1 Pietro 4:6

trizzi74
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da trizzi74 »

Ciao bgaluppi, grazie per la tua trattazione sulle particelle μέν/δέ e la congiunzione ἵνα, anche se ti avevo specificato di leggere il punto 2a) dove l’autore spiega il motivo per cui la frase “Il giudizio secondo gli uomini nella carne” può non essere un riferimento alla morte.
Anche se non entro in merito al significato delle particelle/congiunzione che tu hai spiegato, voglio precisare che la congiunzione ἵνα non è detto che sia “sempre finale”. Il dizionario esegetico del N.T. afferma che questa congiunzione può essere anche consecutivo. Riguardo a questa congiunzione di questo versetto dice testualmente “ Per 1 Pt. 4:6 è proposto il valore causale ( Moulton iv 130)”.
Del resto sono d’accordissimo con te quando dici che “si tratta di capire innanzitutto chi siano "i morti" e cosa significhi "essere giudicati in carne" e "vivere in spirito".
In genere le alternative sono tre:
1) si riferisce a coloro che sono spiritualmente morti nel peccato
2) a coloro che hanno ascoltato e hanno creduto all'evangelo e poi sono morti
3) a coloro che sono morti senza udire o credere all'evangelo
Tu per quale propendi?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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trizzi74
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da trizzi74 »

Ciao Gianni, nel tuo studio scrivi:
Si parla di condanna: “Dopo aver subìto nel corpo il giudizio” (4:6). Il giudizio cui sono sottoposti è una punizione: κριθῶσι (krithòsi), “fossero giudicati” (TNM). Ma è un “giudizio comune a tutti gli uomini”, “nel corpo” (4:6). “Giudicati in quanto alla carne dal punto di vista degli uomini” (TNM). È una condanna che si vede: è la morte comune a tutti."
Il testo interlineare della San Paolo ( 2014) dice testualmente:
"così che siano giudicati secondo gli uomini nella carne."
Non capisco da dove salta fuori la frase che ho sottolineato.
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bgaluppi
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da bgaluppi »

la congiunzione ἵνα non è detto che sia “sempre finale”. Il dizionario esegetico del N.T. afferma che questa congiunzione può essere anche consecutivo
Se controlli l'uso della congiunzione, ti accorgerai che è quasi sempre finale (del resto, sulla mia grammatica di greco e sul Rocci, ìna è definita congiunzione finale, con eccezioni giustificate dal contesto e dalla presenza di verbi che esprimono volontà, desiderio). Nei casi in cui non lo è, il contesto esprime chiaramente il suo valore. In questo versetto, abbiamo èis tùto con valore dimostrativo: per questo (èis tùto)... perché, affinché (ìna). Come spiega il Thayer, la frase finale è preceduta da una espressione dimostrativa preparatoria: εἰς τοῦτο (Winer's Grammar, § 23, 5). Qui il valore finale è chiarissimo: per questo il vangelo è stato annunciato, perché, affinché, con lo scopo di. Comunque, io volevo far notare come non esista subordinazione della proposizione con mèn rispetto a quella con , dunque la traduzione della NR è ingiustificata e illogica da un punto di vista grammaticale e sintattico. La Diodati, invece, traduce correttamente (e anche la TNM).

Il valore causale non è diverso da quello finale: indica il verificarsi di qualcosa determinato da una ragione sicuramente individuabile come causa. In questo caso, la causa è la proclamazione del vangelo, l'effetto è il giudizio in carne e la vita in spirito.

