Il pròlogo giovanneo

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Antonino
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da Antonino »

Grazie Emiliano! Effettivamente questo post sta prendendo una bella piega! Rimaniamo in attesa della risposta di Noiman, deliziandoci con il meraviglioso video che ha inserito Giovanni Z..........

Shalom!
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emiliano
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da emiliano »

Credo che invece devo chiederti scusa Antonino per aver deviato la discussione che hai aperto con un altro intento.
Se ritenete opportuno si possono spostare alcuni interventi.

:YMHUG:
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Antonino
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da Antonino »

No, Emiliano! Ma quali scuse?........ :d :d :-T
Invece credo che ci sia molta attinenza, perchè dalle espressioni verbali dell'Altissimo (Yhwh), le cose sono venute all'esistenza! non soltanto in maniera visibile! ma percepibili con tutti i nostri sensi!........ Continuiamo :-)
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noiman
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da noiman »

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emiliano
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da emiliano »

Quello che scrivi sembra rafforzarsi osservando proprio i movimenti che evidenzi e che caratterizzano la scena. Allontanamenti e avvicinamenti, tremori e timori dell'uomo, salite e discese di Dio verso l'uomo e dell'uomo verso Dio. Sembra un momento di forte e particolare emozione quello che vive il popolo di Dio. Più forte della libertà che ha appena ricevuto. Prima di quell'incontro Dio scese sulla terra per incontrare un altro popolo che però aveva completamente perduto la strada in questo salire e scendere, il popolo della torre di Babele. Anche in quella scena Dio scende manifestandosi con il Suo alfabeto, anche se, almeno apparentemente, in quella scena non c'era nessuno interessato ad ascoltare il Suo dire. Quel popolo, in quell'episodio, fu disperso e confuso nella parola, in quello del Sinai invece il popolo è unito e diventa custode e testimone della parola di Dio.

C'è un'altra scena della manifestazione divina che personalmente considero una vera e propria esplosione nucleare nella dimensione umana, quella che investe lo spirito tormentato di Giobbe:

"Allora il SIGNORE rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:"(Giobbe 38:1)

Un'incessante pioggia di parole di un'intensità tale che Giobbe alla fine afferma:

"Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio ti ha visto. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere"
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

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emiliano
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da emiliano »

Spero di non aver scritto qualche cavolata di troppo X_X
Soprattutto spero che non ti faccia problemi a farmelo notare caro Noiman!
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noiman
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Re: Prologo Giovanneo prima parte

Messaggio da noiman »

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bgaluppi
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Il pròlogo giovanneo

Messaggio da bgaluppi »

Il prologo giovanneo è una delle parti più discusse e più incomprese di tutte le Scritture Greche. Molto, anzi troppo è stato detto su questo incipit, dando origine alle più disparate interpretazioni: dalla divinità di Yeshua al mitologico e filosofico-esoterico demiurgo creatore. Il modo di sentire, pensare e scrivere di Giovanni sembra spesso in sottile equilibrio tra esperienza mistica e realtà, e forse è anche per questo motivo che viene spesso frainteso. I suoi scritti contemplano quei concetti e mezzi espressivi tipicamente ebraici, come la preesistenza e il concretismo, che inspiegabilmente vengono poco tenuti in considerazione dagli esegeti cristiani, e la cui comprensione in questo caso è fondamentale al fine di una corretta lettura. Ciò che mi colpisce di questa introduzione è la naturalezza con cui, in poche righe, Giovanni trasporta gradualmente il lettore dall'origine del piano divino al suo completamento, ricollegando i due estremi come appartenenti ad un unico evento temporale.

