Interpretazione delle Scritture Ebraiche

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Gianni
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

Alla domanda sul perchè ci sia o ci debba essere una Toràh orale, da parte ebraica sento questa risposta: Perchè ce n'è una scritta.

Ma si potrebbe anche porre questa domanda: Perchè non può esserci una Toràh orale? E la risposta sarebbe: Perchè ce n'è una scritta.
Janira
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Janira »

Baal HaSulam
100. La Torah scritta e la Torah orale - 1
Ho udito su Mishpatim, 1943

La Torah scritta è considerata “risveglio dall’Alto” e la Torah orale è un “risveglio dal basso”. E insieme sono chiamate “sei anni lui servirà; e nel settimo se ne andrà libero”.

È così perché l’essenza del lavoro è in particolare dove c'è resistenza. E questo è chiamato Alma (Aramaico: Mondo) dalla parola He’elem (Occultamento). In seguito, quando c’è l’occultamento, c’è la resistenza e allora vi è posto per il lavoro. Questo è il significato delle parole dei nostri saggi “Seimila anni il mondo, e uno distrutto”. Questo significa che l’occultamento sarà distrutto e non ci sarà più lavoro. Piuttosto, il Creatore gli fa le ali che sono coperture, in modo che egli abbia il lavoro.
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Chelaveritàtrionfi, provo a risponderti alla questione che hai posto e che richiede una risposta complessa, scrivi:
Noiman, sono consapevole che chi non è dentro all'ebraismo dalla nascita, difficilmente capirà certe cose. Da questo punto di vista, risulterebbe che il resto del mondo sarebbe all'oscuro delle cose di D-o non avendo accesso all'ebraismo, alla cultura ebraica ed alla lingua. Detto in maniera più semplice, le chiavi della conoscenza di D-o sarebbero in mano al popolo ebraico che potrebbe tenersi tutto per se.”


Non credo che sia determinante nascere all’interno di una famiglia ebraica per comprendere quello che tu definisci come conoscenza che sembra di tipo elitario, (per la gioia di quelli che si nutrono di complottismo ) , in realtà siamo di fronte a una situazione simile a quello che succede in un campo di calcio, come ha scritto Umberto Eco z.l : “Quando si gioca alla pallacorda è la medesima palla quella che con cui giocano l’uno e l’altro, ma uno lancia meglio.
Io aggiungo che quello che fa la differenza come nel gioco è il numero delle ore, dei giorni, degli anni in cui ci si è allenati nel toccare la palla, è risaputo che anche chi all’esterno del giudaismo percorre la stessa strada ottiene gli stessi risultati , poi è chiaro che la stessa struttura dell’ebraismo basata sulla domanda e rende le cose più facili, Paul Jhonson considera l’ebraismo rabbinico come una macchina sociale altamente efficace per la produzione di intellettuali. “Al ritorno a scuola non dovremmo chiedere ai nostri figli “cosa hai imparato”, ma se “hai posto una buona domanda”.

Un concetto che mi piacerebbe spiegare è che l’ebraismo per una sua forma culturale privilegia l’ascolto alla vista , l’effetto diasporico ha creato la condizione che gli ebrei hanno preso estremamente sul serio la loro patria portatile , la scrittura. Per millenni hanno scandagliato il testo originale nella ricerca del significato che è successivamente diventato il "commento", la conservazione di tutto questo materiale è
divenuto il Talmud, (insegnamento).

Se ti riferisci alle traduzioni sono sicuramente fallaci perché nel primo agire del traduttore c’è già una forma di interpretazione , ma mi sono fatto l’idea che forse le traduzioni erano già nel piano divino.
L’ebraico non aveva la forza di trasmettere a mezzo mondo la parola divina, ma solamente nelle lingue dei popoli poteva propagarsi e diffondersi tra i gentili, possiamo forse interpretare le parole del Bereshit Rabba dove viene commentata la benedizione di Noàch ai suoi figli.

