Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

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Gianni
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Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da Gianni »

Sto scrivendo l’esegesi delle lettere ai corinti che, a Dio piacendo, pubblicherò in tre volumi. Come testo sto usando la nuova versione del 2017 di TNM, per metterla alla prova.

Propongo alla discussione un brano molto difficile (1Cor 7:36-38), le cui difficoltà non sono ancora state risolte dagli studiosi. Allego la bozza. Buona discussione! :-)
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bgaluppi
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da bgaluppi »

Stimolante. Provo a tradurlo prima senza leggere la bozza. Mi ci vorrà un po' perché è davvero complicato.
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Israel75
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da Israel75 »

:-)
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
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bgaluppi
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da bgaluppi »

Caro Gianni, ho voluto fare innanzitutto un’analisi obbiettiva, senza l’ausilio della tua bozza né di altre traduzioni, per produrre una mia traduzione personale senza essere influenzato. Tratterò un versetto alla volta per poi fare considerazioni in coda e presentare una proposta di traduzione.

36 Εἰ δέ τις ἀσχημονεῖν ἐπὶ τὴν παρθένον αὐτοῦ νομίζει, ἐὰν ᾖ ὑπέρακμος, καὶ οὕτως ὀφείλει γίνεσθαι, ὃ θέλει ποιείτω· οὐχ ἁμαρτάνει· γαμείτωσαν.

Εἰ δέ va tradotto “se poi”, εἰ τίς va tradotto “se qualcuno”, nel senso di “se ci fu mai qualcuno” (Rocci; Thayer). Dunque, εἰ δέ τις deve essere reso con “se poi qualcuno mai”. παρθένος è una “vergine”, ma anche una “giovane donna non maritata”, che nelle Scritture Greche equivale ad una vergine; qui ha l’articolo ed è seguita da αὐτοῦ (pronome possessivo alla terza persona singolare maschile), dunque “la vergine di lui”, ossia la vergine di quel τις nominato prima (“qualcuno”, pronome indefinito al nominativo singolare maschile, che è il soggetto della frase). νομίζω significa “ho per costume”, “ho per consuetudine”, “sono solito”, ma anche “penso”, “stimo”, “credo”. La congiunzione ipotetica ἐὰν “serve ad indicare l’eventualità generale: differisce da εἰ, perché questa denota il puro nesso logico, ἐὰν invece riflette specialmente il fatto pratico” (Rocci). ὑπέρακμος è un aggettivo al nominativo singolare e può essere riferito a τίς oppure a τὴν παρθένον (sarà il contesto a suggerire il riferimento corretto); significa “oltre il fiore della giovinezza”, “troppo maturo”, “in età avanzata”. γαμέω significa propriamente “offrire se stesso in matrimonio”, dunque “sposarsi”; il Tayer riporta anche un’analogia di significato con il verbo γαμίσκω, “dare in matrimonio”, ma lo fa proprio in funzione di questo versetto. Anche il Rocci riporta il significato affine di “dare in moglie” se riferito ai genitori, ma in questo contesto non si parla di genitori, ma del rapporto di coppia. Comunque, tratterò questo problema nelle considerazioni finali.

Traduzione proposta:

Se poi qualcuno mai ritiene di agire impropriamente contro la sua [fidanzata] vergine, nell’eventualità che [ella] fosse oltre il fiore della sua giovinezza (troppo matura), e [se] così deve avvenire, [egli] faccia ciò che vuole, non commette trasgressione, si sposi.

37 ὃς δὲ ἕστηκεν ἐν τῇ καρδίᾳ αὐτοῦ ἑδραῖος μὴ ἔχων ἀνάγκην, ἐξουσίαν δὲ ἔχει περὶ τοῦ ἰδίου θελήματος, καὶ τοῦτο κέκρικεν ἐν τῇ ἰδίᾳ καρδίᾳ, τηρεῖν τὴν ἑαυτοῦ παρθένον, καλῶς ποιήσει.

