Interpretazione delle Scritture Ebraiche

noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Caro Matteo…… :YMHUG: non credo che servirebbe a molto, il testo non è una poesia, un racconto con un linguaggio ordinario, ma significanti che non contengono parole facili o difficili, non serve risparmiare qualche parola perché non è traducibile, pensa di fare respirare il francese nel tedesco, prima lo dovresti defrancesizzarlo poi germanizzarlo, ricorda che non è l’ebraico che ha fatto la bibbia, se mai è la bibbia che ha fatto l’ebraico, la differenza è notevole, non trovi? ;)
E poi non basterebbe ancora! C’è da decristianizzare, desellenizzare, delatinizzare e in fine debigottizzare. . ma esistono queste parole in italiano? :-?
Noiman
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bgaluppi
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da bgaluppi »

Molto bella l'idea che un testo in francese andrebbe defrancesizzato e poi germanizzato, rende davvero l'idea. E anche che l'ebraico lo ha fatto la bibbia. In effetti è l'unica lingua antica sopravvissuta, se non sbaglio. Forse certi dialetti cinesi? Ma sarebbero parlati da una stretta minoranza di persone.
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matteo97
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da matteo97 »

Il latino, se contiamo che è la lingua ufficiale del Vaticano. Per certi versi anche il greco moderno ha subito poche mutazioni. Comunque c'è da contare che l'ebraico durante l'epoca in cui Gesù visse (verosimilmente dopo l'esilio babilonese) assunse uno status simile a quello del latino divenendo una lingua riservata perlopiù all'alta cerchia sacerdotale e levitica. L'aramaico era la lingua del volgo (Gesù usava questa lingua per predicare al popolo soprattutto quando impartiva insegnamenti morali con mashal- parabola). E' successo qui l'inverso dove l'aramaico meno nobile si è estinto mentre l'ebraico si è modernizzato fino a svilupparsi in una lingua standard. L'italiano deriva dal fiorentino accademico che però è nato dalle lingue volgari (e prima del Risorgimento era parlato solo in alcune zone). Mentre il latino tecnicamente sarebbe una "lingua morta" se non fosse studiata nei licei.

noiman, vero però prova a fare un piccolo raffronto tu che sei di madrelingua ebraica. Spesso non si tratta solo di un discorso prettamente linguistico e fonetico che ci sta dietro alla traduzione di un vocabolo, ma il concetto che esprime questo essendo il risultato di uno sviluppo culturale proprio del popolo che ha sviluppato tale lingua. La linguistica non è come la matematica che è universalmente esprimibile in numeri e lettere. Quindi Elohim non è universalmente traducibile in Theos o Deus o Gott ecc... Persino gli arabi mantengono alcuni termini della lingua originale nelle traduzioni degli Hadit o del Qu'ran. Questa è la mia opinione sia chiaro e scusate la divagazione.
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Gianni
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

La prima ora.

Che cosa capite leggendo “la prima ora”? Ieri mattina mi stavo recando in un ufficio e percorrevo la solita strada un po’ lunga perché per raggiungerlo facevo sempre un lungo giro andando diritto poi a destra e poi ancora a destra. Nel primo tratto ho notato una stradina sulla destra e mi sono domandato se non fosse una scorciatoia. C’era una signora sull’uscio di casa e le ho posto la domanda. “Sì”, mi ha confermato, “prosegua e poi volti a sinistra. Ed io: “La prima ora?”. E lei: “La prima ora”. Poi passeggiando ho riflettuto su quella mia stessa frase - “La prima ora” – domandandomi se fosse espressa bene in italiano. Mi confortava il fatto che la signora l’aveva ripetuta con naturalezza, dunque parlavamo la stessa lingua. Pignolo come sono, mi sono anche domandato come scriverla; forse “la prima, ora”? Ma nel pronunciarla non si fanno pause. Era in italiano coretto? Forse in italiano parlato? Ero stato influenzato dal bell’italiano che si parla qui in Toscana? Come l’avrebbe detto un milanese o un calabrese? E un ebreo dei tempi biblici?

Noiman ha ragione: per tradurre la Bibbia bisognerebbe decristianizzare, desellenizzare, delatinizzare e infine debigottizzare. Io mi domando però: perché non italianizzare? Quando il vecchio Abraamo chiede al suo fedele servitore: “Metti la tua mano sotto la mia coscia” (Gn 24:2), perché non tradurre “dammi solenne garanzia che” o simili? Forse ci vorrebbe una Bibbia sul tipo della TILC, ma con un poderoso apparato di note esplicative.

