Dio ha sempre perdonato direttamente agli uomini
In che senso Dio ha perdonato? Qual è la colpa che deve essere perdonata? È la trasgressione. Ma l'uomo continua a trasgredire, dunque è un continuo sbagliare ed essere perdonati, un circolo vizioso. Il che non ha senso, perché se l'uomo trasgredisce è in virtù del fatto che
non può obbedire, perché è fatto di carne e la carne obbedisce alle leggi della materia. Allora che senso ha essere perdonati sapendo che trasgrediremo di nuovo? Non se ne esce, oppure faremo come i cattolici, che vanno a confessarsi ogni volta per poi cominciare a peccare di nuovo e andare a confessarsi di nuovo. Dunque in cosa consiste veramente il perdono?
Altrimenti prima del messia come avrebbero potuto farlo? Non pregavano in nome del re di turno.
Infatti prima del messia non era possibile espiare le proprie colpe. Il fatto che l'espiazione doveva essere ripetuta lo dimostra. Tu puoi espiare una colpa attraverso un sacrificio, ma se poi pecchi di nuovo, la tua condizione è quella di partenza, dunque a cosa è servita l'espiazione? Lo spiega Eb 9:7: il sommo sacerdote entrava una volta l'anno per offrire doni e sacrifici continui volti all'espiazione delle sue colpe e di quelle del popolo. L'espiazione doveva essere ripetuta ogni anno proprio perché l'uomo continuava a trasgredire, non essendo in grado di obbedire in modo perfetto. Ora, l'espiazione è possibile in virtù del sacrificio del messia, che consiste in un estremo atto di amore per il prossimo; egli non ha offerto sangue animale, ma il suo:
“Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano, in modo da procurare la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” - Eb 9:13,14
Il sacrificio di Yeshùa ha il potere di svincolarci dal peccato, ci rende capaci di obbedire allo spirito pur avendo un corpo di carne. Quel potere è reale, come era reale quello del sacrificio espiatorio, altrimenti dovremmo pensare che Dio comandò di fare qualcosa di inutile. Il nuovo patto consiste nella riconciliazione tra Dio e l'uomo; quel sacrificio unico ha il potere di svincolarci dalla maledizione della morte e di renderci vivi: Dio non ci vede più come morti, ma come vivi, grazie all'atto di estremo amore di Yeshùa. Essendo
già vivi in virtù di Yeshùa, significa che non peccheremo, perché il peccato produce la morte.
Per amore per Dio, Abraamo legò suo figlio sull'altare; per amore per gli uomini, Yeshùa fu disposto a offrire il suo sangue. Egli morì perché gli altri non morissero. Non avrebbe ottenuto nulla offrendo capri e tori, dunque disse: “prendi me come offerta, e libera gli altri”. E Dio lo prese, ma non lo fece morire, come non fece morire Isacco. E non farà morire tutti quelli che credono nel nome del messia. “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” (Gv 15:13); e l'amore estremo, dimostrato attraverso il sacrificio di se stesso, rende l'uomo giusto davanti a Dio. Amare il prossimo come se stessi significa saper mettere il prossimo prima di noi stessi, se necessario; solo chi sa amare se stesso può far questo. Per essere a immagine e somiglianza di Dio, dobbiamo amare in modo incondizionato. Per questo il credente deve vivere “in lui” e pregare “in suo nome”; vivere in Cristo significa seguire il suo esempio, amare come lui amò, senza se e senza ma; pregare in suo nome significa essere certi che Dio ci ha già perdonati, poiché il messia ha espiato le nostre colpe una volta e per sempre ed è stato reso vivente.
Non significa che la preghiera passa attraverso Yeshùa, che la ode e la riporta a Dio, come molti credono; significa che la preghiera, che va a Dio, è fatta sulla base della fede in Yeshùa, garante del nuovo patto. Se si rifiuta Yeshùa, si rifiuta il patto, dunque si rifiuta la vita che Dio ci offre in virtù di quel patto. E se rifiutiamo quel patto, possiamo benissimo evitare di pregare in nome di Yeshùa, ma allora dovremo ricostruire il tabernacolo e ricominciare ad offrire capri e tori, continuare a peccare e chiedere di essere perdonati, in circolo. Se non offriremo capri e tori, come potremo sapere se Dio ci ha perdonati? La risurrezione di Yeshùa dimostra l'avvenuto perdono permanente di Dio.
Chi crede in quella risurrezione, crede che seguire l'esempio di Yeshùa è garanzia di vita, dunque di perdono (salvezza dalla nostra condizione di morte). Allora prega Dio in virtù di ciò che Yeshùa rappresenta: il nuovo patto, la redenzione definitiva. Prima di Yeshùa non si pregava in nome di niente e nessuno perché non ce n'era motivo. Adesso, chi crede che Yeshùa sia il mezzo per la redenzione eterna, prega in suo nome, sulla base del patto che ha sancito, che è garanzia di perdono. Prima di Mosè non esisteva il tabernacolo e non esisteva il Giorno delle Espiazioni; venuto lui, fu costruito il tabernacolo ed istituito il sacrificio. Prima di Yeshùa non esisteva retribuzione ultraterrena; venuto lui, l'uomo sa che Dio non ci ha creati a Sua immagine e somiglianza e resi viventi per poi morire. In questo consiste la salvezza: il passaggio ad una nuova e più meravigliosa condizione di completezza, a cui eravamo destinati sin da prima della creazione del mondo.
La verità si rivela nella Bibbia in modo progressivo; gli ebrei si sono fermati a Mosè e ai profeti perché non hanno riconosciuto Yeshùa. Altri lo hanno riconosciuto e dunque hanno potuto vedere l'ulteriore rivelarsi del disegno di Dio. Se facciamo il discorso di voler pregare come pregavano "prima", allora bisognerebbe capire come pregava Adamo, che non aveva bisogno di tabernacolo né di alcun rito. Mosè, nel suo tempo, fece ciò che doveva essere fatto in quel tempo. Yeshùa, nel suo tempo, fece il suo. Poi il tempio fu distrutto e quell'evento ha dimostrato quanto fossero vere le sue parole: “Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori.” (Gv 4:23). Prima si andava a pregare al tempio; ora si prega in nome di Yeshùa, che è il nuovo tempio che può ospitare Dio, la Shekhinàh, e noi siamo in lui; noi siamo in lui, lui è in Dio, dunque Dio è in noi.
Sono concetti molto difficili, faccio fatica a formularli in poco tempo.