Rm 5 - "tutti" o "molti"?

Avatar utente
bgaluppi
Messaggi: 9943
Iscritto il: domenica 28 dicembre 2014, 7:13
Località: Torino

Re: Rm 5 - "tutti" o "molti"?

Messaggio da bgaluppi »

Si, siamo d'accordo, ilvigilante. C'è solo un dettaglio su cui insisto in merito alla fede. Possiamo partire con un esempio pratico sull'amore verso il coniuge. Uno può dire a sua moglie di amarla, e lo può ripetere anche cento volte al giorno. Ma la moglie saprà che il marito la ama davvero soltanto nel momento in cui egli rende manifesto e dimostra il suo amore attraverso atti reali. Si ama la moglie nel momento in cui ci si prende cura di lei, la si onora, la si rispetta, si fa l'amore con lei, le si offre la dovuta attenzione. La stessa cosa vale nel caso dell'amore per Dio. Nel caso di Dio, l'amore si può manifestare esclusivamente attraverso l'obbedienza ai Suoi comandamenti, l'assiduità nella preghiera e affidandoci e confidando nella Sua volontà. Inutile dire: “sono credente”, se poi non si fanno queste cose.

Yeshùa ci insegna a comprendere e mettere in pratica la mitzvà “ama il prossimo tuo come te stesso”, dicendo:

“Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non m'accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste". Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me".” — Mt 25:31-33,41-45

I capri vengono rifiutati non perché non hanno creduto che lui fosse il messia, ma perché non hanno dimostrato la loro fede attraverso la pratica. Una regola fondamentale della fede giudaica è il fare, ossia l'applicazione pratica. Il fare è il fondamento della fede, poiché costituisce il modo in cui conduciamo la propria vita e dimostriamo fede e amore verso Colui che ce l'ha data e ci ha insegnato come viverla. Ecco perché l'ebreo Giacomo afferma con risolutezza che la fede “se non ha opere, è per se stessa morta”, e che “se uno dice di aver fede ma non ha opere” la fede non può salvarlo. Nessuno è salvo "solo per fede" se non opera, perché senza opere non ci può essere fede, e nessuno farebbe mai una cosa in cui non crede (è un cane che si morde la coda). Per questo è scritto: “Noi faremo tutto quello che il Signore ha detto e ubbidiremo” (Es 24:7). Yeshùa, parlando alla folla e ai discepoli, dice: “Gli scribi e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno.” (Mt 23:2,3). Fare e osservare tutto ciò che insegnano i farisei: e su cosa poteva mai basarsi il loro insegnamento, che Yeshùa comanda di osservare, se non sulla Torah? Infatti, sui comandamenti anche "minori" della Torah, Yeshùa afferma che “chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli” (Mt 5:19).

Chi dice solo “signore!” ma non mette in pratica, Yeshùa afferma di non conoscerlo neppure (Mt 7:23; 25:12). E dice: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia; [...] E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.” (Mt 7:24,26). Per questo la fede non basta, anzi, non c'è fede se non ci sono opere. Risulta evidente che le opere, in un certo senso, vengono prima della fede, in quanto la fede da sola non è che una “vuota dichiarazione”; perché “quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi” (Rm 2:14); “perché non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che l'osservano saranno giustificati.” (v. 13); “Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo” (v. 16). Diciamo che dimostra più "fede" chi, pur non conoscendo la legge e gli insegnamenti di Yeshùa, li mette in pratica "per natura", in modo istintivo, di chi conosce la legge e gli insegnamenti di Yeshùa ma non li mette in pratica.