Giovanni comincia con una frase solenne quanto enigmatica: "Nel principio era la parola". La "parola" esisteva fin dal principio, prima della creazione. "La parola era con (presso) il Dio". La "parola" era "prossima" a Dio, era con (il) Dio. Il testo greco ha ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν (ho lògos en pros ton theòn), in cui la preposizione πρὸς (pros), in seguito al verbo essere (ἦν, en) e con l'accusativo (τὸν θεόν, ton theòn), indica prossimità e può essere tradotta "presso", in italiano corrente "con". Da notare che λόγος in greco è di genere maschile. Sembrerebbe, quindi, che la "parola" sia un qualcosa di esterno a Dio, poiché era "presso" di Lui, il che potrebbe far sorgere domande sul fatto che Dio fosse solo nel momento della creazione. Poi, però, il testo dice che "la parola era Dio": καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος (kai theòs en ho lògos), in cui ὁ λόγος (la parola, con articolo determinativo) è il soggetto e θεὸς (senza articolo) è predicato nominale. Quindi, la "parola" non era un qualcosa di diverso da Dio, ma era Dio stesso, pur allo stesso tempo essendo "con" Dio. Poi il testo ci tiene a ripetere nuovamente che "la parola era nel principio con Dio" (c'è da chiedersi il perché di questa ripetizione, su cui ritorneremo alla fine) e ci informa che "Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta.". Per mezzo "di lei" si riferisce a logos: infatti, il greco ha αὐτοῦ (autù, genitivo di αὐτός, autòs), pronome personale di genere maschile. Quindi, la "parola" esiste dal principio, momento in cui era prossima a Dio pur essendo Dio stesso, ed è il mezzo tramite il quale Dio dà origine a tutte le cose: "Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio." - Eb 11:3, e "I cieli furono fatti dalla parola del Signore, e tutto il loro esercito dal soffio della sua bocca." - Sl 33:5. Dalla comprensione graduale di questo paradigma, ci si accorge, come vedremo, di quanto Giovanni fosse assolutamente "ebreo" nel suo modo di ragionare, e di come il suo pensiero sia radicato nella cultura ebraica e affatto vicino agli ambienti ellenistici, come molti vogliono far credere.

I trinitari cristiani identificano la "parola" creatrice con Yeshua stesso, creando una rottura tra Nuovo Testamento e Antico Testamento e tra cristianesimo ed ebraismo, in quanto per gli ebrei Dio è uno e indivisibile, come testimoniano la Scrittura e la torah orale, in cui mai Dio è detto essere molteplice e tantomeno "trino". Influenzati dal loro credo (che non è "loro", ma origina da culture pagane antiche, come testimonia la storia), i trinitari cristiani vedono nella Scrittura ciò che non è mai scritto e forzano il significato di molti versetti, interpretando il testo in modo fantasioso e spesso stravolgendolo, a volte fino a contravvenire alle regole grammaticali e sintattiche del testo stesso. In poche parole, non possono smentire che Dio non venga mai chiaramente definito molteplice o trino (poiché la Scrittura testimonia questo fatto, fino a prova contraria) , ma affermano che in molte occasioni il testo "lo fa capire" (senza specificarlo) e tentano di dimostrarlo con astrusi esercizi mentali. Il Dio uno e unico degli ebrei diventa improvvisamente trino. E allora chi ha ragione, gli ebrei o i cristiani? Ecco la frattura.

Riconoscendo Yeshua come il Cristo, cioè il Messia, e identificandolo letteralmente anche con la "parola" creatrice, creano un'altra rottura tra Nuovo Testamento e Antico Testamento, poiché nella Scrittura Ebraica e nella torah orale il Messia non ha affatto il ruolo di creatore o partecipe della creazione, ma rappresenta il Re di Israele che aprirà l'Era Messianica negli ultimi tempi, ricostruirà il Tempio, rivelerà la Torah in modo intimo e profondo e redimerà l'uomo. Piuttosto, il nome del Messia è "preso in considerazione" da Dio prima della creazione, ossia "preesiste" nel piano divino (il Suo "pensiero") dal primo momento, secondo il concetto di preesistenza, ma non in senso letterale (Midrash Rabba 1:4). Il cristianesimo dunque, reintroducendo la dottrina del Dio-uomo (o uomo-Dio) propria del paganesimo, crea una frattura profonda nella Scrittura, pur contraddittoriamente accettandola come blocco unico; non è possibile sostenere che il Messia sia Dio stesso, che esista letteralmente prima del mondo e sia addirittura co-artefice della creazione, e accettare allo stesso tempo la Scrittura Ebraica come testo sacro di riferimento, poiché la Scrittura Ebraica non contempla mai il Messia come Dio e rivela un Dio che è Uno ed Unico.