ἕστηκεν è il perfetto indicativo di ἵστημι, e perciò ha valore intransitivo e in questo caso, seguito dal participio di qualità ἑδραῖος, significa “essere saldo”, “non esitare”. καὶ τοῦτο ha valore dimostrativo, “e in questo modo”, e può riferirsi sia a ciò che precede che a ciò che segue (in questo caso a ciò che precede).

Traduzione proposta:

Invece, colui che resta saldo nel suo cuore, non avendo costringimento, e detiene controllo sulla sua stessa volontà, e perciò ha deciso in cuor suo di preservare la sua [fidanzata] vergine, agirà giustamente.

38 ὥστε καὶ ὁ γαμίζων τὴν ἑαυτοῦ παρθένον καλῶς ποιεῖ, καὶ ὁ μὴ γαμίζων κρεῖσσον ποιήσει.

ὥστε ha valore consecutivo, e collega ciò che precede con ciò che segue: “in virtù di quanto detto”. καὶ aggiunge un altro caso che Paolo esemplifica in virtù di quanto detto precedentemente: “anche colui che...”.

Traduzione proposta:

Perciò, anche colui che dà in sposa la sua [figlia] vergine agisce giustamente e colui che non la dà in sposa agisce meglio.

La mia traduzione finale:

Se poi qualcuno mai ritiene di agire impropriamente nei confronti della sua [fidanzata] vergine, nell’eventualità che [ella] fosse troppo matura, e [se] così deve avvenire, [egli] faccia ciò che vuole, non commette trasgressione: si sposi. Invece, colui che resta saldo nel suo cuore, non avendo costringimento, e detiene controllo sulla sua stessa volontà, e perciò ha deciso in cuor suo di preservare la sua vergine, agirà giustamente [non sposandosi]. Perciò, anche colui che dà in sposa la sua [figlia] vergine agisce giustamente e colui che non la dà in sposa agisce meglio.

Propongo questa traduzione in virtù di quanto segue. Al v.38 Paolo usa il verbo γαμίσκω, che significa inequivocabilmente “far sposare”, “dare q.no in matrimonio”; invece, al v.36 usa γαμέω, che significa principalmente “sposarsi”, ma anche “dare in matrimonio”. A mio parere, dunque, i vv. 36 e 37 trattano i casi di chi è in dubbio se sposarsi oppure no a motivo dell’età avanzata della fidanzata vergine: chi si fa problemi per l’età della fanciulla ma vuole sposarsi, può sposarsi; chi, invece, non si fa problemi e non esita, e sceglie di non sposarsi per preservare la verginità della ragazza essendo ormai in età avanzata, farà bene a non sposarsi. Al v. 38, invece, Paolo tratta il caso di un padre che decide o meno di dare in sposa la sua vergine, e ciò si evince dalla scelta del verbo γαμίσκω; se al v.36 Paolo parlasse di un padre e della sua figlia vergine, avrebbe usato lo stesso verbo usato al v. 38. Perché usare due verbi diversi? Perché al v.38 usare γαμίσκω che ha un significato inequivocabile e, invece, al v.36 usare γαμέω senza specificare che si tratta di una figlia vergine? Inoltre, Paolo dice: “perciò anche colui che”; il καὶ è importante e deve essere tradotto, perché aggiunge una nuova possibilità in virtù (ὥστε) di quanto detto fino a quel momento; mi pare che Paolo, dopo aver trattato i casi di chi vuole sposarsi, alla fine aggiunga anche il caso del padre che deve far sposare o meno la figlia. In questo modo, dà consigli ai fidanzati e anche ai padri. Il contesto riguarda le vergini e i versetti in questione devono essere valutati alla luce di quanto detto a partire dal v. 25. Lascio queste valutazioni ad un passo successivo. Per adesso mi sono limitato solo a fare un’analisi obbiettiva alla luce del greco.
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Gianni
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da Gianni »

Grazie, Antonio, per la tua analisi. Questa discussione – a cui tutti sono invitati - mi aiuterà ad approfondire meglio il brano per una possibile revisione della mia esegesi in vista della sua pubblicazione nel libro che sto scrivendo.