Che cosa meravigliosa il dono della parola! È questa che ci distingue dagli animali. E come è ricco l’italiano! Poi penso all’inglese e mi dico: poveretti gli angloamericani, che lingua misera e stupida che hanno. Ma poi senso anche a William Shakespeare e a James Joyce e devo riconoscere: che incredibile ricchezza di pensiero e di profonde espressioni psicologiche hanno saputo esprimere con quella miserrima lingua. L’ebraico è per certi versi simile. Una volta, parlando alla presenza di un ebreo, stavo dicendo che l’ebraico è molto povero di vocaboli, e lui mi corresse dicendo che era tutto il contrario. So di avere ragione: basta confrontare un vocabolario di greco con le sue 25.000 forme verbali e uno di ebraico, che al confronto sembra un libretto. Eppure ha ragione anche quell’ebreo: quante cose si riescono a dire con quelle parole.

Chiedo scusa per la divagazione. Sono solo pensieri notturni scritti ad alta voce.
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matteo97
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da matteo97 »

La prima ora.

Che cosa capite leggendo “la prima ora”?
Mi ritornano in mente i periodi liceali. Quando alle 8 poggiavi il sedere sulle seggiole di legno e a fine giornata rincasavi con un dolore atroce e pagine da studiare per il giorno dopo :))
La nostalgia che tesse i miei pensieri e li ricuce nei meandri della memoria. Scusate l'OT :d .
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Gianni scrive:

Noiman ha ragione: per tradurre la Bibbia bisognerebbe decristianizzare, desellenizzare, delatinizzare e infine debigottizzare. Io mi domando però: perché non italianizzare

Anche dopo tutto questo bisognerebbe fare anche un salto nel tempo ritornando al passato, ricordo un vecchio racconto Urania, (se mi viene in mente vi dirò anche il titolo), che narra i viaggi nel tempo in un mondo futuro, una tecnologia disponibile per i nuovi ricchi divenne una forma di turismo, il luogo più richiesto era il giorno della crocifissione di Gesù Cristo, esisteva una sola regola per viaggiare nel tempo, solo una persona alla volta poteva ritornare al passato, con un tempo limitato di permanenza di una giornata, assolutamente vietato qualunque azione che potesse modificare gli eventi, nel racconto ovviamente le cose si complicano quando per un errore del sistema invece che uno alla volta vengono catapultati nel passato in centomila, i romani e gli ebrei si accorgono che qualcosa non va e lo scompiglio creato cambia la storia.
Lascio a voi dedurre le conseguenze e le possibili implicazioni. :d :-?

Siamo fuori tema, anche il seguito è apparentemente O.T. ;) ma forse serve come base del ragionamento su come oggi noi cerchiamo di ritrovare i significati nelle scritture antiche che ispirate o meno sono già state tradotte molte volte a partire dalla LXX .
Oggi un traduttore che volesse impegnarsi nell’opera di ritraduzione del testo originale avrebbe più difficoltà di quando dovettero affrontare i traduttori della LXX e delle traduzioni successive, perché quando questa impresa fu intrapresa per la prima volta la distanza culturale tra testo sorgente e testo di destinazione era ancora limitata , oggi il traduttore ha suo disposizione molte traduzioni per confrontarsi e non esiste una traduzione ex novo , è su queste lavora per migliorare la versione successiva, anche Martin Buber che tradusse in tedesco negli anni venti la Bibbia poté disporre di tutte le altre traduzioni e dei relativi commentari , questo produce anche degli svantaggi, senza averne la possibilità di avantaggiarsene quale sarebbe il risultato ?

Per immaginare le difficoltà aggiunte per fare una buona traduzione bisogna tenere in conto della stratificazione del pensiero e che si è sovrapposta dopo oltre duemila anni di storia e sicuramente la tendenza di base sarebbe quella di trattare il testo in modo più simile a un postulato matematico, la traduzione che potrebbe fare un moderno traduttore e buon conoscitore delle lingue non sarebbe capace di trasmettere una versione che contenga anche i sentimenti, le idee , le sensazioni che i diversi mezzi espressivi del narratore erano in grado di comunicare, comprese le falsificazioni e qualche bugia, il dilatarsi dello spazio temporale e il coivolgimento del pensiero moderno sono di ostacolo, sicuramente il metodo che utilizzerà per districarsi nelle espressioni e concetti difficili sarà quello di privilegiare l’analogia condivisibile ma la separazione ha ridotto le analogie, nel migliore dei casi potrebbe ottenere una buona concordanza filologica.

