio,
Il cruccio che ho sempre avuto è il fatto che la salvezza dipenda dalla sofferenza e morte del Messia.
Se non esiste un peccato ma una nostra natura umana, inferiore a quella spirituale che bisogna elevare, questo processo avrebbe potuto attivarsi con ravvedimento interiore e crescita spirituale senza il bisogno del martirio e morte di Ieshua.
Il dono di Dio che comporta sofferenza e morte di un innocente mi lascia perplesso...
Penso allo sposo che vuole fare un regalo alla sposa coi proventi di una rapina che comporta l'uccisione del venditore......da sposa avrei preferito non ricevere tale regalo pur di evitare la morte di un terzo....
La necessità di un sacrificio espiatorio mi fa sorgere dei dubbi sulla perfezione della creazione...
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bgaluppi
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Re: Romani 5:12

Messaggio da bgaluppi »

non è assolutamente una prova ed una base solida su cui rendere certa la resurrezione di Gesù
Non ho detto questo, Matty. Ho detto che se il Tanach parla di risurrezione, quella di Yeshùa non può essere bollata come impossibile da un punto di vista biblico, anzi diventa possibile, sempre biblicamente.

Un filosofo come Maimonide, poco incline all'idea del miracolo come evento soprannaturale, stabilisce che la fede nella risurrezione è un princìpio cardine nel giudaismo. Lo fa sulla base del Tanach, non inventa una dottrina.

Ora, se un maestro come Maimonide asserisce che il Tanach parli di risurrezione, per sostenere il contrario è necessario smentirlo, biblicamente. Non si può semplicemente esporre una conclusione personale, bisogna anche poterla sostenere biblicamente.

Bisognerebbe, quindi, vedere su che versetti Maimonide (e non solo lui) basano la loro tesi secondo cui il Tanach annuncia la risurrezione e poi dimostrare che sbagliano. Io, sinceramente, non credo di essere in grado di farlo.

“Un importante principio dell'escatologia ebraica accanto al Messia, la credenza nella risurrezione, è fermamente attestato dai tempi dei Maccabei, imposto come un articolo di fede nella Mishnah (Sanh. 10:1), e incluso come seconda benedizione dell'Amidah e come ultimo dei 13 principi di fede di Maimonide” - da Jewish Virtual Library
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