I due ulivi

Janira
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I due ulivi

Messaggio da Janira »

I due ulivi
Rm 11:17
Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell'olivo, 18 non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.

Con in mente l'ipotesi che Yeshua sia il Messia della Casa d'Israele, chi rappresenta l'Ulivo Selvatico e l'Ulivo Domestico?
In Rm 9:1,2,3 è evidente che Paolo sia fortemente coinvolto rispetto alla salvezza di TUTTO Israele. Nello speciale di novembre l'autore ipotizza che i rami tagliati siano la casa d'Israele e quelli selvatici innestati i gentili.
Ma Rm 9:30,31,32,33 difficilmente si possono interpretare in questo modo: si parla qui del contrasto tra giustizia per opere e giustizia per fede, tema frequente in Paolo. La Casa d'Israele è stata ripudiata per idolatria, di certo non si può dire che avessero zelo per Dio (Rm 10:2).
Il fatto poi che in Rm 11:25 dica che la totalità dei gentili debba entrare prima che tutto Israele sia salvato, si pone in contrasto con le scritture ebraiche, per le quali il popolo eletto è solo Israele.
Da ciò un'ipotesi alternativa:
i rami tagliati sono quei giudei che, come Paolo prima di diventare discepolo, ricercava la giustizia per opere e non per fede ( perciò si spiega il forte coinvolgimento di Paolo).
Il mistero di cui Paolo parla in Rm 11:25 è che per la salvezza della Casa d'Israele, ALCUNI rami della casa di Giuda abbiano subito un indurimento, finché tutta la casa d'Israele sarà salvata( i gentili non c'entrano nulla),questo perché in Rm 11:32 Dio infatti ha rinchiuso TUTTI (prima la casa d'Israele e poi la casa di Giuda) nella disubbidienza per fare misericordia a TUTTI (quando il nuovo patto sarà efficace).
Il dubbio che ho è: è lecito ritenere che la Casa d'Israele sia simboleggiata dall'Ulivo selvatico?
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bgaluppi
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Re: I due ulivi

Messaggio da bgaluppi »

Il problema è che Dio, tramite il profeta, promette il riscatto della Casa di Israele deportata in Assiria. Oggi non c’è modo di riscattare quei deportati che si mescolarono con le nazioni dopo la deportazione. E non era possibile neppure ai tempi di Paolo. Essi hanno e avevano perduto le loro radici ebraiche. È possibile che Paolo intenda che attraverso Yeshùa, molti gentili discendenti (anche inconsapevoli) delle dieci tribù perdute sino riannessi. Per cui, quei gentili rappresentano la Casa di Israele ormai scomparsa. Se ci pensi, non trovi strano come tra i gentili alcuni sentano il desiderio di trovare Dio e altri no? Perché tanti uomini non possono fare a meno di cercare il Dio di Israele e tanti invece no? Se uno straniero sente il bisogno di adorare il Dio di Israele, è possibile che tale bisogno origini da radici ebraiche che non sa neppure di avere?
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Gianni
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Re: I due ulivi

Messaggio da Gianni »

Janira, tu domandi se è lecito ritenere che la Casa d'Israele sia simboleggiata dall'ulivo selvatico. Dico la mia, per quel poco che possa valere.

Paolo parla in Rm 11:24 di un καλλιέλαιος (kallièlaios), parola formata da καλός (kalòs), “bello/buono/eccellente”, e da ἐλαία (elàia) che indica un olivo. Il kallièlaios, come si deduce dal contesto, rappresenta il popolo giudeo. Rivolgendosi ai non ebrei, Paolo dice: “[Dio], contro ogni regola d’innesto, vi ha innestato nel suo albero buono”. – V. 24, Bibbia della Gioia.

