Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche
Inviato: mercoledì 6 maggio 2020, 21:41
da bgaluppi
Molto bella l'idea che un testo in francese andrebbe defrancesizzato e poi germanizzato, rende davvero l'idea. E anche che l'ebraico lo ha fatto la bibbia. In effetti è l'unica lingua antica sopravvissuta, se non sbaglio. Forse certi dialetti cinesi? Ma sarebbero parlati da una stretta minoranza di persone.
Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche
Inviato: giovedì 7 maggio 2020, 0:44
da matteo97
Il latino, se contiamo che è la lingua ufficiale del Vaticano. Per certi versi anche il greco moderno ha subito poche mutazioni. Comunque c'è da contare che l'ebraico durante l'epoca in cui Gesù visse (verosimilmente dopo l'esilio babilonese) assunse uno status simile a quello del latino divenendo una lingua riservata perlopiù all'alta cerchia sacerdotale e levitica. L'aramaico era la lingua del volgo (Gesù usava questa lingua per predicare al popolo soprattutto quando impartiva insegnamenti morali con mashal- parabola). E' successo qui l'inverso dove l'aramaico meno nobile si è estinto mentre l'ebraico si è modernizzato fino a svilupparsi in una lingua standard. L'italiano deriva dal fiorentino accademico che però è nato dalle lingue volgari (e prima del Risorgimento era parlato solo in alcune zone). Mentre il latino tecnicamente sarebbe una "lingua morta" se non fosse studiata nei licei.
noiman, vero però prova a fare un piccolo raffronto tu che sei di madrelingua ebraica. Spesso non si tratta solo di un discorso prettamente linguistico e fonetico che ci sta dietro alla traduzione di un vocabolo, ma il concetto che esprime questo essendo il risultato di uno sviluppo culturale proprio del popolo che ha sviluppato tale lingua. La linguistica non è come la matematica che è universalmente esprimibile in numeri e lettere. Quindi Elohim non è universalmente traducibile in Theos o Deus o Gott ecc... Persino gli arabi mantengono alcuni termini della lingua originale nelle traduzioni degli Hadit o del Qu'ran. Questa è la mia opinione sia chiaro e scusate la divagazione.
Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche
Inviato: giovedì 7 maggio 2020, 5:31
da Gianni
La prima ora.
Che cosa capite leggendo “la prima ora”? Ieri mattina mi stavo recando in un ufficio e percorrevo la solita strada un po’ lunga perché per raggiungerlo facevo sempre un lungo giro andando diritto poi a destra e poi ancora a destra. Nel primo tratto ho notato una stradina sulla destra e mi sono domandato se non fosse una scorciatoia. C’era una signora sull’uscio di casa e le ho posto la domanda. “Sì”, mi ha confermato, “prosegua e poi volti a sinistra. Ed io: “La prima ora?”. E lei: “La prima ora”. Poi passeggiando ho riflettuto su quella mia stessa frase - “La prima ora” – domandandomi se fosse espressa bene in italiano. Mi confortava il fatto che la signora l’aveva ripetuta con naturalezza, dunque parlavamo la stessa lingua. Pignolo come sono, mi sono anche domandato come scriverla; forse “la prima, ora”? Ma nel pronunciarla non si fanno pause. Era in italiano coretto? Forse in italiano parlato? Ero stato influenzato dal bell’italiano che si parla qui in Toscana? Come l’avrebbe detto un milanese o un calabrese? E un ebreo dei tempi biblici?
Noiman ha ragione: per tradurre la Bibbia bisognerebbe decristianizzare, desellenizzare, delatinizzare e infine debigottizzare. Io mi domando però: perché non italianizzare? Quando il vecchio Abraamo chiede al suo fedele servitore: “Metti la tua mano sotto la mia coscia” (Gn 24:2), perché non tradurre “dammi solenne garanzia che” o simili? Forse ci vorrebbe una Bibbia sul tipo della TILC, ma con un poderoso apparato di note esplicative.
Che cosa meravigliosa il dono della parola! È questa che ci distingue dagli animali. E come è ricco l’italiano! Poi penso all’inglese e mi dico: poveretti gli angloamericani, che lingua misera e stupida che hanno. Ma poi senso anche a William Shakespeare e a James Joyce e devo riconoscere: che incredibile ricchezza di pensiero e di profonde espressioni psicologiche hanno saputo esprimere con quella miserrima lingua. L’ebraico è per certi versi simile. Una volta, parlando alla presenza di un ebreo, stavo dicendo che l’ebraico è molto povero di vocaboli, e lui mi corresse dicendo che era tutto il contrario. So di avere ragione: basta confrontare un vocabolario di greco con le sue 25.000 forme verbali e uno di ebraico, che al confronto sembra un libretto. Eppure ha ragione anche quell’ebreo: quante cose si riescono a dire con quelle parole.