Dilati (estenda) Dio Jafet [da Bereshit 9/27, si riferisce alla bellezza della lingua dei greci, l’esortazione è che diventi una lingua diffusa] si riferisce a Ciro che decretò che fosse ricostruito il Tempio, tuttavia “abiti nelle tende di Sem” . Bar Qapparà commentava :La presenza di Sem non abita che nelle tende di Sem”Le parole della Torah siano dette nella lingua di Yafet,[si riferisce alla LXX] dentro la tenda di Sem.” R:Judan disse:”Da qui si deduce che è permesso tradurre la Torah, come è scritto:”E lessero nel libro della Legge di Dio spiegandolo e dando senso alla lettura “(Nehm. 8/8), Si riferisce alla traduzione; “dando senso alla lettura”, (ponendovi attenzione), si riferisce agli accenti, [le vocali che non erano segnate e l’importanza della masorà]“E compresero le parole che erano state loro proclamate” (Neh 8/12), ( ….) si riferisce alla struttura della frase”I rabbini di Cesarea dissero”Da qui si rileva che conoscevano la tradizione riguardante il testo”[cioè la Miqrà che rendevano nel significato attraverso il Targum].Rav Zeirah e R.Hananel in nome di Rabbi disse ”Anche se un uomo fosse pratico della Torah come Esdra, non ne scriva il testo a memoria”[ per evitare che venga modificato ] tratto dal Bereshit Rabbà XXXVI/8.

Riguardo il passo di Shmòt 24/12 che hai citato si riferisce alla legge scritta e alle mitzvòt che è la parte orale spiegazione della prima, ma in altre parti del Chumash ritroviamo la presenza di una parte orale, che non sono le lukot che concentrano solo i dieci parlate.


משה קבל תורה מסיני ,ומסרה ליהושע, ויהושע לזקנים,צוזקנים לנביאים, ונביאים מסרוה לאנשי כנסת-הגדולה. הם אמרו שלשה דברים: הוו מתונים בדין והעמידו תלמידים הרבה, ועשו סיג לתורה.
Moshè ricevette la Torah sul Sinay e la trasmise a Yehoshùa; Yehoshùa la trasmise agli Anziani e gli Anziani ai Profeti; e i profeti la trasmisero ai membri della grande Assemblea. Questi ultimi solevano dire tre cose:”Siate cauti nel giudicare, educate molti discepoli e fate una siepe intorno alla Torah”( פרק י אבות א" ).
( Massime dei padri 1/1).

Come si è mantenuta la tradizione orale:

Moshè la apprese dall’Onnipotente, , quindi entro Aronne e Moshè lo istruì, Aronne si andò a sedere alla sinistra di Moshè.Entrarono allora i figli di Aronne e Moshè li istruì, essi si allontanarono:Elazar si sedette alla destra di Aronne e Ittamar alla sinistra di Aronne:R Jehudàh diceva:Aronne era sempre seduto alla destra di Moshè. Entrarono gli Anziani e Moshè gi istruì. Quando gli Anziani si furono allontanati, entrò tutto il popolo e Moshè li istruì. Aronne ascoltò la lezione quattro volte, i suoi figli tre volte, , gli Anziani due volte e il popolo una volta sola. A quel punto Moshè se ne andò, e Aronne istruì i suoi figli. Questi se ne andarono e furono gli Anziani a istruire il popolo. Tutti ascoltarono quindi la lezione quattro volte. R. Eliezer concluse: “Il maestro ha il dovere di ripetere quattro volte la lezione agli allievi. Se Aronne, che fu istruito da Moshè, che era stato istruito dall’Onnipotente, dovette la lezione quattro volte, a maggior ragione deve ascoltare quattro volte un allievo comune, che viene istruito da un insegnate comune. “(T.Eruvim 54b)
Questo è per Tiger che afferma
“Mosè trasmise questa conoscenza segreta a Giosuè, e ai 70 Anziani ma non al suo popolo.
Di ciò si trova anche conferma in Atti Apostoli (VII, 22)
. Che non parla proprio di questo.

Come possono coesistere le due Toroth?
Quale è preferita? Esiste una terra di confine, sicuramente la terra di mezzo sono le scritture successive che si sono aggiunte e hanno costituito il corpo principale, il Tanach , interessante è quanto scrive J.F. Mollitor, (fonte : Sholem-L’idea messianica dell’ebraismo” pag. 275)
La Scrittura cristallizza incessantemente un tempo che scorre e enuncia la parola evanescente come fosse un presente perpetuo dotato di tratti stabili e duraturi.
Sotto questo aspetto è il mezzo di trasmissione migliore e più sicuro di ogni tradizione. Di certo la Scrittura, a causa della sua fedeltà e della sua maggiore affidabilità merita di essere preferita alla tradizione orale. Ma ciascuna formulazione scritta è solo una immagine generale e astratta della realtà che manca totalmente della concretezza e della dimensione individuale della vita reale, e quindi è suscettibile a ogni sorta di fraintendimenti. La parola orale, come pure la vita e la prassi, devono comunque essere compagnia e interprete della parola scritta, che altrimenti rimane un concetto morto e astratto nella mente, che manca di ogni vitalità e contenuto tangibile.
I tempi moderni, in cui la riflessione minaccia di inghiottire la vita tutta intera, in cui tutto è stato ridotto a concetti morti e astratti, e di è ritenuto possibile educare gli uomini per mezzo della sola teoria, quell’antica intrinseca relazione reciproca fra la parola scritta e orale, fra la teoria e la pratica, è stata completamente tolta di mezzo.
Quando tutto ciò che è pratico viene incorporato nella teoria, quando tutto ciò è trasmesso oralmente viene messo per iscritto e nulla viene lasciato alla vita.
Nel mondo antico, tuttavia, in cui gli uomini si rapportavano ancora in modi assai semplici e naturali, questa relazione naturale della parola scritta con quella orale, della teoria con la pratica, era del pari rispettata assai di più”


