Gv 12:32

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bgaluppi
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Gv 12:32

Messaggio da bgaluppi »

κἀγὼ ἐὰν ὑψωθῶ ἐκ τῆς γῆς, πάντας ἑλκύσω πρὸς ἐμαυτόν

Le traduzioni rendono questo versetto nei seguenti modi:

“e io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (NR)
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (CEI)
“Ed io, quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me” (Did)
“Ed io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (ND)
“e io, quando sarò innalzato dalla terra, trarrò tutti a me” (VR)
“E io, se sarò innalzato dalla terra, attirerò a me uomini di ogni sorta” (TNM)

Tutti i traduttori sono concordi tranne TNM, che rende con un condizionale “se” sarò innalzato. Vediamo il testo greco.

La congiunzione contratta ἐὰν (eàn) con il congiuntivo aoristo (ὑψωθῶ, hypsothò, cong. aor. di ὑψόω, hypsòo), dovrebbe avere valore condizionale. Il Rocci spiega che serve ad indicare l'eventualità generale, e dovrebbe essere tradotta con se, qualora, nell'eventualità che, se mai. Dunque, solo la TNM traduce correttamente. Perché mai i traduttori negano alla congiunzione il suo valore condizionale? Esaminiamo meglio il testo.

Al v.31 Yeshùa afferma: “Ora [νῦν, nun] avviene il giudizio [κρίσις, krìsis] di questo mondo; ora [νῦν] sarà cacciato fuori il principe di questo mondo”. L'avverbio tra parentesi quadre indica il momento presente, dunque Yeshùa sta dicendo forse che il giorno del giudizio è quello stesso giorno in cui sta parlando? Impossibile, perché il giudizio avviene in seguito alla parusia e al millennio (Ap 20:11). Ed è ovvio che, siccome siamo qui a discutere, il giudizio non sia avvenuto nella notte in cui Yeshùa pronunciava quelle parole. Cosa sta dicendo, dunque, Yeshùa?

Il v.33 chiarisce che Yeshùa sta parlando del giorno in cui verrà appeso al palo: “Così diceva per indicare di qual morte doveva morire”. Il verbo ὑψόω (hypsòo) significa alzo, innalzo, sollevo, ma - in senso traslato - anche glorifico, esalto, celebro (Rocci). Giovanni chiarisce inequivocabilmente che Yeshùa faceva riferimento alla sua morte, dunque risulta difficile tradurre il verbo e la semifrase in senso traslato (essere innalzato dalla terra = essere glorificato). Si tratta, dunque, del momento della crocifissione, in cui viene "elevato dalla terra" e appeso ad un palo. Ma perché mai Yeshùa afferma che ora, nel momento presente, cioè con la crocifissione, il principe del mondo è "cacciato fuori" e il mondo è giudicato? Sembra quasi che Yeshùa faccia riferimento agli ultimi momenti, precedenti il giorno del gran trono bianco di Ap 20. Ma risulta ovvio che il principe del mondo è attualmente ancora pienamente operativo, e che il giudizio non è ancora avvenuto. Yeshùa parla del peccato. Il peccato è (già) vinto, il mondo è vinto nel momento della sua morte (Gv 16:33; 1Gv 5:4).

Al v.28, la voce dal cielo dice: “L'ho glorificato, e lo glorificherò di nuovo!”. Ciò dovrebbe far riferimento alla resurrezione, momento della glorificazione di Yeshùa. Anche al v.23 Yeshùa afferma: “L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev'essere glorificato”. Quello che segue, dunque, dovrebbe fare riferimento a questa frase del v.28. È possibile, dunque, che Yeshùa fosse convinto che il giudizio era davvero imminente? Che sarebbe avvenuto immediatamente in seguito alla resurrezione? Del resto, la rivelazione di Apocalisse sulla parusia e sul millennio viene conferita a Giovanni in seguito alla dipartita di Yeshùa. Io credo di no, perché Yeshùa aveva già affermato che sarebbe tornato "sulle nuvole". In virtù di quella congiunzione ἐὰν che esprime la possibilità, è lecito intravedere un'incertezza da parte di Yeshùa riguardo alla modalità della sua morte e al suo destino? Del resto, era pur sempre un uomo, e nel Getsemani, Yeshùa prega il Padre che gli risparmi quello che avrebbe dovuto subire, e prega che il Padre lo salvi dalla morte, dunque mostra di essere pervaso da un senso di paura e angoscia (“Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà”, Eb 5:7).
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bgaluppi
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Re: Gv 12:32