Chiedo scusa per la divagazione. Sono solo pensieri notturni scritti ad alta voce.
Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche
Inviato: venerdì 8 maggio 2020, 2:55
da matteo97
La prima ora.
Che cosa capite leggendo “la prima ora”?
Mi ritornano in mente i periodi liceali. Quando alle 8 poggiavi il sedere sulle seggiole di legno e a fine giornata rincasavi con un dolore atroce e pagine da studiare per il giorno dopo
La nostalgia che tesse i miei pensieri e li ricuce nei meandri della memoria. Scusate l'OT
.
Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche
Inviato: lunedì 11 maggio 2020, 18:37
da Gianni
Shavùa tov, buona settimana, anche a te Noiman. Hai fatto una trattazione davvero completa, profonda e notevole, e molto corretta. Hai ragione su tutto. Più che mai è vero il detto che tradurre è tradire. E quindi? Quindi dobbiamo essere consapevoli e non dimenticare mai che il testo sacro ispirato è unicamente quello originale. Non esistono traduzioni ispirate. Avere delle traduzioni è gioco forza per la stragrande maggioranza di noi, ma non dovremmo mai dimenticare che sempre di traduzione si tratta.
Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche
Inviato: giovedì 4 giugno 2020, 22:03
da noiman
Commento a Shmòt 3_1-3
“Del resto, i profeti anche testimoniano come gli scribi senza scrupoli della Torah aggiungevano e toglievano a loro piacimento, come lo denuncia anche Geremia [Ge 8,8 Come potete dire: Noi siamo saggi, la legge del Signore è con noi?
A menzogna l'ha ridotta la penna menzognera degli scribi!]
e come la Torah ha perso il vero messaggio di DIO, tramutandolo purtroppo in una semplice storia o racconto di un popolo di pastori che vagavano tra un paese e l'altro.
Solo Gesù ha reso universale il Dio unico”.
12 maggio 2020 , Tiger
Questa affermazione è già stata chiarita da Tiger, ho apprezzato la sua sincerità e devo riconoscere che considerato il clima di tensione tra noi forumisti è assolutamente comprensibile.
Tuttavia dalla storia di un popolo di pastori analfabeti e superstiziosi , entrati loro malgrado con nome e cognome nella Bibbia si può ricavare molti insegnamenti che nel catechismo o nelle letture domenicali delle congregazioni difficilmente potete trovare, una forma di approfondimento testuale che purtroppo è consentito solo a coloro che “hanno le mani piene” , su questo forum c’è ne sono alcuni, ma sempre troppo pochi.
Noiman
“Moshè pascolava il gregge di Jtrò suo suocero, sacerdote di Midian, guidando il gregge oltre deserto, giunse al monte del Signore, al Chorev. Gli apparve un inviato del Signore attraverso una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto e si avvide che il roveto ardeva per il fuoco, ma non si consumava. Moshè disse fra se: voglio avvicinarmi per vedere questo grande fenomeno: perché mai non si consuma il roveto”(shmot 3-1/3) (traduzione Disegni)
Questa parte del libro di Shmòt viene raccontata la visione di Moshè è il proseguo della rivelazione divina che è iniziata nel libro di Bereshit, la gradualità del livello della visione si accentua, la “itgalut” la rivelazione è il proseguo della visione che ebbe Jacov, “niglù” quando gli apparve una scala verso il cielo.
Le condizioni perché si accorci la distanza tra i cieli e la terra sono condizioni sono costanti in tutto il testo biblico, non esiste rivelazione che trovi un livello di manifestazione se non attraverso una inclinazione o predisposizione che per ogni personaggio appare diversa, lo svelamento è come un vestito che va personalizzato in base a quello che l’uomo .
Il testo introduce il racconto in modo quasi provocatorio, Moshè è diventato un pastore e conduce da solo un gregge di pecore nel deserto, un luogo dove nessun pastore penserebbe di andarci, anzi il testo si carica di effetto affermando che è il gregge è stato condotto da Moshè addirittura oltre il deserto, affermazione che sfida al buon senso e ignorata dal quasi sempre dal lettore a meno che faccia il pastore.
Il viaggio inizia dalle terre di Madian doveva viveva Jtro, l’espressione
המדבראחר “hachar hamidbar” letteralmente ”oltre il deserto”, consente una lettura alternativa come “oltre la parola”, מדבר “midbar” comunemente il “deserto” deriva dalla radice דבר che nella sua duplice proprietà semantica genera לדבר “ledaber” il parlare.
Il silenzio del deserto, inteso come solitudine e isolamento rappresenta uno spazio neutro dove i suoni sono rarefatti, una forma di solitudine tra cielo e terra, parlare in un deserto e come parlare a nessuno ,nella solitudine nessuno ci può sentire, nella mentalità ebraica il significato può essere capovolto, nella solitudine parlare a qualcuno significa trovare un interlocutore attento, la rivelazione è la parola e la parola deve essere ascoltata.