Per quanto riguarda i morti, non sono ancora in grado di esprimermi, perché non ho ancora ben compreso il senso di questo versetto. Devo leggere lo studio di Gianni, ragionare, e appena capisco qualcosa te lo dico. ;)
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da Gianni »

Ciao Trizzi. La frase che hai sottolineato (“comune a tutti gli uomini”) è presa dalla Nuova Riveduta del 1994; l’altra (“nel corpo”) è presa sempre dalla stessa versione, che così traduce 1Pt 4:6: “Infatti per questo è stato annunziato il vangelo anche ai morti; affinché, dopo aver subíto nel corpo il giudizio comune a tutti gli uomini, possano vivere mediante lo Spirito, secondo la volontà di Dio”.
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da bgaluppi »

Ciò che non mi torna della traduzione della NR è l'uso del valore condizionale e concessivo, tradotto in italiano con un gerundio, che secondo me il testo non esprime. Se avesse voluto esprimerlo, avrebbe utilizzato il participio aoristo del verbo krìno, come fa Rm 1:21: γνόντες τὸν Θεὸν οὐχ ὡς Θεὸν ἐδόξασαν, pur avendo conosciuto il Dio, non Lo hanno glorificato come Dio; o Eb 11:39: Καὶ οὗτοι πάντες μαρτυρηθέντες διὰ τῆς πίστεως οὐκ ἐκομίσαντο τὴν ἐπαγγελίαν, Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso. Altri esempi sono Fil 8; At 28:4; 1Cor 9:19; 2Cor 11:19 e altri.

In 1Pt 4:6 non abbiamo un participio, ma due congiuntivi, retti da ìna: affinché fossero giudicati, affinché vivessero. Se manteniamo questa costruzione, il significato cambia. Infatti, come possono i "morti" fisici vivere secondo lo spirito? A questo punto, propongo un'esegesi diversa.

Il verbo κρίνω significa propriamente separare, distinguere, scegliere, preferire. E σάρξ significa carne, ma in opposizione a πνεῦμα indica il corpo, ossia la natura umana carnale; in 1Pt 4:1 è detto che il Cristo soffrì nella carne (παθόντος σαρκὶ, al semplice dativo senza articolo), ossia soffrì in virtù della sua natura umana, e nei vv. 2-4 insiste sulla necessità di vivere in spirito, secondo Dio, pur essendo sottoposti all'influenza della natura umana. Si tratta di vivere la vita terrena rinunciando al peccato, questo è il fine (ìna) del vangelo (v.1):

“Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi dello stesso pensiero, che, cioè, colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato, per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne, non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio [vita terrena non in funzione delle passioni, ma in funzione dello spirito, cfr. Rm 8:4,5]. Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche. Per questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi.” (vv. 1-4).

Pietro spiega che il vangelo è stato annunciato anche ai "morti", ossia ai pagani (non facenti parte del patto, questa è la mia interpretazione) perché vivessero secondo lo spirito, non secondo le passioni della carne a cui erano avvezzi, e dunque fossero “distinti” e “separati” dai loro compari pagani che insistono nelle dissolutezze, i quali li vedono come "strani", poiché non si comportano più come loro. Del resto, secondo il pensiero ebraico (Maimonide spiega bene questo concetto), i pagani sono "morti", poiché lontani dall'insegnamento di Dio; dunque, qui Pietro potrebbe far riferimento proprio ai pagani, gli stranieri.

Sulla base di tutto ciò, il significato del v. 6 potrebbe essere molto diverso. Anche Paolo, in Rm 8:4,5, invita i credenti a vivere secondo lo spirito e non secondo la carne.

Gianni e Trizzi, che ne pensate?

PS: questa esegesi è esposta in modo un po' frettoloso, cercherò di rielaborarla in modo più ordinato e accurato, e vediamo se può esser degna di essere presa in considerazione. ;)
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da Gianni »

Antonio, ho letto le tue osservazioni. Partiamo dalla traduzione letterale di 1Pt 4:6:
εἰς τοῦτο γὰρ καὶ νεκροῖς εὐηγγελίσθη
per questo infatti anche a morti fu annunciata la buona notizia
ἵνα κριθῶσι μὲν κατὰ ἀνθρώπους σαρκὶ ζῶσι δὲ κατὰ θεὸν πνεύματι
affinché fossero giudicati mentre secondo uomini per carne vivessero invece secondo Dio in spirito

L’èis iniziale, che letteralmente significa “verso” ed indica il moto a luogo, ha qui un senso finale indicando scopo, che viene poi chiarito dal successivo ìna, “affinché”.

Il gar, “infatti”, fa riferimento a quanto detto prima: “Ne renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti” (v. 5).

