Mt 6:13
Inviato: lunedì 12 febbraio 2018, 8:19
Questo versetto causa spesso dibattito. Allora provo a fare un'analisi e alcune considerazioni, per proporre una lettura meno "cristiana" e più "ebraica". Vediamo innanzitutto tre traduzioni con sfumature diverse:
“e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno” (NR)
“e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male” (CEI)
“E non farci cadere in tentazione, ma liberaci dal Malvagio” (TNM)
Queste traduzioni hanno punti in comune e differenze. NR e TNM identificano il male con satana, "il maligno" (TNM usa addirittura la lettera maiuscola attribuendo il senso di nome proprio). TNM interpreta la tentazione o come proveniente dall'uomo, che chiede aiuto per non cadere in tentazione — il che può essere giusto, biblicamente parlando (cfr. 1Cor 10:13) — o come proveniente da Dio, che farebbe cadere in tentazione — il che è sbagliato, biblicamente parlando (cfr. Gc 1:13) — e attribuisce al verbo εἰσφέρω (eisfèro) un significato che non ha. CEI sembra dire che Dio induce in tentazione, il che non è propriamente corretto (cfr. Gc 1:13); Dio, al limite, mette alla prova, non tenta. NR traduce cercando di ovviare al significato proprio del verbo εἰσφέρω, per evitare di dire che Dio induce in tentazione, e propone un senso che il verbo propriamente non esprime, ma che può essere accettato se consideriamo il senso traslato: “esporre a”. Ma, di nuovo, Dio non ci espone alla tentazione, siamo noi stessi a farlo. Tutte e tre le traduzioni danno al vocabolo πειρασμός (peirasmòs) il senso negativo di “tentazione”.
Vediamo se è possibile una traduzione alternativa, che potrebbe rivelare un significato diverso nelle parole di Yeshùa. I vocaboli da analizzare sono εἰσφέρω (eisfèro), πειρασμός (peirasmòs) e πονηρός (poneròs).
εἰσφέρω è composto dalla preposizione propria εἰς (eis) e che significa in (luogo), verso (tempo), per (scopo), e dal verbo φέρω (fèro), che significa porto, conduco. Il significato di questo vocabolo composto è dunque condurre in, portare in, letteralmente o in senso figurato. È usato 8 volte nelle Scritture Greche.
πειρασμός è la prova, il test, anche in senso negativo di avversità e tentazione nelle Scritture Greche (il senso si capisce dal contesto). Deriva dal verbo πειράζω (peiràzo), che significa metto alla prova, (in s. neg. sollecito, tento) e corrisponde all’ebraico נָסָה (nasah), mettere alla prova. Il termine ebraico, tuttavia, non ha il senso tardo e negativo di “tentare” che troviamo nelle Scritture Greche.
πονηρός è un aggettivo che significa cattivo, di cattiva natura. Se sostantivato, si riferisce a persona o a cosa, e si traduce il malvagio (l’uomo malvagio, o il maligno con riferimento a satana, al maschile sing. o plur.), il male, ciò che è male, l’atto sbagliato (al neutro, sing. o plur.).
Proviamo innanzitutto a fare una traduzione letterale del versetto, applicando questi significati:
καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ
e non portare noi in una prova, ma piuttosto [μὴ... ἀλλὰ intensivo] libera noi da ciò che è male [al neutro]
Adesso faccio alcune considerazioni. Innanzitutto trovo un po' tendenzioso tradurre poneròs sostantivato intendendolo al maschile con “il maligno” (riferito a satana). Sostantivando il neutro, invece, il senso è sempre quello di “ciò che è male”, sia al singolare che al plurale (to poneròn, ta ponerà). Potremmo prendere tu ponerù come un maschile, e tradurre “il maligno”. Ma che senso ha chiedere di essere liberati dal maligno? Sembra una dottrina che profuma di religoso, secondo cui siamo in potere del maligno e dunque dobbiamo esserne liberati. Cristo ci libera già “dal maligno”, nel senso che il peccato non ha più potere su di noi (cfr. 1Gv 3:8,9 e vedi considerazioni al mio commento successivo). Pensare che un credente sia in potere del maligno è una dottrina che sa di "apostasia". Il mondo è in potere del maligno, non i credenti che seguono Cristo; al limite si può parlare del maligno in senso figurato, visto che comunque anche il mondo non è governato letteralmente da satana, ma dalla potenza di Dio (la "parola"), come tutta la creazione. Ma allora cosa intende Yeshùa?
In secondo luogo, se consideriamo il pensiero ebraico, secondo cui Dio mette alla prova e non tenta (Gn 22:1; Sl 26:2), e non può essere tentato né deve essere messo alla prova (Gc 1:13; Dt 6:16); e considerando il senso intensivo che la seconda proposizione acquista in virtù della doppia negazione μὴ... ἀλλὰ; e in virtù del fatto che ta ponerà, o to poneròn, “ciò che è male”, riguarda il peccato, ossia la violazione dei comandamenti — poiché “il male”, da un punto di vista biblico, è la trasgressione (1Gv 3:4) —, ritengo che Yeshùa qui stia affermando: “non metterci alla prova, ma piuttosto liberaci dal peccato” (non quello cosiddetto "originale", ma quello del singolo individuo), ossia “aiutaci a non sbagliare”, a dominare noi stessi, a non commettere “ciò che è male”, ossia contrario ai comandamenti. Dunque, tradurrei:
“e non metterci alla prova, ma piuttosto liberaci dal male”
Che ne pensate?