Una lingua è un insieme di mezzi espressivi che possiedono anche un contesto psicologico. Tradurre è di fatto farne una copia, impresa abbastanza facile tra le lingue moderne all’interno dello stesso contesto culturale, leggermente più difficile quando il testo diversamente da un trattato di ingegneria impegna le emozioni e le espressioni di culture che anche se contemporanee sono molto diverse, quando parliamo di traduzione biblica abbiamo tra le mani un testo che come un fossile appartiene a un mondo lontano da noi migliaia di anni , nel caso del testo biblico è scritto in una lingua che non è l’indoeuropeo, ci si deve rendere conto che la comunicazione che il traduttore si appresta a trasferire non è detto che corrisponda al pensiero sorgente.
Se il traduttore ha ricondotto con perizia i significati filologici può essere sicuro di aver anche trasmesso anche il significato originale ?

Faccio un esempio: se deve tradurre da un testo antico una frase semplice come “quest’uomo lavora” , è indotto dalla sua impostazione culturale a considerare il concetto del lavoro come oggi noi lo intendiamo e automaticamente è predisposto a concludere che quest’uomo compie una attività positiva, utile, programmata e anche creativa , ma la stessa definizione nell’antica Roma Imperiale possedeva anche un secondo significato, l’uomo che lavora sta’ soffrendo, nell’antica Roma erano principalmente gli schiavi e i servi che lavoravano, non era un lavoro libero come noi lo intendiamo, la paga era la sussistenza e poco di più.
Il “labor” è un lavoro manuale, il contrario “dell’otium”, l’inoperosità che noi consideriamo indolenza, un vizio , la pigrizia che qualcuno è in grado di poterla mantenere, per il romano medio rappresentava la libertà, la cura dell’intelletto, occuparsi di filosofia, dell’arte, degli sport marziali e forse anche qualche lavoro ma non asservito, ovviamente è il contesto dell’intera frase che può fare la differenza e il traduttore che certamente non è a digiuno della cultura romana cercherà di trasferire il concetto attraverso i termini adatti nella lingua di destinazione, ma avrà difficoltà a trasferire tutte le sensazioni testuali che fanno il contorno.
Quando il nostro traduttore poi dovesse tradurre in un contesto simile la parola “tavolo” automaticamente considera il tavolo nel nostro modo di utilizzo munito di sedie e si usa per scrivere e per mangiare, ben diverso dal tavolo di Cicerone che era considerato un suppellettile, spesso costruito in pietra , molto basso, con un solo sostegno o al massimo con tre gambe su cui non ci si appoggiava e si mangiava, al massimo ci si sdraiava accanto, la sua funzione era di un enorme vassoio, non ci sedeva intorno per discutere, forse il tavolo latino era una mensa, un altare, un ripiano per conservare oggetti lontano dal pavimento, quale risultato otteniamo se la traduzione di tavolo non tiene conto di tutto questo, questo concetto può essere anche reciproco, se volessimo trasferire a Cicerone il concetto di “tavolo delle trattative industriali” , da che parte iniziamo?

SE voleste raccontare a un abitante di Gerusalemme nel sesto a.e.v. qualcosa della nostra vita, esempio le pagine di un giornale, la comunicazione tramite telefono cellulare e computer, dovreste cercare qualche idea su come trasferire questi concetti senza utilizzare le vostre definizioni moderne acquisite difficilmente trasferibili a un abitante della Giudea, con pazienza e un pizzico di fantasia forse potreste iniziare a rivedere il concetto in una dorma innovativa per spiegare fenomeni che non trovano corrispondenza con il vostro uomo .

Non verrete neanche aiutati dall’equivalente delle vostre esperienze ameno di trovare con l’interlocutore qualche analogia comune e sicuramente le definizioni che date per scontate vi saranno di ostacolo, ricordate il film di fantascienza Stargàte (1995)? ,una storia di scienziati scaraventati nell’antico Egitto attraverso un passaggio temporale , non disponevano di nessuna lingua comune con gli abitanti di quel mondo , divisi in tecnologia da migliaia di anni, erano accessibili solo i gesti comuni e qualche mimica con cui comunicare, vedetevi il film.

Nel nostro ipotetico viaggio del tempo non possiamo parlare di onde radio, microcips, processori INTEL o altro, con un po’ di fantasia potremmo collegare e relazionare i nostri strumenti con qualche parola antica legata al soprannaturale, utilizzando la parola nes נס , miracolo e nisayon נסיון ,” test o processo! “ “ nes “ significa anche una bandiera o un pennone, tutte parole conosciute dal nostro interlocutore, forse aiuterebbe a spiegare il concetto di una antenna, potremmo utilizzare la radice חשב , “pensare” e aggiungere una מ per dare un senso di provenienza, gli faremmo capire che abbiamo tra le mani il nostro מחשב “makshev”, colui che pensa per noi, l’ultima versione Apple , con un’altra acrobazia gli potremmo indicare il nostro moderno telefono cellulare rifacendoci alla radice פלא, pèle, “prodigio” e fargli provare un magnifico פלאפון, “pelefon” che poi è diventato טלפון, “telefon”, attenti ! potrebbe chiedere di parlare con D-o e considerato dove è Gerusalemme non sarebbe neanche un chiamata extraurbana.