Noto che tu tiri in ballo in verbo γαμίσκω, che secondo me è del tutto assente nel brano. Tale verbo lo troviamo infatti solo in Lc 20:34: “I figli di questo mondo sposano e sono sposati [γαμίσκονται]”.
In 1Cor 7:36-38 troviamo invece altri due verbi.

Molto interessante la tua esegesi secondo cui si parla prima del fidanzato e poi del padre della ragazza.
Ho tuttavia delle osservazioni.
Nel primo caso (fidanzato) parli di preservare la verginità della ragazza ormai in età avanzata. E perché mai avrebbe dovuto farlo? In Israele la verginità non era affatto un ideale di vita, al contrario. Le ragazze si sposavano giovani e ambivano ad avere figli; non averne era considerata una maledizione. Avremmo quindi, nella tua ipotesi, un fidanzato che – non si sa perché mai – tiene molto alla verginità della sua ragazza. E costei, poi, non avrebbe voce in capitolo? Se così fosse, Paolo avrebbe fatto un rimprovero. Se ad agire così era invece il padre, diventa più comprensibile, considerato il ruolo di padre-padrone che la società di allora gli attribuiva. In più, tu traduci il plurale γαμείτωσαν del v. 36 con il singolare “si sposi”.

Tradurre il καὶ iniziale del v. 38 con “anche” sarebbe possibile in sé, ma se non ci fosse poi un secondo καὶ; il che va tradotto “e … e …”, con il senso di “sia il … sia il …”.

La discussione continua … :-)
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Gianni
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da Gianni »

Vorrei coinvolgere anche Noiman in questa discussione. A suo beneficio allego la traduzione ebraica di 1Cor 7:36-38, chiedendogli - se vuole - di fare le sue osservazioni sul pensiero del traduttore ebreo che traspare dalla sua traduzione. Grazie.
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bgaluppi
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da bgaluppi »

Vero, Gianni, non ho considerato il doppio καὶ, il che cambia molto. Comunque, ti spiego il mio pensiero.

Il primo caso riguarderebbe un fidanzato lento nel decidersi, che non ha ancora sposato la sua fidanzata perché la fanciulla è in là con gli anni ed esita a sposarla per la stessa ragione (è un fidanzato "instabile nel cuore"); dunque ritiene di agire male nei suoi confronti, poiché sa che per lei è importante sposarsi.

Se poi qualcuno mai ritiene di agire impropriamente nei confronti della sua [fidanzata] vergine, nell’eventualità che [ella] fosse troppo matura, e [se] così deve avvenire, [egli] faccia ciò che vuole, non commette trasgressione: si sposi.

Il secondo caso riguarda chi, invece, davanti allo stesso problema enunciato - cioè l'età avanzata della ragazza - non si fa problemi, ossia è sereno perché sa ciò che vuole; a costui, Paolo consiglia di lasciarla libera e non sposarsi, facendo bene sia per sé che per lei. Ho pensato questo in virtù di quanto detto ai vv. 26-27, 32-35.

Invece, colui che resta saldo nel suo cuore, non avendo costringimento, e detiene controllo sulla sua stessa volontà, e perciò ha deciso in cuor suo di preservare la sua vergine, agirà giustamente [non sposandosi].

Perché dici che γαμίσκω è del tutto assente nel brano? Non abbiamo forse γαμίζων (Strong 1061) al v.38 e γαμείτωσαν (Strong 1060) al v.36? I due termini sono diversi, perché non usare lo stesso verbo?