Le due toròth coesistevano e non importava che Moshè avesse ricevuto entrambe sul Sinai e solo successivamente la seconda fu messa per iscritto, anche se fu pronunciata e non scritta essa apparteneva all’originale preesistente.
La rivelazione scritta non si affianca alla seconda ma ne diventa parte integrante, la rivelazione scritta non può sussistere senza il suo commento, lo studioso ebreo si separa dal suo omologo cristiano e nasce la lettura tridimensionale che è superiore alla lettura bidimensionale, lo studente ebreo non vede le scritture come un evento circoscritto e irripetibile, ma la base per la ricerca di nuovi significati attraverso la fecondità del testo, come ti ho già detto, la cultura ebraica non ha fatto distinzione tra la testualità e il commento, forse l’unico esempio in cui il “corpus” il commento è coesistente al testo, vale a questo punto la definizione che l’ebraismo è la civiltà del commento.

Dunque la rivelazione ricevuta da Moshè contiene di fatto tutti i successivi commenti.
Scrive Sholem “Il commento è la forma legittima con cui ci si accosta alla verità”,
e aggiunge ancora”Nell’ebraismo a tradizione diviene impulso riflessivo che interviene fra l’assolutezza della parola divina- la rivelazione- e colui che la riceve. Essa mette dunque in discussione la possibilità della immediatezza nella relazione fra l’uomo e il divino, sebbene sua stata incorporata nella e parola, possiamo confrontarci con la parola divina senza mediazioni? Oppure considerati i presupposti della tradizione ebraica che abbiamo formulato, la parola divina richiede proprio tale mediazione da parte della tradizione affinché sia possibile comprenderla e quindi adempierla?”


“Elì’ezer figlio di Ircano è un pozzo intonacato che non perde una goccia” (fonte Pirky Avot 2/8) (Massime dei Padri). Esistevano all’interno delle scuole talmudiche due ordini di uomini che studiavano, il primo aveva il compito di ricordare a memoria ogni parola della tradizione e lo facevano in forma neutra senza sottoporre la loro interpretazione personale , Sholem li ha definiti dei libri orali, altri avevano l’incarico della discussione, il risultato della discussione era poi fonte di una variazione o aggiunta alla memoria collettiva che veniva immagazzinata .(fonte Sholem-L’idea messianica dell’ebraismo, pag. 287) .

Un tempo le scritture erano ricordate a memoria, parola dopo parola, questa lettura memonica era facilitata da un tipo di memoria di tipo testuale caratteristica dei ebrei del tempo, diversa da quella estetica che è greca.
Quando nel secondo secolo la torah orale fu messa per scritto si pose il problema del confronto, è lecito mettere per iscritto le parole orali e imparare a memoria le parole scritte?
Poi la domanda in caso di contraddizione quale è quella che deve prevalere ? in parte questo potrebbe rispondere alla tua domanda su quale parte cambia o rimane immutata, la questione: la Torah scritta è da considerare primaria e la Torah orale come commento o esegesi della prima? Ovviamente nelle scuole di Torah il commento e lo studio tendono di fatto a privilegiare la prima che è argomento di prestigio dei maestri e saggi, tuttavia è risaputo che le parole appena dette tendono a scomparire nonostante la formidabile oralità, intesa come memoria , tende a renderla duratura nella tradizione trasmissiva.
Apparirebbe quindi scontato che sia privilegiata la rivelazione scritta, ma la Mishnà si pronuncia a riguardo quasi in modo quasi provocatorio attraverso le parole “Hanno maggior peso le parole dei Saggi che non quelle della Torah”(TB Sanhedrin XI,3),
Noiman.

noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Come possiamo commentare la scrittura?