Se il traduttore scaraventato indietro nel tempo volesse tradurre un giornale moderno, dovrebbe trovare significati per parole come:
“ telegiornale, previsioni del tempo, statistiche, inflazione, produzione industriale” e troverebbe difficoltà ancora più grandi.

Mentre si preparava la battaglia finale e la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.c. il generale romano Tito comandante delle legioni viaggiava con a suo seguito alcune gabbie di polli , prima di ogni decisione bellica “il polarius” faceva uscire i polli e osservava come beccavano il grano, la scelta dei semi preferiti in varie specie e colori fornivano la risposta che diventava un auspicio, per noi tutto questo è irrazionale ma non lo era per i generali romani sicuramente colti e appartenenti alla casta militare , il meglio della cultura romana, quando il traduttore si appresta a trasferire questo concetto si perde ancora prima di iniziare e viene sopraffatto dall’atteggiamento riduttivo che ha già orientato il suo giudizio , i generali romani sono illogici e superstiziosi, ma se il traduttore è uno che ogni tanto va dalla cartomante forse sarà più propenso a trovare una spiegazione?
Era il mondo che affermava che una cosa collaudata era meglio di una nuova e incerta dove “migliore” non è la cosa nuova, per gli antichi una cosa vecchia non perdeva dignità come fa oggi un cappotto vecchio e ancora di buono per essere subito sostituito con uno nuovo.
Solo l’invenzione della macchina ha permesso di ribaltare l’idea della conservazione. La macchina è fatta di pezzi , quando si usurano si cambiano il cambiamento è sempre migliore, più accorto e raffinato. Con questo concetto si è passati dalle valvole ai microchip.

Questo preambolo serve per introdurre altre problematiche che riguardano l’interpretazione, si vedra! Navigo da solo e a vista….
Shavua tov
Noiman
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Gianni
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

Shavùa tov, buona settimana, anche a te Noiman. Hai fatto una trattazione davvero completa, profonda e notevole, e molto corretta. Hai ragione su tutto. Più che mai è vero il detto che tradurre è tradire. E quindi? Quindi dobbiamo essere consapevoli e non dimenticare mai che il testo sacro ispirato è unicamente quello originale. Non esistono traduzioni ispirate. Avere delle traduzioni è gioco forza per la stragrande maggioranza di noi, ma non dovremmo mai dimenticare che sempre di traduzione si tratta.
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Si…. :YMHUG: grazie Gianni è una sfida interessante , discutere se le parole della Torah sono state scritte dal dito di D-o, dettate a Moshè da D-o o solamente ispirate da D-o, se consideriamo che questo è testo sacro allora bisogna anche ammettere che la stessa forma delle lettere, il loro ordine, lo spazio lasciato bianco e altri dettagli del segno possono ricaricare lo scritto e provocandolo indurlo a generare per ottenere nuove pertinenze, hai detto bene “tradurre e un pò’ come tradire, la copia non è quasi mai uguale all’originale” per fortuna anche i virus non ne sono immuni.

L’ebraico considera la parola. “Tardemà” תרדמה il sonno profondo che Adam fu indotto da Dio per prelevare la costola per generare la donna di pari valore numerico della parola תרגום “targum” che significa traduzione, questo numero è 649
Questo sicuramente piacerà ad “anima salvata” ;)
Noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Commento a Shmòt 3_1-3

Del resto, i profeti anche testimoniano come gli scribi senza scrupoli della Torah aggiungevano e toglievano a loro piacimento, come lo denuncia anche Geremia [Ge 8,8 Come potete dire: Noi siamo saggi, la legge del Signore è con noi?
A menzogna l'ha ridotta la penna menzognera degli scribi!]
e come la Torah ha perso il vero messaggio di DIO, tramutandolo purtroppo in una semplice storia o racconto di un popolo di pastori che vagavano tra un paese e l'altro.
Solo Gesù ha reso universale il Dio unico”.
12 maggio 2020 , Tiger

Questa affermazione è già stata chiarita da Tiger, ho apprezzato la sua sincerità e devo riconoscere che considerato il clima di tensione tra noi forumisti è assolutamente comprensibile.
Tuttavia dalla storia di un popolo di pastori analfabeti e superstiziosi , entrati loro malgrado con nome e cognome nella Bibbia si può ricavare molti insegnamenti che nel catechismo o nelle letture domenicali delle congregazioni difficilmente potete trovare, una forma di approfondimento testuale che purtroppo è consentito solo a coloro che “hanno le mani piene” , su questo forum c’è ne sono alcuni, ma sempre troppo pochi.
Noiman


