Il pane e la data dell'ultima cena

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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

Ho letto tutti gli studi di Gianni riguardo la pasqua e l'ultima cena. Sebbene presenti diversi indizi che farebbero pensare al fatto che il giorno della morte di Yeshùa (e quindi quello in cui ha cenato l'ultima volta) non fosse il primo giorno degli azzimi (quindi pesach), resto confuso leggendo i versetti che ho citato sopra, poichè appaiono straordinariamente chiari riguardo il fatto che quella cena fosse di pesach.
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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

Si, ho letto bene il tuo commento.
Ho voluto aggiungere il discorso sugli studi di Gianni per evidenziare il fatto che nonostante essi siano ben fatti e precisi, restano aperti molti interrogativi. Sembra che i sinottici tendano a indentificare l'ultima cena con quella pasquale, mentre leggendo Giovanni si è praticamente certi del contrario.
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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

In buona parte si. Però resta il fatto che ci sono delle incongruenze.
Butto li un'idea. E se il giorno fosse stato sia 14 che 15 nisan? Mi spiego: se non sbaglio tra farisei e sadducei c'era disaccordo circa la data corretta e forse i racconti evangelici sono davvero contrastanti perchè usano due presupposti diversi per il calcolo dei giorni...
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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

Per quanto posso vedere, mi sembra che tutti punti a due sistemi di "datazione" diversi per la stessa festività. Se non erro le varie correnti giudaiche avevano opinioni diverse circa il preciso giorno della festa...quindi perchè questa differenza non potrebbe riflettersi nei vangeli?
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bgaluppi
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da bgaluppi »

Dami, "il giorno degli azzimi" qui significa "venne il tempo degli Azzimi in cui si doveva immolare la pasqua. Spesso, anche in ebraico, sulla Bibbia troviamo il termine "giorno" usato nel senso "giunse il giorno in cui", "venne il tempo", "in quel giorno Dio farà questo o quello". Se leggi Luca, vedrai come in altre parti è chiarissimo che la cena non cadde all'inizio del 15 (14 dopo il tramonto), ma all'inizio del 14 (13 dopo il tramonto).
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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

Antonio, però la successione cronologica nel testo è difficilmente contestabile. La sequenza è:
-dove dobbiamo preparare la pasqua?
-vanno e preparano
-mangiano
Come si può controbattere ad un testo così chiaro?
Inoltre ho un altro dubbio: siamo sicuri che la parasceve si riferisse alla preparazione di pesach? Da quanto mi pare di capire tale termine è usato in riferimento allo shabbat e la pasqua non è shabbat per gli ebrei...
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bgaluppi
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da bgaluppi »

Dami, se mi dai un attimo guardo bene Lc 22 sul testo greco. È un po' che non ripasso questa parte relativa agli ultimi giorni di Yeshùa. Non c'è migliore momento di questo.
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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

Esatto, il periodo mi ha stimolato :)
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Daminagor
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da Daminagor »

Daminagor, dai una lettura a Lv 23: tutte le feste comandate da Dio sono giorni in cui ci astiene dal lavoro (quindi shabbàt, cessazione). Tra queste c'è Pesàch (vv. 4-8)
Vero, però stando a quanto leggo, pesach dura praticamente solo il tempo che intercorre tra il tramonto del 14 e l'oscurità (che fa entrare nel 15). Con il 15 entrano gli azzimi ma non è più pesach, quindi quel "primo giorno" in cui non bisogna lavorare parrebbe essere il primo degli azzimi. Mi pare di capire che però nella sostanza dei fatti gli ebrei fanno coincidere le due feste.
Sono sempre più confuso :-O
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bgaluppi
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Re: Il pane dell'ultima cena

Messaggio da bgaluppi »

Scusa, non ho tempo e scrivo in fretta, ma spero di essere abbastanza chiaro.

