" ho theos" di Gv. 20:28

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Gianni
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

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Così è, infatti. :-)
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bgaluppi
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

Messaggio da bgaluppi »

Ok. Quindi, dovrò approfondire la mia analisi per capire le differenze tra i casi regolari e quelli in cui si utilizza il nominativo al posto del vocativo. Interessante. :-)
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Gianni
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

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Ti può essere molto utile, Antonio, una concordanza greca. ;)
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bgaluppi
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

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Infatti. Dovrò arrangiarmi con quelle online.
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Gianni
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

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Prova qui (è ottima):
http://lexicon.katabiblon.com/index.php ... F%80%CF%89" onclick="window.open(this.href);return false;
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bgaluppi
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

Messaggio da bgaluppi »

Grazie mille!
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

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:-)
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

Messaggio da bgaluppi »

Ho fatto una ricerchina e ho imparato un po'di cose, dovendo rivederne altre, anche se la spiegazione forse è più semplice di quello che sembra.

Nei vangeli, l'uso del vocativo non risponde sempre alle regole del greco classico; infatti, i vangeli sono scritti in greco koinè, che significa "lingua comune" o "dialetto comune" (κοινὴ διάλεκτος, koinè diàlektos). Questo dialetto trae origine dal greco parlato ad Atene, l'attico (fratello dello ionico), che prevalse su gli altri dialetti, ed eventualmente li assorbì (cfr. Jannaris, Hist. Gk. Gr., 1897, p. 3 f). Perché l'attico divenne il dialetto più diffuso nel mondo greco? Perché, in seguito alla guerra con la Persia, Atene divenne la città dominante e la metropoli di tutti i popoli greci. Tuttavia, nel greco koinè dei tre secoli a.E.V. restano influenze del greco parlato nella Grecia nord-occidentale (acheo-dorico) e degli altri dialetti, che confluirono poi nel greco koinè parlato nel mondo greco-romano. Il greco koinè, dunque, può essere definito come "lingua mondiale", ossia la lingua più parlata nel mondo di allora (fino circa al 330 E.V.). Tale diffusione origina dalle campagne di Alessandro, che unì il mondo greco con quello persiano, dando vita al progetto "universalistico" che continuò con l'Impero Romano. Alessandro contribuì a determinare due periodi nello sviluppo della lingua greca: il primo è quello della separazione dei dialetti e il secondo è quello dell'unificazione di essi in una lingua globale, il greco koinè, che utilizzarono gli agiografi delle Scritture Greche. Per questo, a volte, è difficile applicare le regole del greco classico, che tuttavia permangono.

Quando si analizza il greco dei vangeli, dunque, è necessario tener presente che non possiamo far affidamento solo sulle regole del greco classico. Tuttavia, esaminando il contesto, anche nel greco koinè si possono determinare delle regole che stabiliscono l'uso di certe forme e costruzioni piuttosto che altre. È il caso del vocativo in esame. Vediamo, dunque, di determinare se sia possibile individuare queste regole.

Il Robertson (A Grammar of The Greek New Testament, VII, 7, a, p.264), spiega che nel greco dei vangeli, l'uso del nominativo al posto del vocativo è legato ai nomi ossìtoni (con accento sull'ultima sillaba) e alle radici labiali o gutturali (inizianti con consonante labiale o gutturale), mentre l'uso dell'articolo determinativo è stabilito per ragioni sintattiche. Inoltre, in aramaico e in ebraico l'articolo è usato con il vocativo e questo fatto potrebbe aver influenzato gli agiografi delle Scritture Greche in alcuni casi: in Mr 5:41 l'aramaico Ταλειθά è tradotto con Τὸ κοράσιον, e in Mr 14:36 Ἀββά è tradotto con ὁ πατήρ. Tenendo presenti queste indicazioni, individuiamo i versetti dove compare il nominativo con articolo determinativo prefisso al posto del vocativo; oltre a Gv 20:28, essi sono:

Mt 11:26 (ὁ πατήρ, ossìtono labiale).
Mr 5:41 (τὸ κοράσιον, gutturale).
Mr 10:47 (ossìtono, WH Treg e NIV hanno Υἱὲ senza articolo, RP e TR hanno Ὁ υἱὸς).
Lc 12:32 (τὸ μικρὸν, ossìtono).
Lc 18:11,13 (ὁ θεός, ossìtono).
Gv 8:10 (Ἡ γυνὴ, ossìtono e gutturale, Nestlè, Tischendorf, TR, RP, non compare nei manoscritti piú importanti).
19:3 (ὁ βασιλεὺς, ossìtono labiale).
At 13:41 (οἱ καταφρονηταί, ossìtono e gutturale).
Rm 8:15 (ὁ πατήρ, ossìtono labiale).
Ef 5:14 (ὁ καθεύδων, gutturale).
Ef 5:22 (αἱ γυναῖκες, gutturale).
Ef 5:25 (οἱ ἄνδρες, ossìtono, al nominativo plurale e al vocativo l'accento recede).
Ef 6:1 (τὰ τέκνα, seconda declinazione neutro, vocativo uguale a nominativo).
Ef 6:4 (οἱ πατέρες, plurale di πατήρ, ossitono e labiale).
Gc 5:1 (οἱ πλούσιοι, aggettivo sostantivato, labiale).
Ap 12:12 (οἱ οὐρανοὶ, ossìtono, l'articolo non compare su tutti i manoscritti; in 18:20 è usato il singolare οὐρανέ senza articolo).

In tutti questi casi, tranne che in Ef 6:1, l'uso del nominativo con l'articolo prefisso al posto del vocativo segue le regole che ci indica il Robertson.