Moshè pascolava il gregge di Jtrò suo suocero, sacerdote di Midian, guidando il gregge oltre deserto, giunse al monte del Signore, al Chorev. Gli apparve un inviato del Signore attraverso una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto e si avvide che il roveto ardeva per il fuoco, ma non si consumava. Moshè disse fra se: voglio avvicinarmi per vedere questo grande fenomeno: perché mai non si consuma il roveto”(shmot 3-1/3) (traduzione Disegni)

Questa parte del libro di Shmòt viene raccontata la visione di Moshè è il proseguo della rivelazione divina che è iniziata nel libro di Bereshit, la gradualità del livello della visione si accentua, la “itgalut” la rivelazione è il proseguo della visione che ebbe Jacov, “niglù” quando gli apparve una scala verso il cielo.
Le condizioni perché si accorci la distanza tra i cieli e la terra sono condizioni sono costanti in tutto il testo biblico, non esiste rivelazione che trovi un livello di manifestazione se non attraverso una inclinazione o predisposizione che per ogni personaggio appare diversa, lo svelamento è come un vestito che va personalizzato in base a quello che l’uomo .
Il testo introduce il racconto in modo quasi provocatorio, Moshè è diventato un pastore e conduce da solo un gregge di pecore nel deserto, un luogo dove nessun pastore penserebbe di andarci, anzi il testo si carica di effetto affermando che è il gregge è stato condotto da Moshè addirittura oltre il deserto, affermazione che sfida al buon senso e ignorata dal quasi sempre dal lettore a meno che faccia il pastore.
Il viaggio inizia dalle terre di Madian doveva viveva Jtro, l’espressione
המדבראחר “hachar hamidbar” letteralmente ”oltre il deserto”, consente una lettura alternativa come “oltre la parola”, מדבר “midbar” comunemente il “deserto” deriva dalla radice דבר che nella sua duplice proprietà semantica genera לדבר “ledaber” il parlare.

Il silenzio del deserto, inteso come solitudine e isolamento rappresenta uno spazio neutro dove i suoni sono rarefatti, una forma di solitudine tra cielo e terra, parlare in un deserto e come parlare a nessuno ,nella solitudine nessuno ci può sentire, nella mentalità ebraica il significato può essere capovolto, nella solitudine parlare a qualcuno significa trovare un interlocutore attento, la rivelazione è la parola e la parola deve essere ascoltata.


Perché D-o avrebbe scelto per manifestarsi l’arbusto più semplice e diffuso nel deserto ? Forse le foglie spinose rappresentano qualche simbolo? Il testo afferma che il pruno bruciava, dare fuoco agli arbusti era una abitudine che avevano i pastori per evitare che invadessero le terre di pascolo, tuttora in certe aree desertiche l’abitudine non è mai cambiata, una successiva affermazione sottolinea che il roveto pur bruciando non si consumava, e questo costituisce un fatto straordinario, Rashi commenta il significato “una fiamma di fuoco ”come בלבת-אש “be-labat èsh” “nel cuore del fuoco”, il roveto brucia e all’interno si rivela la presenza di unמלאך , malàch, l’arbusto che brucia ma non si consuma è espressa con אכל “uchàl” letteralmente “mangiato” , sospinto dal vento il fuoco cammina divorando tutta la sterpaglia che incontra,ma in questo caso arde come una candela senza consumarsi, il termine סנה “roveto “viene menzionato in solo tre passi è menzionato cinque volte e non lo leggeremo più in seguito.
Nei primi tre versi di Shmòt vengono impegnati i verbi che si riferiscono al senso della visione, vedere, apparire, D-o apparve, Moshè vide e poi guardò, leggiamo che Moshè si avvicina per vedere, anche D-o lo vede e gli dice di arrestarsi, l’uso dei verbi esprime una teofania ben precisa ,Volli precisa che si tratta della “teofania della visione”, le traduzioni non comunicano esattamente il significato delle parole impegnate, אסרה-נא “assuràh-nàh è tradotta come “avvicinarsi” , una comoda facilitazione teologica, in realtà il significato è “spostarsi” e ha diverse implicazioni, nella visione di Moshè esistono due elementi che possono aver generato una specie di sovrapposizione, Moshè vede un malàch che non brucia e sente la voce di Elohim.

Ecco perchè Moshè si sposta, sta cercando un punto di osservazione più favorevole, spostarsi può anche significare avvicinarsi ma anche allontanarsi, l’azione non viene indicata tramite un verbo specifico ,“assuràh, deriva da una radice polisemica, può anche significare “nascosto” , in questo caso il significato teologico cambia completamente, Moshè definisce “ hamarèh ha-gadol” , uno spettacolo grandioso , riconosce nel fenomeno una presenza sovrannaturale divina e ne rispetta la santità.