Perché D-o avrebbe scelto per manifestarsi l’arbusto più semplice e diffuso nel deserto ? Forse le foglie spinose rappresentano qualche simbolo? Il testo afferma che il pruno bruciava, dare fuoco agli arbusti era una abitudine che avevano i pastori per evitare che invadessero le terre di pascolo, tuttora in certe aree desertiche l’abitudine non è mai cambiata, una successiva affermazione sottolinea che il roveto pur bruciando non si consumava, e questo costituisce un fatto straordinario, Rashi commenta il significato “una fiamma di fuoco ”come בלבת-אש “be-labat èsh” “nel cuore del fuoco”, il roveto brucia e all’interno si rivela la presenza di unמלאך , malàch, l’arbusto che brucia ma non si consuma è espressa con אכל “uchàl” letteralmente “mangiato” , sospinto dal vento il fuoco cammina divorando tutta la sterpaglia che incontra,ma in questo caso arde come una candela senza consumarsi, il termine סנה “roveto “viene menzionato in solo tre passi è menzionato cinque volte e non lo leggeremo più in seguito.
Nei primi tre versi di Shmòt vengono impegnati i verbi che si riferiscono al senso della visione, vedere, apparire, D-o apparve, Moshè vide e poi guardò, leggiamo che Moshè si avvicina per vedere, anche D-o lo vede e gli dice di arrestarsi, l’uso dei verbi esprime una teofania ben precisa ,Volli precisa che si tratta della “teofania della visione”, le traduzioni non comunicano esattamente il significato delle parole impegnate, אסרה-נא “assuràh-nàh è tradotta come “avvicinarsi” , una comoda facilitazione teologica, in realtà il significato è “spostarsi” e ha diverse implicazioni, nella visione di Moshè esistono due elementi che possono aver generato una specie di sovrapposizione, Moshè vede un malàch che non brucia e sente la voce di Elohim.
Ecco perchè Moshè si sposta, sta cercando un punto di osservazione più favorevole, spostarsi può anche significare avvicinarsi ma anche allontanarsi, l’azione non viene indicata tramite un verbo specifico ,“assuràh, deriva da una radice polisemica, può anche significare “nascosto” , in questo caso il significato teologico cambia completamente, Moshè definisce “ hamarèh ha-gadol” , uno spettacolo grandioso , riconosce nel fenomeno una presenza sovrannaturale divina e ne rispetta la santità.
La lettura biblica si questa parte del libro di esodo ci soddisfa ed è confacente alla nostra inclinazione alla visione come ci è raccontato nei libri e abbiamo visto nei film che narrano l’esodo e spesso trascuriamo spesso il senso letterale, iniziando con essere convinti che il timore di Moshè è di oltraggiare la divinità, oppure il timore di essere annientato .
Moshè Maimonide offre a riguardo una buona spiegazione:
”E Moshè nascose il suo volto, perché aveva il timore di guardare Dio, dove il significato esoterico si aggiunge al significato letterale –il quale concerne il timore di Moshè di vedere la luce nella sua evidenza, non il fatto che Dio- sia Egli esaltato ben al di sopra di ogni difetto! – possa essere percepito dagli occhi. Mosè venne lodato per questo, e Dio lo beneficò con la sua bontà tanto che, alla fine, si dovette dire di lui:” Guarderà la forma di Dio; e i sapienti dicono che questa è la ricompensa per aver subito nascosto il suo volto”senza vedere Dio”
D-o stesso che gli intima di non avvicinarsi nonostante che Moshè non l’avesse ancora fatto, אל-תקרב “al-tiqràv” “non avvicinarti ”è espresso nella forma imperativa negativa, utilizzando il verbo espresso al futuro, caratteristica dell’ebraico antico e moderno.
ויסתר משה פניו כי ירא מהביט אל- האלהים
“E nascose Moshè la sua faccia poiché temette di guardare verso Dio”questa è la traduzione comune, tuttavia nel testo ebraico è scritto אל- האלהים “HaElohim”(3/6)
Moshè ha visto la figura straordinaria di un malàch, ma la voce che ha udito è di D-o, perche egli ha udito le parole che pronunciano due volte il suo nome e Moshè risponde con una sola parola “eccomi”.
La visione è più complessa di quello che sembra, Moshè vide אל-האלהים, un aspetto teofanico indeterminato ma udì la voce di D-o.