γαμίσκω mi risulta compaia 7 volte nelle Scritture Greche: Mt 22:30; 24:38; Mr 12:25; Lc 17:27; 20:34, 35; 1Cor 7:38 (2 volte). γαμέω compare invece 29 volte.
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Gianni
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da Gianni »

Grazie, Antonio. Noto che rimani sulla tua interpretazione: fidanzato prima e padre poi. Non lo escludo, ma vorrei rifletterci meglio. Ho avviato questa discussione proprio per essere aiutato a comprendere meglio, se possibile. Rinnovo quindi l’invito a tutti di partecipare.

Quanto ai verbi, al v. 36 abbiamo γαμείτωσαν, imperativo presente plurale (che tu continui a tradurre al singolare) del verbo γαμέω.
Al v. 38 abbiamo per due volte γαμίζων, participio presente del verbo γαμίζω.
Che mai c’entra γαμίσκω?
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bgaluppi
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da bgaluppi »

Hai ragione sul plurale. Mi veniva di tradurlo al singolare, non so perché. Mi sono basato sul Thayer, che fa derivare γαμίζων da γαμίσκω (Strong 1061), che è equivalente a γαμίζω:

http://biblehub.com/greek/1061.htm" onclick="window.open(this.href);return false;

Comunque, anche con γαμίζω e γαμέω il problema resta. Il primo significa propriamente "dare in moglie" se all'attivo ("prendere in moglie" se al medio, ma qui è attivo), mentre il secondo significa sia "sposarsi" che "dare in moglie" (se al medio può riferirsi ai genitori, e dunque "dare in moglie", ma qui è attivo): perché usare γαμέω al v.36 e invece usare γαμίζω (o γαμίσκω) al v.38, se si parla in ambedue i versetti del padre e della figlia?
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bgaluppi
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Re: Il difficile brano di 1Cor 7:36-38

Messaggio da bgaluppi »

Per chiarire, il Rocci ci dà queste indicazioni:

γαμέω, "prendo in moglie", "sposo q.no"; al medio, dei genitori, "do moglie / marito ai figli"
γαμίζω, "do in matrimonio"; al medio, "prendo in sposa / sposo"
γαμίσκω = γαμίζω

Sulla base di ciò: abbiamo γαμέω alla terza pers.plur. dell'imperativo presente attivo nel v.36, mentre abbiamo γαμίζω (o γαμίσκω) alla prima pers. sing. del participio presente attivo nel v.38. Significa che γαμείτωσαν (v.36) dovrebbe essere tradotto "si sposino!", mentre γαμίζων dovrebbe essere tradotto "dante in matrimonio". Mi chiedo perché mai Paolo utilizzi questi due verbi, invece di utilizzarne uno, se il senso dei due versetti è lo stesso.

In Lc 20:34 sono usati sia γαμέω (pres. ind. attivo) che γαμίσκω (pres.ind. medio passivo), proprio per differenziare tra chi sposa e chi è preso / dato in sposo.

Mi piacerebbe chiarire perché mai il Thayer indichi γαμίζων come participio da Strong 1061, γαμίσκω, da γάμος, "matrimonio"...

Allora ripropongo la mia traduzione (temporanea, fino ad eventuali nuove considerazioni), corretta in base alle tue giuste osservazioni:

Se poi qualcuno mai ritiene di agire impropriamente nei confronti della sua [fidanzata] vergine, nell’eventualità che [ella] fosse troppo matura, e [se] così deve avvenire, [egli] faccia ciò che vuole, non commette trasgressione: si sposino! Invece, colui che resta saldo nel suo cuore, non avendo costringimento, e detiene controllo sulla sua stessa volontà, e perciò ha deciso in cuor suo di preservare la sua vergine, agirà giustamente [non sposandosi]. Sulla base di ciò, colui che dà in sposa la sua [figlia] vergine agisce giustamente e colui che non la dà in sposa agisce meglio.

Tutto ciò deve essere valutato in base a quanto detto ai vv. 26-35.
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