La lettura biblica si questa parte del libro di esodo ci soddisfa ed è confacente alla nostra inclinazione alla visione come ci è raccontato nei libri e abbiamo visto nei film che narrano l’esodo e spesso trascuriamo spesso il senso letterale, iniziando con essere convinti che il timore di Moshè è di oltraggiare la divinità, oppure il timore di essere annientato .
Moshè Maimonide offre a riguardo una buona spiegazione:
E Moshè nascose il suo volto, perché aveva il timore di guardare Dio, dove il significato esoterico si aggiunge al significato letterale –il quale concerne il timore di Moshè di vedere la luce nella sua evidenza, non il fatto che Dio- sia Egli esaltato ben al di sopra di ogni difetto! – possa essere percepito dagli occhi. Mosè venne lodato per questo, e Dio lo beneficò con la sua bontà tanto che, alla fine, si dovette dire di lui:” Guarderà la forma di Dio; e i sapienti dicono che questa è la ricompensa per aver subito nascosto il suo volto”senza vedere Dio


D-o stesso che gli intima di non avvicinarsi nonostante che Moshè non l’avesse ancora fatto, אל-תקרב “al-tiqràv” “non avvicinarti ”è espresso nella forma imperativa negativa, utilizzando il verbo espresso al futuro, caratteristica dell’ebraico antico e moderno.
ויסתר משה פניו כי ירא מהביט אל- האלהים
E nascose Moshè la sua faccia poiché temette di guardare verso Dio”questa è la traduzione comune, tuttavia nel testo ebraico è scritto אל- האלהים “HaElohim”(3/6)
Moshè ha visto la figura straordinaria di un malàch, ma la voce che ha udito è di D-o, perche egli ha udito le parole che pronunciano due volte il suo nome e Moshè risponde con una sola parola “eccomi”.
La visione è più complessa di quello che sembra, Moshè vide אל-האלהים, un aspetto teofanico indeterminato ma udì la voce di D-o.
אלהים מתוך הסנה ויאמר משה משה ויאמר הנני:
E Dio da in mezzo al roveto disse:” Moshè, Moshè e rispose “eccomi

Un ulteriore osservazione che le traduzioni non sono in grado di mettere in evidenza, riguarda un aspetto testuale particolare, quando D-o chiama i suoi profeti con la ripetizione del nome ritroviamo un segno verticale disgiuntivo separatore tra i nomi,
il paseq, in Bereshit (22/11) nella ripetizione del nome di Avrahàm, Bereshit (46/2) per Jacov, 1°Sam 3/10, quando per la prima volta D-o chiama “ Moshè Moshè “,questo segno separatore è mancante
Dietro a questa anomalia testuale si nasconde un insegnamento per rivelarci che D-o ha parlato ai profeti in modo intermittente tramite la visione, eccezione Moshè, il profeta per eccellenza con il quale D-o si è intrattenuto senza interruzione fino al giorno della sua morte” .

La ripetizione non segue la regola della Massorà a significare che la radice profonda dell’anima del primo nome è la stessa della rappresentazione materiale dell’individuo. (J. Pacifici da una lezione di Mordechai Elon shlita) , con tutti i profeti D-o ha parlato in modo intermittente (interruzioni nella relazione dialogica verticale) attraverso la visione.
Non assistiamo a un vero e proprio dialogo, Moshè risponde a una chiamata e D-o si annuncia in un modo assai singolare.

ויאמר אנכי אלהי אביך אלהי אברהם אלהי יצחק ואלהי יעקב
E disse io sono אנכי il Dio di tuo padre , il Dio di Avrahàm, , il Dio di Izhcàk, e il Dio di Jacov” (Shmòt 3/6), “Anochì” è una amplificazione semantica , una forma solenne di autorevolezza.


Io sono il Dio di tuo padre” il testo omette il nome , sappiamo di essere Amram e stranamente viene menzionato prima dei patriarchi, i commentatori sostengono che D-o non associa mai il proprio nome a una persona ancora in vita, quando il Signore dice “Io sono il Dio di tuo padre” annuncia a Moshè la morte di suo padre.
E anche interessante è esaminare la progressione dei nomi con cui si distingue la teofania:
אחר המדבר ויבא אל-הר האלהים
Giunse oltre il deserto al monte di ha-Elohim”(Shmòt 3/1)(letterale)
וירא מלאך יהוה אליו בלבת-אש
E vide un malàch di יהוה in un fuoco fiammeggiante” (3/2) (letterale)