Ma ora vediamo il caso in esame, Gv 20:28. Il termine θεός, ossìtono, è al nominativo ed è preceduto dall'articolo, in linea con le indicazioni del Robertson; anche il termine κύριoς, essendo gutturale, può essere usato come vocativo al caso nominativo e con l'articolo determinativo davanti, come accade nel versetto in questione. Dunque, il versetto potrebbe presentare il vocativo. Del resto, sembra strano che si faccia uso del nominativo in una frase in cui mancano il verbo e il complemento oggetto, mentre ha più senso il vocativo, che in questo caso esprime senso di stupore ed emozione e non ha bisogno di verbo e complemento oggetto. Ma Tommaso, se di vocativo si tratta, sta invocando Yeshùa come suo Dio o sta invocando il Signore Dio?

Nelle Scritture Greche, quando κύριoς è usato in riferimento a Yeshùa, non riporta generalmente l'articolo (tranne che in casi in cui è specificato o è chiaro che si sta parlando di lui, o la costruzione lo richiede), mentre quando è usato in riferimento a Dio riporta quasi sempre l'articolo (tranne che in casi in cui dal contesto è chiaro che si sta parlando di Dio). In generale, quando i due termini sono associati, si riferiscono sempre a Dio: Κύριος ὁ θεὸς (cfr. Mr 12:29; Lc 1:32,68; At 2:39; 3:22).

Quindi, secondo me la spiegazione più probabile è che in questo versetto si faccia uso di nominativo in sostituzione del vocativo (con articolo preposto), ma in riferimento a Dio, non a Yeshùa, in linea con la tipica espressione ebraica "Signore Dio" יְהוָ֣ה אֱלֹהָ֑י (Yahweh elohay).
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Gianni
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

Messaggio da Gianni »

Antonio, hai svolto una trattazione degna di una lectio magistralis. Complimenti. :YMAPPLAUSE:

Non c’è molto da aggiungere, per cui faccio una piccola considerazione a margine, riferendomi alla nostra lingua, che può aiutarci a capire l’uscita di Tommaso.
Si prenda la frase di scolastica memoria “Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l'ira funesta”. “O Diva” è un vocativo. Per trovare l’uso del vocativo non occorre risalire alle generazioni addietro. Lo usiamo anche noi tutti i giorni. Ad esempio in queste frasi: “Si accomodi, signora”; “Come va, amico mio?”.
Venendo alla questione, se io dovessi tradurre liberamente l’espressione tommasea, la renderei così: “Le porte erano chiuse. Yeshùa venne, si fermò in piedi in mezzo a loro e li salutò: «Shalòm!». Poi si rivolse subito a Tommaso: «Vieni, tocca con mano. Così crederai, invece di dubitare». Tommaso, sbigottito, se ne uscì esclamando: «Oddio!».
Anche “oddio” è un vocativo; sta infatti per “o Dio”, alla pari dell’omerico “o Diva”. C’è però un’importante sfumatura che fa al nostro caso. Si prenda la preghiera cattolica “o Dio, vieni a salvarmi”. Qui non possiamo davvero dire “oddio, vieni a salvarmi”. In più, si noti che nel vocativo vero e proprio c’è un appello con la preghiera di fare qualcosa. In “o Dio, vieni a salvarmi”, dopo l’invocazione (vocativa) “o Dio” c’è la supplica “vieni a salvarmi”. L’espressione “oddio” non prelude invece ad alcuna supplica. È infatti solo un’esclamazione che viene usata in casi di stupore o di paura e perfino di terrore.
L’uscita di Tommaso non contiene alcuna supplica. Diverso sarebbe il caso se lui avesse detto: ‘O Signore e Dio, pietà di me’ oppure ‘O Signore e Dio, perdonami’. In tal caso sì che si sarebbe rivolto al suo maestro come a Dio. E in tal caso avremmo anche un caso unico nella Bibbia che porrebbe insormontabili problemi perché in stridente contrasto con il resto della Bibbia. Ma così non è.

Infine, si osservi bene la scena nel suo contesto. Gli apostoli stanno dicendo a Tommaso che hanno visto Yeshùa quando lui era assente. Tommaso replica che non ci crede e che per crederci dovrebbe toccare con mano. È proprio in quel momento che Yeshùa appare, e addirittura in quel luogo le cui porte erano chiuse. Si blocchi per un momento la scena qui. Si osservino ora le espressioni dei presenti. Tommaso a bocca aperta come un baccalà, gli altri emozionati e con lo sguardo che si illumina. Subito dopo Tommaso entra in un vortice di emozioni incontrollabili: per lui spariscono tutti e fissa Yeshùa. Un romanziere direbbe che il cuore gli si fermò quando Yeshùa si rivolse direttamente a lui. “Metti qui il dito e guarda le mani; accosta la mano e tocca il mio fianco”.
E Tommaso? Non cade in ginocchio come in un presepe, chiamandolo Dio. Lui è terrorizzato, è sconvolto. Non può, sul momento, che uscirsene con: “Oddio!”.
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bgaluppi
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Re: " ho theos" di Gv. 20:28

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Molto belle e le tue considerazioni, Gianni. Ci trasportano empaticamente sul luogo dei fatti. Sono emersi molti elementi su questo versetto, che è un cavallo di battaglia dei trinitari e di tutti quelli che divinizzano la figura di Yeshùa. Credo che proverò a mettere tutto insieme in una presentazione organica. Quel momento straordinario che vissero gli apostoli merita tutta la nostra attenzione. :-)
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