“e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno” (NR)
“e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male” (CEI)
“E non farci cadere in tentazione, ma liberaci dal Malvagio” (TNM)
Queste traduzioni hanno punti in comune e differenze. NR e TNM identificano il male con satana, "il maligno" (TNM usa addirittura la lettera maiuscola attribuendo il senso di nome proprio). TNM interpreta la tentazione o come proveniente dall'uomo, che chiede aiuto per non cadere in tentazione — il che può essere giusto, biblicamente parlando (cfr. 1Cor 10:13) — o come proveniente da Dio, che farebbe cadere in tentazione — il che è sbagliato, biblicamente parlando (cfr. Gc 1:13) — e attribuisce al verbo εἰσφέρω (eisfèro) un significato che non ha. CEI sembra dire che Dio induce in tentazione, il che non è propriamente corretto (cfr. Gc 1:13); Dio, al limite, mette alla prova, non tenta. NR traduce cercando di ovviare al significato proprio del verbo εἰσφέρω, per evitare di dire che Dio induce in tentazione, e propone un senso che il verbo propriamente non esprime, ma che può essere accettato se consideriamo il senso traslato: “esporre a”. Ma, di nuovo, Dio non ci espone alla tentazione, siamo noi stessi a farlo. Tutte e tre le traduzioni danno al vocabolo πειρασμός (peirasmòs) il senso negativo di “tentazione”.
Vediamo se è possibile una traduzione alternativa, che potrebbe rivelare un significato diverso nelle parole di Yeshùa. I vocaboli da analizzare sono εἰσφέρω (eisfèro), πειρασμός (peirasmòs) e πονηρός (poneròs).
εἰσφέρω è composto dalla preposizione propria εἰς (eis) e che significa in (luogo), verso (tempo), per (scopo), e dal verbo φέρω (fèro), che significa porto, conduco. Il significato di questo vocabolo composto è dunque condurre in, portare in, letteralmente o in senso figurato. È usato 8 volte nelle Scritture Greche.
πειρασμός è la prova, il test, anche in senso negativo di avversità e tentazione nelle Scritture Greche (il senso si capisce dal contesto). Deriva dal verbo πειράζω (peiràzo), che significa metto alla prova, (in s. neg. sollecito, tento) e corrisponde all’ebraico נָסָה (nasah), mettere alla prova. Il termine ebraico, tuttavia, non ha il senso tardo e negativo di “tentare” che troviamo nelle Scritture Greche.
πονηρός è un aggettivo che significa cattivo, di cattiva natura. Se sostantivato, si riferisce a persona o a cosa, e si traduce il malvagio (l’uomo malvagio, o il maligno con riferimento a satana, al maschile sing. o plur.), il male, ciò che è male, l’atto sbagliato (al neutro, sing. o plur.).
Proviamo innanzitutto a fare una traduzione letterale del versetto, applicando questi significati:
καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ
e non portare noi in una prova, ma piuttosto [μὴ... ἀλλὰ intensivo] libera noi da ciò che è male [al neutro]
Adesso faccio alcune considerazioni. Innanzitutto trovo un po' tendenzioso tradurre poneròs sostantivato intendendolo al maschile con “il maligno” (riferito a satana). Sostantivando il neutro, invece, il senso è sempre quello di “ciò che è male”, sia al singolare che al plurale (to poneròn, ta ponerà). Potremmo prendere tu ponerù come un maschile, e tradurre “il maligno”. Ma che senso ha chiedere di essere liberati dal maligno? Sembra una dottrina che profuma di religoso, secondo cui siamo in potere del maligno e dunque dobbiamo esserne liberati. Cristo ci libera già “dal maligno”, nel senso che il peccato non ha più potere su di noi (cfr. 1Gv 3:8,9 e vedi considerazioni al mio commento successivo). Pensare che un credente sia in potere del maligno è una dottrina che sa di "apostasia". Il mondo è in potere del maligno, non i credenti che seguono Cristo; al limite si può parlare del maligno in senso figurato, visto che comunque anche il mondo non è governato letteralmente da satana, ma dalla potenza di Dio (la "parola"), come tutta la creazione. Ma allora cosa intende Yeshùa?
In secondo luogo, se consideriamo il pensiero ebraico, secondo cui Dio mette alla prova e non tenta (Gn 22:1; Sl 26:2), e non può essere tentato né deve essere messo alla prova (Gc 1:13; Dt 6:16); e considerando il senso intensivo che la seconda proposizione acquista in virtù della doppia negazione μὴ... ἀλλὰ; e in virtù del fatto che ta ponerà, o to poneròn, “ciò che è male”, riguarda il peccato, ossia la violazione dei comandamenti — poiché “il male”, da un punto di vista biblico, è la trasgressione (1Gv 3:4) —, ritengo che Yeshùa qui stia affermando: “non metterci alla prova, ma piuttosto liberaci dal peccato” (non quello cosiddetto "originale", ma quello del singolo individuo), ossia “aiutaci a non sbagliare”, a dominare noi stessi, a non commettere “ciò che è male”, ossia contrario ai comandamenti. Dunque, tradurrei:
“e non metterci alla prova, ma piuttosto liberaci dal male”
Che ne pensate?