In mezzo al roveto. Egli guardò ed ecco “il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava”Moshè disse””Voglio avvicinarmi e vedere questa grande visione e perché il roveto non si consuma(3/3) (traduzione comune)
וירא יהוה כי סר לראות ויקרא אליו אלהים מתוך הסנה ויאמר משה משה
E vide יהוה che si spostò per vedere e chiamò lui אלהים da in mezzo al roveto e disse:Moshè, Moshè!c”(letterale)(3/4)
E disse “eccomi”
“E disse, non avvicinarti qui, sciogli i sandali dai tuoi piedi, poiché il luogo in cui tu sei,è terra di santità.(
3/5)
ויאמר אנכי אלהי אביך אלהי אברהם אלהי יצחק ואלהי יעקב ויסתר משה פניו כי ירא מהביט אל-האלהים
E disse io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Avrahàm, il Dio di Izchàk, e il Dio di Jacov, e nascose Moshè il suo volto poichè temette di guardare אל-האלהים,””su D-o”
(3/7
) (letterale)
ויאמר יהוה ראה ראתי את-עני עמי אשר במצרים ואת-צעקתם
E disse יהוה ho visto, vidi l’umiliazione del mio popolo in Egitto” (3/7)

I Nomi divini non sono semplici sinonimi ma poderosi suggerimenti testuali che attraverso l’uso sapiente e l’ alternanza sfuggono alle traduzioni, non significa che leggiamo qualcos’altro e non possiamo neanche affermare che il testo nella lingua di destinazione è discorde da quello sorgente, i significati non cambiano di molto, D-o o l’Eterno sono le traduzioni comuni, il lettore che ha la possibilità di leggere e capire il testo ebraico forse è in grado di ritrovare una seconda serie di implicazioni e significati affrontando il testo come se si trattasse di un elettrocardiogramma e scoprire che del Nome sono celati i suoi ritmi nascosti.
Le ripetizioni del nome , gli intrecci con altri soggetti, le varianti del Nome vengono ridotte in sinonimi, le traduzioni le ignorano o le semplificano trascurando un aspetto teologico importante per l’interpretazione.
Non intendo approfondire ulteriormente questo aspetto, basti solo considerare questo aspetto linguistico molto simile a una discussione del tipo:
Il Giudice di questo emerito tribunale si chiama Giudice Salvatore ,oggi in attesa della promulgazione della requisitoria depositata dalle parti, il giudice è impegnato nello studio del testo a cui deve apporre la firma come giudice incaricato, firmando non come sigla di solito un giudice, ma attraverso la su firma estesa e completa .
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

A gennaio 2019, nella cartella 61 ci eravamo posti la domanda:” Che tipo di lettori siete ?” Alcuni giorni fa mi è capitato di ritrovarla e voglio ancora aggiungere qualche ulteriore commento. ;)

Per molti lettori biblici la lettura coincide con una forma di contemplazione estatica , questa è una condizione che riduce l’approfondimento e il testo rimane chiuso in se stesso, lo si vede in alcune persone che scrivono su questo forum, il dogma e la ”fede” che ritengo un valore importante hanno accomodato la visione riducendola a un racconto fantasy distaccato dalla realtà e riducendo la profondità del testo che implora: ” mica ti fermerai qui !”
Questo lo avevo già scritto, aggiungo alcune precisazioni che forse per qualcuno possono apparire scontate, ma occorre considerare come noi leggiamo la bibbia.

Quando l’agiografo ha scritto il testo biblico, sicuramente non ha pensato che il destinatario non appartenesse alla sua cultura e che la lettura avvenisse in una lingua di destinazione completamente diversa dall’ebraico e neanche immaginava che questo avvenisse qualche migliaio di anni dopo, non sapeva che la conoscenza del lettore riguardo il costume e il pensiero ebraico sarebbe stata limitata e che la gran parte dei lettori moderni sono programmati per cercare nel testo serve per affermare un progetto teologico a loro confacente, lettori che definirei lettori “codificati”.

L’agiografo o gli agiografi biblici nella loro comunicazione hanno utilizzato sapientemente una codifica che il lettore dovrebbe essere in grado di decifrare e comprendere, il progetto di comunicazione di fatto è molto complesso, innanzitutto gli autori hanno scritto un’opera per uno scopo che non corrispondeva a una forma d’arte o di poesia, anche se in molti casi la forma è simile al poema , poi non siamo neanche certi che ci fosse l’intenzione estendere la comunicazione all’esterno del loro ambiente culturale, in pratica non sappiamo chi sia il vero destinatario, se non ci fosse stato il cristianesimo a riportare in primo piano la bibbia ebraica probabilmente sarebbe rimasta disponibile solo in lingua ebraica e all’interno di un ristretto circolo considerando anche che una gran parte degli ebrei attuali non è in grado di leggerla nell’originale.