Fin qui abbiamo che vivi e morti saranno giudicati e per questo fatto (“infatti”), ci fu la predicazione anche ai morti.

Il contesto non parla di vivi e morti in senso spirituale, perché saranno i vivi e i morti fisicamente che saranno giudicati al tempo del ritorno di Yeshùa. Al ritorno di Yeshùa, oltre ai morti ci saranno anche dei vivi, che saranno trasformati (1Ts 4:13-17). Tutti, vivi e morti, compariranno davanti al trono di Dio per essere giudicati.

Siccome i morti del v. 5 lo sono fisicamente, anche quelli del v. 6 sono tali. Non ci è consentito fare voli di fantasia e intenderli diversamente. In più l’evangelizzazione comporta l’accettazione o il rifiuto, per cui non può essere fatta ai morti!
In che senso allora ci fu la predicazione ai morti? L’aoristo indicativo passivo euenghelìsthe indica un’azione passata. Non si tratta di predicazione fatta ora, ma che è già stata compiuta. I morti a cui era stata fatta sono morti ora, ma prima erano vivi. A costoro fu predicato “affinché fossero giudicati”; anche qui l’aoristo congiuntivo passivo indica un’azione passata. Il katà + accusativo indica “secondo” ovvero dal punto di vista di; katà anthòpus vuol dire “secondo uomini”, cioè dal punto di vista umano. Il dativo sarkì è un dativo strumentale che indica la causa efficiente, che si riscontra in greco soprattutto con i verbi passivi (e qui l’abbiamo: krithòsi); il senso è ‘a causa della carne’. Costoro morirono come tutti dopo essere stati evangelizzati.

Costoro che poi morirono (come tutti) furono evangelizzati “affinché … vivessero … secondo Dio in spirito”. Si tratta di credenti poi morti come tutti.
Ed è qui che entra in gioco il “mèn … dè” greco (= “mentre … invece”). Quei credenti che da vivi furono evangelizzati lo furono per vivere in spirito secondo Dio, ma intanto dovevano morire come tutti.

I morti del v. 5 sono quindi tutti i defunti, ma quelli del v. 6 sono solo i credenti ora deceduti che, avendo accolto l’evangelo, vivranno.

Tu domandi, Antonio, come possono i morti fisici vivere secondo lo spirito. La risposta è: con la risurrezione.

La tua esegesi è valida fino a prima del punto in cui scambi i morti con i pagani. Non dimenticare che tali morti del v. 6 furono evangelizzati per vivere secondo Dio. E costoro morirono da credenti.

Ben traduce TILC: “Per questo il messaggio del Vangelo è stato annunziato anche ai morti: perché, pur ricevendo nel loro corpo la condanna comune a tutti gli uomini, ora per mezzo dello Spirito di Dio, possano vivere la vita di Dio”.
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da bgaluppi »

Gianni, provo a spiegare la mia interpretazione passo passo.

Iniziamo dall’intestazione della lettera. Pietro scrive:

“Pietro, apostolo di Gesù Cristo, agli eletti che vivono come forestieri dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell'Asia e nella Bitinia” (v.1, NR). Il testo greco ha ἐκλεκτοῖς παρεπιδήμοις Διασπορᾶς (eklektòis parepidèmois Diasporàs), che tradotto letteralmente significa agli scelti esiliati della dispersione. Il termine διασπορά (diasporà) fa preciso riferimento alla dispersione degli ebrei avvenuta dopo la distruzione di Gerusalemme; infatti, gli ebrei furono esiliati in territori stranieri, e questo è precisamente il significato del termine παρεπίδημος (parepìdemos), residente in terra straniera. Dunque, Pietro parla da ebreo agli ebrei della Diaspora. Questo è un dettaglio molto importante, che ci aiuterà a comprendere meglio il senso del versetto 4:6, che vogliamo trattare.