אלהים מתוך הסנה ויאמר משה משה ויאמר הנני:
“E Dio da in mezzo al roveto disse:” Moshè, Moshè e rispose “eccomi”
Un ulteriore osservazione che le traduzioni non sono in grado di mettere in evidenza, riguarda un aspetto testuale particolare, quando D-o chiama i suoi profeti con la ripetizione del nome ritroviamo un segno verticale disgiuntivo separatore tra i nomi,
il paseq, in Bereshit (22/11) nella ripetizione del nome di Avrahàm, Bereshit (46/2) per Jacov, 1°Sam 3/10, quando per la prima volta D-o chiama “ Moshè Moshè “,questo segno separatore è mancante
Dietro a questa anomalia testuale si nasconde un insegnamento per rivelarci che D-o ha parlato ai profeti in modo intermittente tramite la visione, eccezione Moshè, il profeta per eccellenza con il quale D-o si è intrattenuto senza interruzione fino al giorno della sua morte” .
La ripetizione non segue la regola della Massorà a significare che la radice profonda dell’anima del primo nome è la stessa della rappresentazione materiale dell’individuo. (J. Pacifici da una lezione di Mordechai Elon shlita) , con tutti i profeti D-o ha parlato in modo intermittente (interruzioni nella relazione dialogica verticale) attraverso la visione.
Non assistiamo a un vero e proprio dialogo, Moshè risponde a una chiamata e D-o si annuncia in un modo assai singolare.
ויאמר אנכי אלהי אביך אלהי אברהם אלהי יצחק ואלהי יעקב
“ E disse io sono אנכי il Dio di tuo padre , il Dio di Avrahàm, , il Dio di Izhcàk, e il Dio di Jacov” (Shmòt 3/6), “Anochì” è una amplificazione semantica , una forma solenne di autorevolezza.
“Io sono il Dio di tuo padre” il testo omette il nome , sappiamo di essere Amram e stranamente viene menzionato prima dei patriarchi, i commentatori sostengono che D-o non associa mai il proprio nome a una persona ancora in vita, quando il Signore dice “Io sono il Dio di tuo padre” annuncia a Moshè la morte di suo padre.
E anche interessante è esaminare la progressione dei nomi con cui si distingue la teofania:
אחר המדבר ויבא אל-הר האלהים
“Giunse oltre il deserto al monte di ha-Elohim”(Shmòt 3/1)(letterale)
וירא מלאך יהוה אליו בלבת-אש
E vide un malàch di יהוה in un fuoco fiammeggiante” (3/2) (letterale)
“In mezzo al roveto. Egli guardò ed ecco “il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava”Moshè disse””Voglio avvicinarmi e vedere questa grande visione e perché il roveto non si consuma(3/3) (traduzione comune)
וירא יהוה כי סר לראות ויקרא אליו אלהים מתוך הסנה ויאמר משה משה
“E vide יהוה che si spostò per vedere e chiamò lui אלהים da in mezzo al roveto e disse:Moshè, Moshè!c”(letterale)(3/4)
“E disse “eccomi”
“E disse, non avvicinarti qui, sciogli i sandali dai tuoi piedi, poiché il luogo in cui tu sei,è terra di santità.(3/5)
ויאמר אנכי אלהי אביך אלהי אברהם אלהי יצחק ואלהי יעקב ויסתר משה פניו כי ירא מהביט אל-האלהים
“E disse io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Avrahàm, il Dio di Izchàk, e il Dio di Jacov, e nascose Moshè il suo volto poichè temette di guardare אל-האלהים,””su D-o”
(3/7) (letterale)
ויאמר יהוה ראה ראתי את-עני עמי אשר במצרים ואת-צעקתם
“E disse יהוה ho visto, vidi l’umiliazione del mio popolo in Egitto” (3/7)
I Nomi divini non sono semplici sinonimi ma poderosi suggerimenti testuali che attraverso l’uso sapiente e l’ alternanza sfuggono alle traduzioni, non significa che leggiamo qualcos’altro e non possiamo neanche affermare che il testo nella lingua di destinazione è discorde da quello sorgente, i significati non cambiano di molto, D-o o l’Eterno sono le traduzioni comuni, il lettore che ha la possibilità di leggere e capire il testo ebraico forse è in grado di ritrovare una seconda serie di implicazioni e significati affrontando il testo come se si trattasse di un elettrocardiogramma e scoprire che del Nome sono celati i suoi ritmi nascosti.
Le ripetizioni del nome , gli intrecci con altri soggetti, le varianti del Nome vengono ridotte in sinonimi, le traduzioni le ignorano o le semplificano trascurando un aspetto teologico importante per l’interpretazione.
Non intendo approfondire ulteriormente questo aspetto, basti solo considerare questo aspetto linguistico molto simile a una discussione del tipo:
Il Giudice di questo emerito tribunale si chiama Giudice Salvatore ,oggi in attesa della promulgazione della requisitoria depositata dalle parti, il giudice è impegnato nello studio del testo a cui deve apporre la firma come giudice incaricato, firmando non come sigla di solito un giudice, ma attraverso la su firma estesa e completa .
noiman