Abbiamo anche dubbio se l’autore è uno solo oppure una scuola di autori che hanno reinterpretato un testo più antico che non disponiamo, un testo corto, anzi cortissimo, menzionato in Bereshit quando leggiamo “ze séfer toledot adàm”(Bereshit 5/1) un libro nel libro, ma non sappiamo se questo sia un vero libro o una parentesi di Bereshit.

L’autore del libro può essere solo il narratore , oppure un narratore che narra e un autore che scrive, opera e narrazione possono appartenere a una temporalità diversa, oppure autore e narratore possono essere connessi , il pensiero sorgente e la voce che diventa inchiostro per volontà divina , “Queste sono le parole che Moshè rivolse a Israele” il narratore raccontò quello che Moshè disse per dettatura divina, in fondo per l’ebraismo i nevi’im sono gli altoparlanti di D-o, stiamo parlando di un testo che si può definire enunciazione annunciata (Volli) che per molte persone costituisce la “rivelazione” , per fare un esempio la relazione tra autore e narratore è simile alla figura di un attore famoso che affida la sua voce a un doppiatore, voci celebri ma volti sconosciuti, quando sventuratamente muore il doppiatore a soffrire è anche l’attore privato della sua voce.
L’effetto del racconto può essere molto diverso se la narrazione avviene in prima persona o in terza persona, c’è differenza tra raccontare la propria storia o la storia di un altro, in genere l’autore spesso lascia una firma da cui si può ricavare l’identità, anche grandi scrittori conosciuti sotto pseudonimo sono identificati attraverso lo stile letterario, ma nel caso della Bibbia e soprattutto il Chumàsh l’autore è sconosciuto, forse è meglio definirlo “anonimo”, solo in alcuni libri è identificabile con il suo nome.
Anche i Vangeli non si soffermano sul loro autore, una eccezione è Luca che nella prima parte del suo vangelo inserisce una introduzione personalizzata parlando di se stesso in prima persona, il seguito della narrazione è in “terza” persona.

Esiste poi un diverso lettore è quello che definirei “lettore archeologico”, costui analizza il testo sezionandolo alla ricerca delle contraddizioni e le incoerenze, il metodo utilizzato è quello storico in perenne confronto con le pubblicazioni di altri archeologi, tutti fortemente orientati a ritrovare diversi strati culturali e temporali che riducono il valore storico del testo e minimizzano i personaggi biblici.
Nella ossessione della ricerca del particolare l’archeologo è pronto a riconoscere una forma regolare segnata in un campo e lo induce a ritenere che sia un residuo di una costruzione antica, mentre un labirinto estremamente complesso può sembragli naturale e omesso nella ricerca.

Il lettore neofita è un’altra categoria ed è influenzato dalla reputazione del libro , sulla Bibbia per molti secoli si è giurato e nel suo nome si sono fatte le guerre, la sacralità del libro pone già un primo limite al lettore, se poi è un neofita vuole dire che non ha mai approfondito la lettura ,se questo lettore ha deciso improvvisamente di accostarsi la testo è probabile che senta una esigenza spirituale, magari dettata dalle circostanze, non so se avete notato che molte persone condotte in carcere portano con se la Bibbia, se invece è mosso da un interesse culturale ( mosca bianca) forse tutto diventa più semplice, in ogni caso affrontare una lettura biblica che non parta viziata da questo concetto è “sporcarsi le mani” nel contatto del sacro testo, come affermano gli ebrei!

Forse se il lettore legge nel modo disincantato di un romanzo fantasy, in questo caso il l’aspetto del sacro è il primo elemento ad essere ridimensionato per concentrarsi sulla narrazione e sulle storie di uomini che potrebbero essere realmente avvenute, ma se non lo fosse non importa!

Robert Aller definiva il racconto biblico una”narrativa di finzione storicizzata”.
Se allo stesso modo si affronta l’Eneide o l’Odissea tutto questo viene ulteriormente facilitato e non si corre il rischio che il D-o di Israele salti fuori dalle pagine , anche ritenendo plausibili le storie di Ulisse e Menelao i personaggi non impegnano il lettore come quando legge nella Bibbia il sacrificio di Izkàk o la passione di Gesù.

Non si può rimanere inerti leggendo lo sterminio di innocenti durante l’epoca di Moshè e Yehoshua , poi per Samuele, quasi un anticipazione della guerra santa iniziata dalle crociate è proseguita con le conquiste islamiche e che per varie ragioni sembrano ancora oggi assai attuali, poi come giustificare le morti improvvise dei figli di Aronne, Nadav e Avihù bruciati per non aver fatto l’offerta giusta ? il nostro senso di giustizia viene compromesso, D-o dei giusti sembra non appartenere al buon senso e alla giustizia e come scrive Guido Marenco, “la giustizia divina dovrebbe avere una precisione balistica” , ma sembra che non sia così.
Shavua tov
Noiman
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