Ora, occorre capire bene perché il trapianto di rami presi dall’ἀγριέλαιος (agrièlaios) - parola formata da ἄγριος (àgrios), “selvatico”, e da ἐλαία (elàia) che indica un olivo – sia “contro ogni regola d’innesto”.
Di prassi si faceva il contrario: negli olivi selvatici venivano innestati dei germogli di alberi produttivi coltivati, in modo che producessero buon frutto. Se, viceversa, si innestava un ramo selvatico in un albero coltivato, il ramo selvatico avrebbe continuato a produrre il proprio frutto non buono. Con il suo paragone, Paolo fa risaltare la grande bontà di Dio verso i non ebrei, ammettendoli nel suo popolo. Tuttavia, l’allegoria paolina non va oltre, nel senso che non intende affatto dire che gli stranieri poi continuino a produrre per con loro il loro frutto. Infatti, molto chiaramente così li avverte al v. 18: “Se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te”, e ciò dopo aver specificato al v. 17: “Sei diventato partecipe della radice e della linfa dell'olivo”.

Il popolo giudeo, il kallièlaios, l’olivo eccellente, rimane il popolo di Dio. “Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo!” (v. 11). Al v. 16 Paolo fa un duplice paragone: come la primizia della pasta giudaica è santa e rende santo tutto l’impasto, così la radice santa dell’olivo giudaico rende santi tutti i suoi rami. Che vuol dire se alcuni rami naturali sono stati recisi? L’olivo buono rimane. E non solo: Dio può innestarli di nuovo nel loro olivo: “Infatti se tu sei stato tagliato dall'olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell'olivo domestico, quanto più essi, che sono i rami naturali, saranno innestati nel loro proprio olivo”. - V. 24.

Tu domandi se è lecito ritenere che la Casa d'Israele sia simboleggiata dall'ulivo selvatico. La risposta è tra le pieghe di ciò che Paolo spiega ai vv. 25 e 26: “Non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d'Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; e tutto Israele sarà salvato”.
Come abbiamo visto, i rami selvatici sono i non giudei. È “la totalità degli stranieri” che permette di salvare tutta Israele. La successiva citazione che Paolo da Sl 14:7 per dimostrarlo ci aiuta a capire: “Oh, chi darà da Sion la salvezza a Israele? Quando il Signore farà ritornare gli esuli del suo popolo, Giacobbe esulterà, Israele si rallegrerà”.
Sion è Gerusalemme, la capitale della Giudea; la salvezza viene dai giudei. Lo affermò anche Yeshùa in Gv 4:22: “La salvezza viene dai Giudei”. -. Cfr. Rm 9:4.
Quanto a Giacobbe, si noti il parallelo in Ez 39:25: “Così parla il Signore, Dio: Ora io farò tornare Giacobbe dalla deportazione e avrò pietà di tutta la casa d'Israele”. Lo stesso in Mic 1:5, in cui la “trasgressione di Giacobbe” equivale ai “peccati della casa d'Israele”. Giacobbe e la Casa di Israele sono la stessa cosa.
Citando il passo salmico, Paolo sta dicendo che tutta Israele (Casa di Giuda e Casa di Israele), ovvero l’intero popolo di Dio al completo, sarà salvata quando al popolo giudeo si sarà unita “la totalità degli stranieri”. Il che ci porta a dedurre che “la totalità degli stranieri” equivale alla Casa di Israele.

La domanda è ora un’altra: nella “totalità degli stranieri” ci saranno anche altri che non sono riconducibili alla Casa di Israele? E chi lo sa. Forse. Quando nell’Esodo gli ebrei uscirono dall’Egitto, una folla mista di non ebrei si unì a loro e divennero parte del popolo di Dio. Accadrà la stessa cosa? Forse. In Is 45:14 è profetizzato che egiziani, etiopici e sabei supplicheranno di unirsi agli ebrei. In Zc 8:23 è profetizzato che “dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni piglieranno un Giudeo per il lembo della veste e diranno: «Noi verremo con voi perché abbiamo udito che Dio è con voi»”. Nella Bibbia il numero dieci indica la pienezza, la totalità; il che ci riporta alla “totalità degli stranieri” di cui parla Paolo. Si tratta sempre, alla fine, della Casa di Israele?