Dopo aver citato Is 28:16, in riferimento a quei figli di Israele che “essendo disubbidienti, inciampano nella parola” (v.8, cfr. Is 28:14), si rivolge a coloro che sono “una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato” (v.9), che prima non erano un popolo, ma ora sono il popolo di Dio, che non avevano ottenuto misericordia, ma ora l’hanno ottenuta. Essi sono le pecore perdute della Casa di Israele, prima esclusi dal patto e poi reinseriti per mezzo del Messia. Al v.11 Pietro scrive: “Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini [παροίκους καὶ παρεπιδήμους, paròikus kai parepidèmus], ad astenervi dalle carnali concupiscenze che danno l'assalto contro l'anima, avendo una buona condotta fra i pagani”; qui abbiamo un’ulteriore conferma che i destinatari della lettera erano proprio gli ebrei della Diaspora, che adesso sono paròikus kai parepidèmus, stranieri ed esiliati in terra straniera. I goyim, ossia i non-ebrei (gli stranieri), nelle Scritture Greche, sono sempre τά ἔθνη (ta èthne), le nazioni, i gentili; qui, il termine πάροικος (pàroikos) non deve essere confuso con ἔθνος (èthnos), in quanto fa riferimento allo stato di soggiorno fisico in una terra non di appartenenza, e non alla estraneità al popolo di Israele. Infatti, al v.12, Pietro esorta i fratelli ebrei ad avere una buona condotta ἐν τοῖς ἔθνεσιν (en tòis èthnesin), tra i pagani, ossia tra coloro che non appartengono ad Israele, ed in mezzo a cui gli esiliati della Diaspora stanno soggiornando.

Chiarito questo, possiamo passare ad analizzare il versetto 4:6, iniziando dal v.1:

“Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne [παθόντος σαρκὶ, pathòntos sarkì], anche voi armatevi dello stesso pensiero, che, cioè, colui che ha sofferto nella carne [παθὼν σαρκὶ, pathòn sarkì] rinuncia al peccato” (NR). Qui, Pietro invita i lettori a conformarsi a Cristo, il quale, pur essendo sottoposto all’influenza della natura carnale (che Paolo chiama corpo naturale, σῶμα ψυχικόν, sòma psychikòn, 1Cor 15:44), non peccò; lo scopo di questa rinuncia al peccato è spiegato al v.2: “per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne [ἐν σαρκὶ, en sarkì], non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio” (ciò anticipa il v.6). Questo è il sacrificio spirituale che ogni credente è chiamato a compiere (v.1:5, cfr. Rm 12:1), per essere santo come Dio è santo (vv.1:15,16, cfr. Lv 11:4; 19:2; 20:26). Si tratta di smetterla di vivere secondo le passioni umane, carnali (ἐν σαρκὶ, en sarkì) e di cominciare a vivere secondo la volontà di Dio, in spirito ([ἐν] πνεύματι, v.6, cfr. Gv 3:5; 4:24; Rm 8:4), come espresso al v.3: “Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche”. Al v.4, poi, Pietro mette in evidenza il fatto che i pagani (che ha appena citato) si meraviglino che i credenti, pur essendo uomini, non obbediscano ai desideri della carne; tale comportamento, visto come stranezza dai pagani (li vedono come diversi, distinti), è dovuto alla capacità che il credente ha di vivere la vita terrena non secondo regole dettate dalla materia ma dallo spirito, cosa difficilissima, come espresso in Gal 5:17: “Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro”. I credenti, dunque, pur essendo uomini come lo sono i pagani, sono distinti da essi, separati; per questo motivo, vengono discriminati (v.4).