Dalle parole di Paolo si comprende che Dio dichiarerà giusti degli uomini che non hanno neppure fatto professione di fede nel Cristo, poiché se sono "stranieri senza legge", è ovvio che non credono nel messia. Allora cosa intende Yeshùa quando dice: “chi crede in me ha vita eterna” (Gv 6:47)? Dice che chi mette in pratica i suoi insegnamenti e segue il suo esempio — ossia fa come lui fece — sarà salvato (cfr. Gv 15:10). E cosa fece lui? Obbedì ai comandamenti, alla Torah: “imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna” (Eb 5:8,9). L'uomo senza legge che obbedisce per natura ai comandamenti, anche senza la professione di fede e il battesimo nel messia, sarà dichiarato giusto, come furono dichiarati giusti uomini prima di Yeshùa. Allora, lui è la via al Padre nel senso che solo obbedendo come lui obbedì è possibile essere ritenuti giusti; se gli si obbedisce, si dimostra vera la dichiarazione di fede che professiamo nel battesimo (che è un segno). Credere in lui significa obbedire come lui ha insegnato. E il suo insegnamento verte sull'applicazione pratica dei comandamenti della Torah, naturalmente. Si tratta di un giro di vite, di obbedire nella maniera giusta, con purezza di spirito e intenzioni, come fecero anche altri uomini prima di Yeshùa, che furono dichiarati giusti; se furono dichiarati giusti, significa che hanno obbedito nel modo giusto, e non vanno in giudizio pur non avendo visto e professato fede nel messia. Abraamo, chiamato da Dio, disse “Eccomi”, e non esitò ad obbedire. Il sacrificio espiatorio del messia (che viene per le pecore perdute della Casa di Israele) libera l'uomo dal peccato una volta e per sempre; costituisce il sancimento di un patto che ristabilisce quelli che erano stati tagliati fuori (Ger 31:33). Ma è ovvio che chi è già stato dichiarato giusto prima di Yeshùa, ha già posto nel mondo a venire, poiché chi è già giusto non ha bisogno di essere giudicato; e la sua giustizia è dipesa dal modo in cui ha obbedito alla legge di Dio, dalla sua condotta di vita. Dunque, “credere” nel messia significa innanzitutto mettere in pratica i suoi insegnamenti, oltreché essere persuasi della sua messianicità e del potere salvifico del suo sacrificio.
ilvigilante
Messaggi: 438
Iscritto il: giovedì 3 aprile 2014, 17:21

Re: Rm 5 - "tutti" o "molti"?

Messaggio da ilvigilante »

Buongiorno,

Ieri sera il sito non era più raggiungibile in nessun modo.

Ora inserisco il commento che avrei voluto inserire ieri in risposta ad Antonio, poi ci penso un po' su ciò che ha scritto Mimymattio.

Antonio,

l’esempio che riporti dell’amore verso la propria moglie e le scritture a sostegno che hai proposto, calza perfettamente con quello che ho detto.

Quando mi sono innamorato di mia moglie le ho detto “ti amo”
Questa è stata una dichiarazione e precede il tutto.
Quella che ora è mia moglie si sarà chiesto “sarà vero?”
Sarebbe toccato a me dimostrare, per come l’avrei trattata e con le mie azioni, se la mia dichiarazione corrispondeva al vero.
Quanti hanno detto alle proprie mogli di amarle e poi si sono rivelati dei violenti fino anche ad ammazzarle?
Calza perfettamente a ciò che ho già detto e a quello che hai detto tu; è pur vero che può essere un circolo vizioso, ma in maniera logica e naturale viene prima la dichiarazione e poi la dimostrazione.

In merito a Rm 2:14, che tu citi, e direi fino al 16, riguardo a quelli delle nazioni che sono apparentemente senza legge (in verità senza la legge mosaica) hanno comunque una legge o dei principi secondo i quali saranno accusati o scusati …nel giorno in cui Dio per mezzo di Cristo giudicherà le cose segrete del genere umano, quindi potranno essere giustificati anche se non hanno adempiuto le opere della Legge mosaica.
Così l’incirconciso, compiendo la legge (che è scritta nel suo cuore e non mediante un codice scritto) metaforicamente giudicherà il circonciso che non adempie il codice scritto.
In questo passo non sembra, come tu dici, che questi delle nazioni, adempiendo le opere della legge scritta nei loro cuori, mostrino più fede di coloro che, conoscendo la Legge, non la mettono in pratica, perché in questo passo non si parla affatto di fede ma di un dono di Dio per quelle persone che, pur senza Legge si comportano decentemente. Vers. 29 – “…la lode di tale persona viene non dagli uomini ma da Dio”


ilvigilante
Messaggi: 438
Iscritto il: giovedì 3 aprile 2014, 17:21

Re: Rm 5 - "tutti" o "molti"?

Messaggio da ilvigilante »

Mimymattio,

è proprio qui che casca l'asino, ma non vorrei andare fuori tema, per questo mi limito a dire, considerandolo solo un inciso che si potrebbe discutere altrove:

Allora gli scritti di Paolo non sono propriamente ispirati?

Se così fosse, tutto ciò che abbiamo scritto in questo argomento, vale quel che vale.

Le risposte in un'altra cartella
ilvigilante
Messaggi: 438
Iscritto il: giovedì 3 aprile 2014, 17:21

Re: Rm 5 - "tutti" o "molti"?

Messaggio da ilvigilante »

Ho letto lo studio di Gianni e sto meditando.
Devo rileggere Colossesi e Galati perché c'è qualcosa che non mi è chiaro.

Magari apro una discussione su Col 2:17
Rispondi