Una cosa è certa, anzi certissima: “Il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi»”. - 2Tm 2:19.
Janira
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Re: I due ulivi

Messaggio da Janira »

Grazie Gianni, dovrò leggere con calma ciò che hai scritto e rifletterci su.
Antonio, concordo con te, per questo ho pensato che la casa d'Israele fosse rappresentata da un ulivo (Israele) ma selvatico, per simboleggiare che ormai è lontano dalla Torah, proprio come i pagani non-ebrei.
Ma, se per gli ebrei contemporanei di Yeshua la casa d'Israele era ormai considerata come i pagani, allora l'ulivo selvatico rappresenta tutti i pagani e solo alcuni rami di esso la casa d'Israele
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Gianni
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Re: I due ulivi

Messaggio da Gianni »

A tal proposito, ovvero che l'ulivo selvatico rappresenti tutti i pagani e che solo alcuni rami di essi siano la casa d'Israele, vorrei rimarcare che la parola πλήρωμα (plèroma), al v. 25, era usata per indicare ciò di cui una nave era riempita: l’equipaggio (marinai, rematori e altri). Chi rimaneva a terra non faceva parte del plèroma. La stessa parola Paolo la usa al precedente v. 12 riferito ai giudei: “Quanto più lo sarà la loro piena partecipazione [plèroma]!”. Parlare di “totalità degli stranieri” è quindi fuorviante. Non si tratta di tutti gli stranieri del mondo, ma solo di quelli che compongono il plèroma.
Janira
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Re: I due ulivi

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Quante sfumature perdiamo noi che non conosciamo il greco e l'ebraico! :-)
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Gianni
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Re: I due ulivi

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:-)
Janira
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Re: I due ulivi

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Gal 3:16
Le promesse furono fatte ad Abraamo e alla sua progenie. Non dice: «E alle progenie», come se si trattasse di molte; ma, come parlando di una sola, dice: «E alla tua progenie», che è Cristo.

Rm 9:16
6 Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; 7 né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». 8 Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza.

Il primo versetto su un sito è stato interpretato che solo Yeshua sia la discendenza della promessa(sottintendendo che gli ebrei non lo siano).
Secondo me invece è un modo diverso di esprimere il concetto dei versetti della lettera ai romani. Che ne dite?
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Gianni
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Re: I due ulivi

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Paolo rilegge un brano delle Scritture Ebraiche. Gal 3:16: “Le promesse furono dichiarate ad Abraamo e al suo seme. [La Scrittura] non dice: ‘E ai semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo” (TNM). “E al tuo seme” rimanda a Gn 22:17,18: “Di sicuro moltiplicherò il tuo seme come le stelle dei cieli e come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare; e il tuo seme prenderà possesso della porta dei suoi nemici. E per mezzo del tuo seme tutte le nazioni della terra certamente si benediranno” (TNM). Paolo, da buon israelita (Rm 11:1) conosce benissimo il significato biblico di “seme” (זרע, zerà) e sa che si riferisce alla stirpe in senso collettivo e non ad un singolo. Del resto, è chiaro anche dal contesto genesiaco: il “seme” viene moltiplicato fino ad essere “come le stelle dei cieli” ed è il “mese” che “prenderà possesso della porta dei suoi nemici” (espressione questa che non può riferirsi ad Isacco come “seme”, ma a tutta Israele). Che “seme” vada inteso in senso collettivo non solo Paolo lo sa, ma lo indica: “Anch’io sono israelita, del seme [ἐκ σπέρματος, (ek spèrmatos), “da[l] seme”; la stessa parola da lui usata in Gal 3:16] d’Abraamo” (Rm 11:1, TNM). Non ci sono dubbi: il “seme” in senso biblico è tutta la discendenza. Eppure lui rilegge al singolare un nome che è collettivo: “[La Scrittura] non dice: ‘E ai semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo” (Gal 3:16, TNM). Questo modo di rileggere può scandalizzare solo i religiosi occidentali. L’ebreo non si scandalizzava e, infatti, non abbiamo documentata nessuna contestazione da parte dei giudei così nemici di Yeshùa e di Paolo.
Paolo non era forse ispirato? Sì, ed gli rilegge alla luce dello spirito santo.
Janira
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Re: I due ulivi

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Grazie Gianni, purtroppo la cristianità ha fatto grandi danni. Già le scritture non sono facili da interpretare, con tutta l'eredità cristiana aggiunta sopra è una vera impresa (per chi non conosce le scritture Ebraiche, ovviamente!)
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