Al v.5 Pietro, in riferimento al comportamento dei pagani dettato dalla carne e descritto prima, dice: “Ne renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti”. Questa affermazione sembra essere quasi estranea al contesto; Pietro la inserisce per dare risalto al suo discorso sulla necessità di abbandonare i comportamenti dettati dalla natura umana e vivere secondo lo spirito, ossia facendo la volontà non degli uomini, ma di Dio, in vista della salvezza. I pagani, che insistono nei comportamenti sbagliati, dovranno rendere conto a Dio, che giudicherà i vivi e i morti. È un’affermazione che rafforza l’importanza dell’obbedienza e mette in risalto il fatto che Dio non lascerà i peccatori impuniti; qui, i vivi e i morti sono da intendersi in senso fisico, poiché nel giorno del giudizio ci saranno uomini ancora in vita che saranno giudicati assieme a coloro che sono defunti, i quali resusciteranno (cfr. At 24:15). È da escludersi un’interpretazione che vede i vivi e i morti in senso spirituale, poiché Yeshùa afferma che chi crede in lui ha già la vita e non va in giudizio: “chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5:24). Dunque, questo versetto non può essere preso come esempio per ritenere che anche al v.6, che andiamo ad esaminare, si stia parlando di morti in senso fisico, per associazione. Ma deve essere preso come riferimento a quell'infatti che segue. Chi sono, dunque, i morti di cui si parla al v.6?

Il v.6, qui rportato nella traduzione della NR, recita: “Infatti per questo è stato annunciato il vangelo anche a coloro che sono morti; affinché, seppur essendo stati giudicati nella carne secondo gli uomini, potessero vivere nello Spirito secondo Dio.”. γάρ (gar) è una congiunzione che serve ad esprimere causa, a rafforzare ciò che è stato detto precedentemente e a continuare il discorso, e può essere tradotta con perché, infatti. Subito prima, Pietro afferma che i pagani dovranno rendere conto del loro comportamento a Dio, che giudicherà i vivi e i morti, ossia tutti quelli che non hanno già ottenuto la salvezza attraverso la fede e l’obbedienza (come espresso in Gv 5:24), e che quindi sono tutti ancora “morti” anche in senso spirituale (poché se fossero “vivi”, spiritualmente parlando, non andrebbero in giudizio). La congiunzione γάρ serve dunque a congiungere il concetto appena espresso con ciò che segue. Assieme a γάρ, Pietro utilizza εἰς τοῦτο (èis tùto), per questo motivo, che è un’espressione dimostrativa che prepara l’enunciazione del motivo, che segue. Il motivo è espresso dalla frase seguente, preceduta da ἵνα (ìna), che è una congiunzione finale ed introduce il fine di ciò che è stato detto precedentemente.

Allora, la costruzione mi appare in questo modo: coloro che non obbediscono a Dio, cioè i pagani in questo caso, renderanno conto del loro comportamento, quindi saranno condannati, poiché obbedendo alla carne sono già “morti”; essi sono ingiusti, e sono morti, contrapposti ai giusti, che sono vivi; infatti, siccome i peccatori devono render conto, il motivo per cui il Vangelo è stato predicato anche ai morti, ossia agli ingiusti (i pagani), è questo: perché fossero distinti e vivessero la loro vita non secondo la carne e in base alla volontà degli uomini, ma secondo lo spirito e in base alla volontà di Dio. Siccome i pagani sono ingiusti, e siccome gli ingiusti non resteranno impuniti, il vangelo è stato annunciato anche a loro perché si ravvedessero (fossero distinti, separati dal modo di vivere degli uomini e iniziassero a vivere la loro vita in modo giusto, in spirito secondo Dio). Infatti, Egli “vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1Tim 2:4). Per questo al v.2 egli invita ad abbandonare il peccato “per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne, non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio”. Tutto il passaggio verte su questo insegnamento: abbandonare la carne e seguire lo spirito. Io credo che Pietro stia spiegando agli ebrei della Diaspora, che vivono in mezzo ai pagani, il motivo per cui il Vangelo è stato predicato anche a loro, che sono “morti”; come loro — cioè gli ebrei che hanno creduto — sono stati “separati” dalla carne, anche ai pagani è stato concesso lo stesso beneficio. Maimonide, nella sua “Introduzione al cap. X di Sanhedin” (Pèrek Chèlek), cita Berachoth 18b per spiegare il significato del termine “morti” secondo il pensiero ebraico tradizionale: “I malvagi, anche da vivi, sono chiamati morti; i giusti, anche dopo morti, sono chiamati vivi”.