Cos'è, dunque, questa "parola creatrice" di cui parla Giovanni nell'incipit del suo Vangelo, che sta "presso" Dio ed è Dio stesso? Ci dà un indizio la Scrittura Ebraica, più precisamente il Libro dei Proverbi:

"Il Signore mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche. Fui stabilita fin dall'eternità, dal principio, prima che la terra fosse. Fui generata quando non c'erano ancora abissi, quando ancora non c'erano sorgenti rigurgitanti d'acqua. Fui generata prima che i monti fossero fondati, prima che esistessero le colline, quand'egli ancora non aveva fatto né la terra né i campi né le prime zolle della terra coltivabile. Quand'egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un circolo sulla superficie dell'abisso, quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso, quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il loro confine, quando poneva le fondamenta della terra, io ero presso di lui come un artefice." - Pr 8:12; 22-30 NR

Chi parla in prima persona è la sapienza di Dio, la Sua saggezza personificata (secondo il concretismo, tipico degli ebrei), che racconta il momento in cui "ha assistito" alla creazione. Il suggestivo racconto non parla che del Dio creatore e nessun altro. La "parola" creatrice viene da Dio stesso, è una Sua emanazione, quindi è Dio stesso che crea con la Sua sapienza ("Colui che ha fatto con sapienza i cieli" - Sl 136:5). E in Genesi, infatti, Dio non ha alcuno accanto a sé, ma crea con la Sua sapienza parlando ("Dio disse"), esprimendo i pensieri con la Sua parola, che altro non è che manifestazione della Sua potenza, e Lui stesso ("la parola era Dio").

I rabbini sostengono che Dio creò con 10 espressioni, contenenti lettere; queste lettere tengono in piedi l'universo e mantengono la vita di tutte le creature. Infatti, è scritto: "Per sempre, Signore, la tua parola è stabile nei cieli." (Sl 119:89) e "la parola del nostro Signore dura (è stabile) per sempre" (Is 40:8). Se per un momento Dio ritirasse la Sua parola, insegnano i rabbini, la vita scomparirebbe e l'universo collasserebbe. La parola di Dio, dunque, è l'espressione divina che crea e mantiene la vita e il funzionamento di tutto l'universo. Questo concetto proprio dell'ebraismo e ben espresso dagli insegnamenti rabbinici è ripreso anche dall'ebreo Pietro: "Nel passato, per effetto della parola di Dio, esistettero dei cieli e una terra tratta dall'acqua e sussistente in mezzo all'acqua; e che, per queste stesse cause, il mondo di allora, sommerso dall'acqua, perì; mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola." (2Pt 3:5-7). La parola è sapienza e potenza di Dio che esce da Lui e relizza la Sua volontà. Essa crea e "mantiene" la creazione: "così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata." - Is 55:11

Come si ricollega tutto questo a Yeshua? Perché, indubbiamente, il personaggio principale del prologo giovanneo è proprio Yeshua. Andiamo avanti nella lettura.