Messaggio da bgaluppi »

Certo Mattia, giustissima osservazione. E Yeshùa, prima della risurrezione, disse che aveva altre pecore da raccogliere che non sono dell'ovile di Israele. Come intendere, dunque, le sue parole relative al momento della sua morte espresse in valore condizionale? Adesso faccio una traduzione letterale dei vv. 31,32:

31 νῦν κρίσις ἐστὶν τοῦ κόσμου τούτου· νῦν ὁ ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου ἐκβληθήσεται ἔξω· 32 κἀγὼ ἐὰν ὑψωθῶ ἐκ τῆς γῆς, πάντας ἑλκύσω πρὸς ἐμαυτόν.
31 ora giudizio è del mondo questo; ora il principe del mondo questo sarà mandato fuori; 32 ed io qualora sia innalzato dalla terra, tutti indurrò verso me stesso.

Messo in italiano corrente: “ora questo mondo è giudicato; ora il principe di questo mondo sarà espulso fuori; e qualora io sia innalzato dalla terra, attrarrò tutti a me”.

Poi Giovanni spiega che quell'immagine dell'innalzamento dalla terra prefigurava la sua morte. Come intendere queste parole? Pur essendo chiaro che Yeshùa sta parlando della sconfitta del peccato, che avviene in virtù della sua morte, davvero non riesco a far quadrare quel “qualora venga innalzato” in senso ipotetico.

La frase è simile a Gv 5:25, in cui Yeshùa fa uso del νῦν: “In verità, in verità vi dico: l'ora viene, anzi è già venuta [καὶ νῦν ἐστιν, kai nùn estin], che i morti udranno la voce del Figlio di Dio; e quelli che l'avranno udita, vivranno”. Dunque, è chiaro l'uso del νῦν in relazione ad un evento futuro, che è come se fosse già avvenuto. Ma la particella ἐάν ha sempre valore condizionale:

“Tutte queste cose ti darò, se [eàn] tu ti prostri e mi adori” (Mt 4:9); “Il sale è buono; ma se [eàn] il sale diventa insipido, con che gli darete sapore?” (Mr 9:50); “No, padre Abraamo; ma se [eàn] qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno” (Lc 16:30); “In verità, in verità vi dico che se [eàn] uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte” (Gv 8:51).

L'unica spiegazione sarebbe se qui ἐάν fosse usato al posto di ὅταν (hòtan, o ὅτε ἄν), che ha valore temporale (quando) ed esprime il momento in cui una condizione si realizza. Ma sarebbe un caso raro nei vangeli. Un altro esempio è Gv 14:3: “Quando [eàn] sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi”. Tuttavia è alquanto inusuale questo uso temporale di ἐάν e ne farebbe uso solo Giovanni. Ma perché non usare ὅταν anche qui, visto che Giovanni lo usa 17 volte?
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Gianni
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Re: Gv 12:32

Messaggio da Gianni »

Esaminiamo bene il testo biblico di Gv 12:32. La congiunzione ἐὰν non ha solo il senso ipotetico di “se/qualora”, perché nel greco delle Scritture Greche prende il posto del semplice ἂν (cfr. il testo critico di Westcott & Hort), che oltre al senso dubitativo indica un fatto possibile a certe condizioni. Yeshùa sta dicendo: ‘Se … allora …’, esprimendo una conseguenza. Se io dico “se verrò, lo farò”, non necessariamente sto esprimendo un dubbio sul fatto che verrò, ma posso intendere che dal momento che verrò lo farò, e il senso è “quando …”. Ben traduce quindi la TILC: “Quando sarò innalzato dalla terra, attirerò a me tutti gli uomini'”. Così tradusse anche il mio caro mentore F. Salvoni.
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bgaluppi
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Re: Gv 12:32