Esaminando meglio la traduzione della NR, emerge quanto segue. “Infatti per questo è stato annunciato il vangelo anche a coloro che sono morti”; il testo non ha “coloro che sono morti”, perché νεκροῖς (nekròis, dativo plurale di νεκρός) è un aggettivo e non è sostantivato, perché non ha l’articolo. Sarebbe meglio tradurre “ai morti”, senza aggiungere “a coloro che sono”, che suggerisce che si tratti di morti fisici, che sono deceduti. Visto che precedentemente si è parlato dei pagani e del loro comportamento contrario a Dio, è lecito presupporre che il termine “morti” faccia riferimento a loro, in senso spirituale e secondo il concetto ebraico sopra espresso. Non può far riferimento a morti fisici, anche perché la Bibbia insegna che “Nel soggiorno dei morti dove vai, non c'è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza” (Ec 9:10), ossia i morti stanno sottoterra, e non vedono, non odono e dunque non possono ascoltare l’annuncio della buona notizia. Non si comprende in qual modo Yeshùa abbia potuto predicare a morti che non potevano sentirlo; inoltre, la predicazione avvene prima della morte e durante la vita terrena, non dopo. E risulta ovvio che coloro a cui fu predicato molto tempo prima mentre erano in vita, poi siano morti. Tutti muoiono. Il vangelo non fu predicato solo ai giusti e agli ebrei, ma anche agli ingiusti pagani, perché si ravvedessero.

Un altro problema nella traduzione della NR è l'uso del valore condizionale e concessivo, tradotto in italiano con un gerundio, che secondo me il testo non esprime: “affinché, seppur essendo stati giudicati nella carne secondo gli uomini, potessero vivere nello Spirito secondo Dio”. Se l’agiografo avesse voluto esprimerlo, avrebbe utilizzato il participio aoristo del verbo krìno, come fa Rm 1:21: γνόντες τὸν Θεὸν οὐχ ὡς Θεὸν ἐδόξασαν, pur avendo conosciuto il Dio, non Lo hanno glorificato come Dio; o Eb 11:39: Καὶ οὗτοι πάντες μαρτυρηθέντες διὰ τῆς πίστεως οὐκ ἐκομίσαντο τὴν ἐπαγγελίαν, Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso. Altri esempi sono Fil 8; At 28:4; 1Cor 9:19; 2Cor 11:19 e altri.

In 1Pt 4:6 non abbiamo un participio, ma due congiuntivi, retti da ἵνα: affinché fossero giudicati (o distinti, separati), affinché vivessero. Nella prima proposizione, abbiamo un congiuntivo aoristo, che non è un tempo storico (dunque è sbagliato tradurlo “essendo stati giudicati”, anche perché non è un participio) e si limita ad indicare l'aspetto dell'azione (i pagani, prima morti spirituamente, vengono distinti dalla fede da chi persevera nei comportamenti sbagliati); nella seconda abbiamo un congiuntivo presente, che esprime un'azione durativa (l’effetto della vita in spirito dura nel tempo). I due congiuntivi, entrambi retti da ἵνα, non possono essere tradotti uno in guisa di participio e l’altro diversamente; oltretutto, il senso condizinale e concessivo non è giustificato. Dunque, a mio parere, il testo dice letteralmente:

“Infatti [poiché i peccatori, i vivi e i morti, dovranno render conto del loro peccato], per questo è stata annunciata la buona notizia anche ai morti (i pagani): affinché fossero distinti nella carne secondo gli uomini, e (affinché) vivessero (in senso fisico) in spirito secondo Dio”. Insomma, siccome il peccatore dovrà esser giudicato, il Vangelo serve a farlo ravvedere finché è vivo, perché viva in modo conforme a Dio e si salvi. Non mi pare che il Vangelo serva a giudicare, ma a far ravvedere; lo scopo principale non è il giudizio, ma il ravvedimento in vista del giudizio. Altrimenti, sembrerebbe che Dio si interessi solo che gli uomini siano messi a conoscenza della verità, per poter emettere una sentenza; invece, Egli “vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1Tim 2:4), in modo da non doverli neppure giudicare.
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da bgaluppi »

Scusa, Gianni, ho pubblicato prima di leggere la tua ultima risposta. Adesso me la leggo e ti rispondo.
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da bgaluppi »