Sandro si pone la domanda , se si deve o si può utilizzare il metodo letteralista e coinvolgere lo Spirito Santo, direi che si può provare prima altre strade e molte volte non serve neanche conoscere l’ebraico, ma scrittura alla mano si può attingere al commento secolare e anche millenario di coloro che per prima hanno affrontato il commento della scrittura, mi riferisco al fior fiore di studiosi, cristiani , meno cristiani, ebrei e anche perché no! buddisti. ;)

Un esempio di studio e di relativa interpretazione del testo biblico in questo esempio considera le diverse versioni che riguardano il comandamento sullo shabbat in Dvarim e Shmòt che mostrano una variazione importante riguardo il precetto e su questa differenza il commento degli esegeti si è impegnato per molto tempo, per comprendere questa differenza non dobbiamo dimenticare i fatti storici di quel momento, la generazione che stava per varcare il Giordano non era la stessa uscita dall’Egitto, erano trascorsi 40 anni e di quella generazione non era sopravvissuto quasi nessuno e i molti, nati successivamente non avevano partecipato alla prima parte della rivelazione, “Una schiava sul mare dei giunchi, vide quello che i profeti non videro”. (Rashi)
Dvarim è il libro che racconta questa ultima parte della storia del popolo e chiude il ciclo della Torah, Dvarim è anche chiamato Mishlè Torah, “ ripetizione della Torah, ” Negli ultimi mesi di vita di Moshè fioccano le raccomandazioni al popolo, quasi come un padre che si congeda con il proprio figlio sulla porta, ecco perché in Dvarim esistono molte ripetizioni tratte dai libri precedenti, compresi gli aŝeret ha-diberòt , (i 10 comandamenti) che vengono ancora una volta ripetuti con qualche variazione, la più significativa riguarda lo shabbat, in cui la differenza tra ricorda e osserva non è casuale, , זכור zakhor,( Shmòt 20/1) “ricorda” esprime il principio maschile in contrapposizione con שמור shamor,” osserva”, (Shmòt 20/8-11) che esprime il giudizio femminile , quindi abbiamo apparentemente due precetti.
L’osserva in Dvarim , ci fa venire in mente che il ricordo non è vincolante, si può ricordare lo shabbat in qualunque giorno della settimana e in teoria decidere quale è il settimo giorno e personalizzarlo, la preparazione dello shabbat è una azione materiale e vincolante per il ricordo, osserva è invece l’aspetto pratico successivo nella osservanza delle sue 24 ore, i chachamim commentano: “Chi si è affaticato alla vigilia dello mangerà dunque nello shabbat, ma chi non si è affaticato dove mangerà di shabbat”(Avodà Zarà 3/ a), un altro aspetto non secondario :In Shmòt il comandamento è fortemente connesso con la creazione e si pone come un valore universalistico, D-o ricorda all’uomo che si è fermato nel settimo giorno della sua opera in cui ha santificato lo shabbat, l’uomo non è ancora direttamente coinvolto, in teoria possiamo ritenere che D-o dall’inizio della creazione abbia osservato molti shabbatòt mentre all’uomo della prima ora non gli fu richiesto, in Dvarim lo shabbat entra in relazione con il brit, il patto in cui è chiesto a Israel di onorarlo attraverso l’osservanza.
Quando D-o promulgò il prima versione dei comandamenti avrebbe potuto utilizzare shamor” e non zakor, forse gli ebrei come ex schiavi del faraone e del sistema Egitto non avrebbero avuto nessuna difficoltà nell’accettare il precetto nella sua completezza, anzi l’interpretazione poteva diventare sindacale come norma dei lavoratori che sei giorni lavorano ma il settimo giorno si riposano, ma il piano educativo divino prevedeva un passo in più oltre il mero riposo.
Nella versione di Dvarim il precetto è fortemente connesso con la liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto, non per niente D-o dice: “we zacharta ki-eved haita be-ertz mitzraim” “e ricorda che fosti schiavo in terra di Egitto” (Dvarim 5/15).
Noiman





noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

scrive chelaveritatrionfi
Al massimo possono venire fuori determinati schemi ... tanto precisi da rimanere stupìti così come sembra che certi eventi si ripetono come in una spirale e che i numeri dicono tant.
E questa è la storia di uno schema, tra i tanti


Se la Torah era solo un mucchio di lettere disordinate riposte in modo caotico, qualcuno come nel gioco del monopoli ha cominciato costruire forme e significati che permettono di esistere frasi come queste :“ "Questi sono i figli di Rachele, nati da Giacobbe, in tutto quattordici”, oppure “Quando avrà finito di espiare per il Santuario e la tenda di riunione”, “ E ti conterai sette anni sette volte”.