"In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini.". Il testo greco ha ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων (en autò zoè en, kai e zoè en to fos ton anthròpon), in cui αὐτῷ (autò) si riferisce sempre a λόγος, in quanto il genere è sempre al maschile. Fin qui il protagonista del discorso è sempre il λόγος, ma Giovanni inizia a spostarsi su un altro soggetto, molto gradualmente. Infatti, in questo versetto il soggetto diventa la vita (ζωὴ, zoè) e la luce (φῶς, fos), ambedue al nominativo: la parola è vita, e la vita era (ἦν, en) "luce" per gli uomini, ossia saggezza, verità. Il greco ha ἦν, imperfetto indicativo del verbo essere (εἰμί, eimì): quando, esattamente, la parola, che è vita, "era" luce degli uomini? Abbiamo due indizi: l'imperfetto greco indica un'azione continua nel passato, quindi il testo sta parlando di un periodo che dura nel tempo; inoltre, la frase non può più riferirsi al momento della creazione, poiché il testo dice che la vita era la luce "degli uomini", quindi deve riferirsi ad un momento posteriore alla creazione dell'uomo. Continuando, leggiamo che "La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta.". Il greco ha καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν (kai to fos en te skotìa fàinei, kai e skotìa autò u katèlaben), in cui il soggetto è la luce (τὸ φῶς) e non più λόγος; pur essendo cambiato il soggetto della frase, è sempre del λόγος che stiamo parlando (in quanto la luce è vita e la vita è la parola), ma la funzione della parola in questo momento non è piu' quella di creare ma di essere luce degli uomini (rivelazione). Ci avviciniamo sempre di più a Yeshua, ma non ci siamo ancora. Qui il testo ha il presente indicativo (φαίνει, fàinei, "splende"), e questo è un piccolo ma meraviglioso dettaglio che merita un brevissimo excursus.

La "luce", ossia la verità divina, Dio stesso, non ha passato e futuro, ma solo il presente: la luce di Dio splende nelle tenebre nel presente, ossia sempre. In Dio, i nostri passato e futuro non esistono, in quanto il Suo tempo non corrisponde alla nostra "temporalità": Lui stesso è il tempo, in quanto Lui è. Torniamo al testo.

Giovanni, dunque, si riferisce ad un periodo storico preciso, come abbiamo visto, e non sta parlando in termini generali; ed è questo che dobbiamo capire: di quale momento storico sta parlando? Il suggerimento fondamentale per comprendere "quando" la parola-vita era luce per gli uomini e "quando" splendeva nelle tenebre, arriva dalla frase "le tenebre non l'hanno sopraffatta". Se si parlasse in termini generali, questa frase non avrebbe alcun senso, poiché è ovvio che le tenebre non possono sopraffare la luce, che è Dio stesso ("Io formo la luce e creo le tenebre" - Is 45:7). Allora vediamo che questa frase non è espressa in termini generali, ma si riferisce ad un momento storico preciso. Dai versetti successivi, si arriva a capire questo momento storico: "Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo." (v.6-9, NR). Ecco che la parola creatrice, che è luce degli uomini, sta venendo nel mondo: non è più solo "con" Dio, e sta per venire in mezzo agli uomini, ma è quella stessa parola che Dio ha utilizzato per creare il mondo. Ecco perché, al v.2, Giovanni ci tiene a ribadire dove fosse la parola inizialmente; poi, quella stessa parola, che è anche portatrice di verità (luce), viene nel mondo. Il periodo storico di riferimento, quindi, è il momento in cui Yeshua, il Messia, viene nel mondo, anticipato da Giovanni il Battista che prepara la sua venuta. In questo momento la luce splende nelle tenebre (il mondo, gli uomini lontani da Dio), e le tenebre (il mondo, in potere del maligno, 1Gv 5:19) non l'hanno sopraffatta: Yeshua porta la luce, la verità, la vita, quindi la parola di Dio, che in questo caso non deve creare, ma illuminare gli uomini e redimerli; e le tenebre non lo hanno sopraffatto nel mondo, poiché lui ha "vinto il mondo" (Gv 16:33). Infatti, "il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell'ombra della morte una luce si è levata" (Mt 4:16; Is 9:1), e "Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita." (Gv 8:12). La luce della vita. Poiché nella parola era la vita, e la vita era la luce degli uomini (Gv 1:4). Parola, vita e luce: tutto questo è Yeshua, mandato da Dio. Infatti leggiamo: "Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione." - 1Cor 1:30; e "Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio." - 1Cor 1:24. Ma attenzione a non confondere Yeshua con Dio, lasciandosi ingannare dal fatto che "la parola era Dio". La parola, infatti, è il λόγος, "discorso", che lo Strong traduce anche con "emanazione divina"; la parola, che è vita e luce, è Dio nel senso che è Sua emanazione. Dio crea per mezzo della Sua emanazione, non per mezzo di Yeshua; e Yeshua incarna questa emanazione, che è la Sua parola rivelatrice e salvifica: "Da Sion, infatti, uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore." - Is 2:3