Gianni ha scritto:Il contesto non parla di vivi e morti in senso spirituale, perché saranno i vivi e i morti fisicamente che saranno giudicati al tempo del ritorno di Yeshùa. Al ritorno di Yeshùa, oltre ai morti ci saranno anche dei vivi, che saranno trasformati (1Ts 4:13-17). Tutti, vivi e morti, compariranno davanti al trono di Dio per essere giudicati.
Ma questi sono tutti "morti", in senso spirituale, perché se fossero vivi non andrebbero in giudizio.
Siccome i morti del v. 5 lo sono fisicamente, anche quelli del v. 6 sono tali. Non ci è consentito fare voli di fantasia e intenderli diversamente.
Secondo me quell'espressione, il giudizio sui vivi e i morti, è una sentenza, e non deve essere presa come esempio per intendere i morti del v.6 come morti fisici. Dio giudicherà i vivi e i morti, ossia tutti i morti, cioè coloro che non sono ancora vivi (Ap 20:5).
Non si tratta di predicazione fatta ora, ma che è già stata compiuta. I morti a cui era stata fatta sono morti ora, ma prima erano vivi. A costoro fu predicato “affinché fossero giudicati”; anche qui l’aoristo congiuntivo passivo indica un’azione passata. Il katà + accusativo indica “secondo” ovvero dal punto di vista di; katà anthòpus vuol dire “secondo uomini”, cioè dal punto di vista umano. Il dativo sarkì è un dativo strumentale che indica la causa efficiente, che si riscontra in greco soprattutto con i verbi passivi (e qui l’abbiamo: krithòsi); il senso è ‘a causa della carne’. Costoro morirono come tutti dopo essere stati evangelizzati.
Ma la predicazione è fatta ai morti, non ai vivi poi morti. È interessante notare come Yeshùa, per distinguere morti da morti, dica: “l'ora viene, anzi è già venuta, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio; e quelli che l'avranno udita, vivranno” (Gv 5:25) e poi “l'ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori” (Gv 5:28). Nel primo caso si tratta di morti spirituali, nel secondo di morti fisici. Perché distingue? Secondo me, perché per gi ebrei i “morti” sono da intendersi a livello spirituale, come spiega Berachot 18b (ne ho parlato nel mio ultimo commento). Anche in Mt 8:22 si capisce bene la differenziazione: “Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti”; è ovvio che i morti che seppelliscono i morti sono da intendersi in senso spirituale, mentre quelli che vanno sottoterra in senso fisico. E che senso ha la predicazione per esser giudicati? Io credo che la predicazione serva innanzitutto al ravvedimento, per evitare di esser giudicati; del resto, il Vangelo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco” (Rm 1:16). Altra cosa che non comprendo, perché esser giudicati “secondo gli uomini”, visto che è solo Dio che giudica e non lo fa dal punto di vista umano. Mi sembra più logico che il Vangelo fosse stato predicato agli ingiusti (gli stranieri) perché fossero distinti nella carne dal punto di vista umano e imparassero a vivere la loro vita secondo lo spirito, in modo conforme al volere di Dio (dal punto di vista di Dio). Cioè, grazie al Vangelo, non obbedissero più alle passioni carnali come fanno tutti ma potessero obbedire allo spirito, come vuole Dio.
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Re: 1 Pietro 4:6

Messaggio da bgaluppi »

Aggiungo che se Pietro per "vivere in spirito secondo Dio" facesse riferimento alla vita eterna, cioè alla risurrezione, sarebbe alquanto ovvio che i risorti fossero conformi a Dio ("secondo Dio"), altrimenti non sarebbero risorti. È più logico pensare che Pietro parli della condotta di vita, dello stile di vita, che deve essere in spirito secondo Dio, ossia conforme a Dio. Yeshùa insegna come sia necessario rinascere in spirito, e questo è possibile grazie alla sua parola, che è il Vangelo. Si tratta di rinnovamento dello stile di vita, non della risurrezione, che consiste nell'entrare nel regno di Dio.
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