Yeshùa dice a Pietro e Giovanni di "preparare" la "pasqua". Che vuol dire preparare? E cosa intende per pasqua? Perché il termine ἑτοιμάζω (etoimàzo) vuol dire "allestire", "fare le necessarie preparazioni", e non sembra affatto riferirsi al sacrificio dell'animale, per cui viene usato un termine che ne indica l'uccisione (cfr. v. 7, θύω, thùo, "uccido", "sacrifico"). Piuttosto, il termine etoimàzo si riferisce agli allestimenti, quelli che concernono il giorno di preparazione. Il giorno di preparazione iniziava già il 13 di nissan (ricordo di aver già discusso ciò con Besasea o Noiman), poiché il 14 si doveva andare al tempio a sacrificare l'agnello e non era un'operazione che portava via poco tempo (il numero degli animali era notevole, e i sacrifici avvenivano in gruppi; Flavio parla di 255600 sacrifici). Il termine πάσχα (pàscha) significa sia “vittima sacrificale” che “Pesach” intesa come l'intera festa; ma può riferirsi anche al momento della consumazione della cena, che avviene però il 15 di nisàn.

Dunque, giunse il giorno degli Azzimi (o il tempo degli Azzimi) in cui si doveva sacrificare l'animale. Yeshùa manda i discepoli a “preparare la pasqua affinché la mangiamo”. Sembra che faccia riferimento alla cena, il che — però — presupponeva che l'agnello fosse prima sacrificato, preparato e cotto. E il testo non fa menzione di tutti questi particolari. I discepoli venivano da fuori città (v. 10), e non avrebbero avuto il tempo di prendere l'agnello, andare al tempio, aspettare il loro turno per il sacrificio che avveniva tra l'ora nona e l'ora undicesima (Flavio), poi spellarlo, pulirlo, cuocerlo e averlo pronto per la cena. I discepoli non sapevano neppure dove Yeshùa avrebbe voluto celebrare la pasqua (che non celebrò perché non c'era agnello): "Dove vuoi che la prepariamo?" (v. 9). Dunque dovevano ancora allestire, figuriamoci occuparsi dell'agnello.

I vv. 11-13 fanno chiarezza: “Il Maestro ti manda a dire: 'Dov'è la stanza nella quale mangerò la Pasqua con i miei discepoli?'" Ed egli vi mostrerà, al piano di sopra, una grande sala ammobiliata; qui apparecchiate». Essi andarono e trovarono com'egli aveva detto loro e prepararono la Pasqua.”. "Mangerò", dice la NR, nel futuro ma non necessariamente quella sera stessa (φάγω, cong. aoristo, dunque meglio "possa mangiare"); "la pasqua", certamente intesa come consumazione della cena pasquale, che sarebbe avvenuta il 15 (ma non avvenne mai); "qui apparecchiate", ossia preparate, allestite (ἑτοιμάζω, stesso verbo di prima). Si trattava di una stanza al primo piano, di proprietà di uno che conosceva Yeshùa (v. 10). Dunque, Yeshùa li manda a preparare la stanza dove avrebbero poi mangiato la pasqua; ma Yeshùa in quel momento non dice loro che sarebbe morto prima della cena di Pesach, altrimenti quelli sarebbero andati in panico.

Ho l'impressione che i discepoli non sapessero bene cosa aveva in mente Yeshùa e si limitino ad obbedire alle sue istruzioni, fiduciosi che avesse tutto sotto controllo. Di fatto, il testo non dice che i discepoli dovevano andare a sacrificare l'agnello e prepararlo per la cena pasquale, dice chiaramente che dovevano preparare Pesach in una stanza — indicatagli dal Maestro — dove poi avrebbero consumato la cena. Quel giorno, dunque, non poteva essere il 14.

“Quando giunse l'ora, egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui” (v. 14). Il testo ha:

Καὶ ὅτε ἐγένετο ἡ ὥρα, ἀνέπεσεν, καὶ οἱ ἀπόστολοι σὺν αὐτῷ.
E quando giunse l'ora, si distese [al tavolo] e gli apostoli con lui

Da dove si capirebbe che quella era la cena pasquale? Il testo dice solo che “giunse l'ora”: per cosa? Per la fatidica cena, ma non quella pasquale. Yeshùa si stende al tavolo, com'era consuetudine, e mangia una cena normale coi suoi discepoli. Il resto lo discutiamo in seguito.
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