Nei versetti successivi, Giovanni spiega esattamente in che modo la luce è vita, quindi in che modo Yeshua rappresenta la vita: "È venuto in casa sua [Israele] e i suoi non l'hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio." In questi versetti, su cui non mi soffermo troppo per andare subito alla conclusione di questo percorso, ci sono due cose da evidenziare: la prima è il significato di "figlio di Dio", appellativo non esclusivo del Messia e non associabile alla presunta divinità di Yeshua, ma attribuibile anche agli uomini; nelle Scritture, infatti, i figli di Dio sono tutti coloro che hanno uno speciale rapporto relazionale con Dio (i re di Israele, gli angeli, Israele stessa e, in questo caso, i credenti). La seconda è il concetto di preconoscenza, espresso in questo caso relativamente ai credenti, che "sono nati da Dio". Cosa significa "essere nati da Dio"? Certamente non "avere origine divina", in quanto l'uomo, pur essendo a immagine e somiglianza dell'Eterno, non è partecipe della divinità (non finché diviene "figlio di Dio" e Dio è "tutto in tutti" - 1Cor 15:28). Questa espressione significa piuttosto avere una predisposizione verso Dio, sentire la Sua presenza e cercarlo; in questo senso Dio "preconosce" chi crede in Yeshua, e in questo senso chi crede in Yeshua "è nato da Dio". Continuiamo nell'analisi del testo per arrivare al momento cruciale del discorso.

Al versetto 10, Giovanni dice: "Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.". Il greco ha ἐν τῷ κόσμῳ ἦν, καὶ ὁ κόσμος δι’ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ ὁ κόσμος αὐτὸν οὐκ ἔγνω (en to kòsmo en, kai ho kòsmos di' autù eghèneto, kai ho kòsmos autòn uk ègno). Ad una prima lettura, si può fare l'errore di identificare letteralmente Yeshua con la parola creatrice menzionata all'inizio del prologo, quindi vedere l'uomo Yeshua come pre-esistente (non "preesistente") e mezzo stesso della creazione: "Nel principio era la parola... Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei", e "il mondo fu fatto per mezzo di lui". Questo accade a chi ragiona prettamente in modo occidentale, senza tenere conto del pensiero ebraico e particolarmente giudaico. Il semplice, quindi, associa immediatamente Yeshua con il mezzo della creazione, non tenendo conto né del concretismo linguistico tipico degli ebrei, né delle parole che seguono: "E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito (μονογενοῦς, "unico generato") dal Padre." (v.14). Il λόγος è diventato carne, non Dio e' diventato carne.