Messaggio da bgaluppi »

Infatti, Gianni, però mi chiedo: perché non utilizzare semplicemente ἂν o ancor meglio ὅτε ἄν o ὅταν? Ho visto che Giovanni non usa mai ὅτε ἄν, tuttavia usa ὅταν ben 17 volte. Perché non usarlo anche qui? E ἂν deve essere associato a qualcosa per avere senso definito; in senso temporale, dovrebbe essere associato a ὅτε, altrimenti esprime comunque possibilità o condizionalità.
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Gianni
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Re: Gv 12:32

Messaggio da Gianni »

Caro Antonio ... non puoi trattare il testo biblico come se fosse un classico greco. Si tratta di greco popolano. Aggiungi poi che Giovanni era un illetterato.
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bgaluppi
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Re: Gv 12:32

Messaggio da bgaluppi »

È vero, Gianni, però il fatto che usi correttamente sia ἐὰν che ὅταν svariate volte, mi fa pensare: perché mai usare ἐὰν quando avrebbe dovuto usare ὅταν?

Allora mi sono chiesto: forse che Yeshùa, pur essendo convinto di ciò che sarebbe accaduto in virtù dello spirito che agiva in lui e gli faceva conoscere le cose e in virtù della sua fede, nutriva un naturale e del tutto umano dubbio per quello che stava per fare? Per dirla in modo brutale, un "chi me lo fa fare"? E, nonostante ciò, lo fece lo stesso, dimostrando dunque la sua grande forza, il suo amore e la sua immensa fede. Del resto, quella fu una prova che solo lui sarebbe riuscito a superare, e pregò il Padre che gli fosse risparmiata. In quella preghiera nel Getsemani, intravedo una speranza fino all'ultimo che le cose potessero andare diversamente, pur ottenendo lo stesso risultato. Nonostante tutto, quando capisce che le cose devono andare in un solo modo, non esita a bere il calice. E Abraamo, quando fu messo alla prova, non dubitò; ma immagino che qualche domanda se la sia fatta. Il senso della prova sta proprio nel dubbio, nell'incertezza; per questo è una prova. Se non ci fosse incertezza, che prova sarebbe?
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Re: Gv 12:32

Messaggio da bgaluppi »

“Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta” — Lc 22:42

Come dire: non posso credere che dovrò subire tutto questo! Ma se devo proprio, lo farò. Eccomi! Mi sembra che la grandezza di Yeshùa fu nel fare qualcosa che nessuno avrebbe mai fatto. L'unica cosa che avrebbe potuto riscattare l'intero genere umano agli occhi di Dio. Per questo, ho pensato che fino all'ultimo avesse con sé un senso di esitazione, che abbandonò nel momento cruciale, quella notte, quando sapeva che il momento era giunto.
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Gianni
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Re: Gv 12:32

Messaggio da Gianni »

Antonio, esamina bene il contesto. V. 23: è consapevole che la sua ora è giunta: v.24: sa che deve immancabilmente morire; v. 25: sa che pensando solo a se stesso fallirebbe; v. 27: è turbato ma si affida interamente a Dio; v. 28: Dio stesso lo rassicura; v. 20: dice addirittura che Dio è intervenuto a rassicuralo non per lui ma per i presenti. Infine, al v. 32, menziona la conseguenza della sua accettazione di morire: Se … allora. Se ciò si verifica (e si deve verificare) vuol necessariamente dire che. Il v. 33 conferma che era pienamente consapevole del suo destino e i vv. 35 e 36 mostrano la certezza che aveva del dopo.
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Re: Gv 12:32

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Si, forse ho capito il senso adesso. Sapeva ciò che doveva necessariamente verificarsi, per questo deve essere tradotto "quando". Ma capisci che quei momenti devono essere stati davvero angoscianti...
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Gianni
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Re: Gv 12:32

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Molto più che angoscianti. Sudò sangue, letteralmente. Il che ci dice tutta l'inestimabile preziosità del suo sacrificio.
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