Il testo greco, in entrambi i casi (v.3 e v.10) ha δι' αὐτοῦ (διά αὐτοῦ, dià autù), in cui la preposizione dià col genitivo indica strumentalità: "per mezzo di, tramite". Quindi, il testo afferma indubbiamente che il mondo fu fatto per mezzo di "lui", ossia Yeshua. Ma Yeshua non è Dio, è la Sua manifestazione (λόγος); in questo senso, certamente Dio crea tramite "lui", ma non in altri sensi. Quella stessa parola di Dio (manifestazione divina) che inizialmente crea il mondo, ora "è diventata" concretamente e fisicamente carne, faro di verità e veicolo di vita per gli uomini: Yeshua è, di fatto, la manifestazione di Dio in forma d'uomo, la Sua parola: "il suo nome è la Parola di Dio." - Ap 19:13. Questo è il Messia, il figlio di Dio per eccellenza, che ricostruisce il tempio in tre giorni: egli è la potenza di Dio in mezzo agli uomini. Non Dio stesso, ma la Sua manifestazione incarnata, la stessa che Dio utilizza per creare il mondo, ed è per questo che Giovanni, da ebreo concreto e non da ellenista concettuale, afferma che il mondo fu creato per mezzo di lui. Il soggetto di tutto il prologo è sempre la parola di Dio, poiché Yeshua è la parola di Dio. In Eb 3:1, è detto che Yeshua, il Cristo, è "splendore della sua gloria e impronta (χαρακτήρ, karaktèr) della sua essenza". Non Dio stesso, ma la sua "impronta", come traduce la NR. E in Col 1:15 "Egli è l'immagine (εἰκών) del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura.". χαρακτήρ significa propriamente "rappresentazione, esatta riproduzione, impressione", e la riproduzione non è l'originale, ma una copia perfetta; εἰκών significa "immagine, somiglianza", e l'immagine di qualcosa non è l'originale stesso, ma, appunto, l'immagine di esso. La nostra immagine riflessa in uno specchio non è la fonte reale dell'immagine. Se Yeshua è "esatta riproduzione" di Dio, non può essere Dio: è Dio o ne è l'immagine. Yeshua stesso dichiara: "chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14:9), poiché lui ne é l'esatta rappresentazione, l'impronta della Sua essenza, la Sua potenza e saggezza (parola) fatta uomo. Siamo di fronte ad una incongruenza biblica? No secondo il modo di pensare ebraico, si secondo il modo di pensare occidentale.

Bisogna tener ben presente che il Messia è il motivo per il quale Dio crea il mondo e al quale dèstina tutte le cose, e preesiste nella mente di Dio sin dal principio, secondo il concetto ebraico e biblico di preesistenza; il Messia è l'inizio e la fine, l'origine e la conclusione del piano di Dio per l'uomo (Ap 22:13). In questo senso Dio crea il mondo "per mezzo di lui e per lui" (Rm 11:36). Se lo crea per mezzo di lui, come può crearlo "per" lui? Yeshua è il mezzo tramite il quale Dio crea il mondo poiché lui è il Messia preesistente, la "ragione prima" di tutto e il completamento di tutto, il primogenito dei morti e dei figli di Dio, che incarna la manifestazione divina che crea il mondo; Dio crea il mondo tramite quella stessa manifestazione divina che Yeshua ora incarna nel mondo. Dio crea il mondo tramite il Messia e per il Messia (non tramite Yeshua), il Figlio costituito tale mediante la risurrezione (Rm 1:4). Per comprendere la preesistenza è utile pensare che in Dio il concetto di tempo non corrisponde al nostro, poiché Egli è il tempo stesso; nel momento in cui Egli crea il mondo "tramite" e "per" il Messia, Lui già contempla la sua nascita, morte e risurrezione, e il riscatto dell'uomo. Potremmo dire che Dio vive sempre nel presente, e che in questo momento temporale terreno lui contempla la creazione, il Messia, la nascita del popolo di Israele, l'uscita dall'Egitto, il sacrificio del Messia e la redenzione dell'uomo nello stesso momento, nel presente: "esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria." - 1Cor 2:7.

Il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo." - 2Cor 4:6

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Michele
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Re: Il pròlogo giovanneo

Messaggio da Michele »

Non capisco i termini come emanazione, riferito alla parola. Cosa sarebbe un'emanazione rispetto a Dio?
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