Gli antichi profeti e chakhamim sapevano che la Torah sarebbe stata tradotta e in modo quasi profetico questo fu commentato nel Midràsh.

Uno di questi assai celebre è il Bereshit Rabbà che esamina dal suo punto di osservazione la trasmissione della Torah

Dilati (estenda) Dio Jafet “(Bereshit 9/27) [ si riferisce alla bellezza della lingua dei greci con l’esortazione perché diventi una lingua diffusa] si riferisce a Ciro, che decretò che fosse ricostruito il Tempio; tuttavia “Abiti nelle tende di Sem” (Bereshit 9/27) La presenza divina non abita nelle tende di Sem. Bar Kapparà commentava ”Le parole della Torah siano dette nella lingua di Jafet dentro la tenda di Sem.” R:Judan disse: ”Da qui si deduce che è permesso tradurre la Torah come è scritto:”E lessero nel libro della Legge di Dio spiegandolo e dando senso alla lettura “(Nehm. 8/8).
Si riferisce alla traduzione; “dando senso alla lettura”, (ponendovi attenzione), si riferisce agli accenti, [le vocali che non erano segnate ne gli altri segni della masorà]. “E compresero le parole che erano state loro proclamate” (Neh 8/12), ( ….) si riferisce alla struttura della frase”.
“I rabbini di Cesarea dissero:”Da qui si rileva che conoscevano la tradizione riguardante il testo”[cioè la Miqrà che rendevano nel significato attraverso il Targum].Rav Zeirah e R.Hànanel in nome di Rabbi disse ”Anche se un uomo fosse pratico della Torah come Esdra, non ne scriva il testo a memoria”[ per evitare che venga modificato ] fonte Bereshit Rabbà XXXVI/8 (con l’aggiunta di alcuni miei commenti in parentesi quadra)


Moshè Ben Nachman scriveva nel suo commento alla Torah riguardo al libro di Bereshit “Tutto quello che al nostro maestro Moshè fu detto alle soglie dell’intellezione, tutto è stato scritto nella Torah, esplicitamente o per allusione, in parole o numeri o nella forma di lettere, come si conviene o in forma mutata …. O negli apici delle lettere o nelle loro corone”.
Il testo che ci sembra interpretabile facilmente nasconde degli spazi che rimangono bianchi , quasi lasciato li apposta perche sia riempito dai commenti. Ogni lettura aggiunge altri spazi che a loro volta chiedono di essere completati con altre osservazioni. Nessuna lettura può considerarsi definitiva e sigillata, la verità non ha esclusivisti


Ora vi parlo dei segni che si affiancano al testo consonantico, sopra e sotto le lettere quadrate e in modo particolare uno, lo shalshelet
Una piccola premessa: I segni vocalici sono quelli che danno il suono articolato al testo, chiamate impropriamente vocali servono a tramandare la giusta pronuncia tradizionale quando il testo ebraico della scrittura sacra scritto in origine senza le vocali diventava difficile da tramandare nel suo corretto senso originale , questa spiga la diversa lettura di Bereshit 3/15 riguardo il “seme della donna”, in quel tempo si parlava nella quotidianità aramaico e si scriveva principalmente in greco

I principali segni vocalici: “qamètz, ptàh, tzerè, segol, şhewà, Ĥolèm, Ĥirik, kubùtz, shurùk, passeq (un autentico muro verticale nel testo) sono “ta’amim” che oltre produrre dei suoni vocalici rendono evidenti le pause, le separazioni, le unioni ”, , altri per evidenziare nel tono di pronuncia un particolare come shnè ghereshìn, zarkàh, segoltà, ritenuti dai cabalisti anche dei segni mistici.

Un segno alquanto raro è lo shalshelet, compare solo quattro volte nella Torah e sette volte in totale nel Tanak, (escluso Giobbe, Tehilim e Mishlè), una prima volta quando Lot viene portato via da Sdòm lo ritroviamo sulla parola ויתמהמה “waytamamàh, “esitò”, (Bereshit 19/16) , una seconda volta appare quando il servo di Avrahàm , Eli’ezer prega di trovare una moglie a Itzchàk , (Bereshit 24/12), leggiamo che il servo Eli’ezer supplica ויאמר יהוה אלהי אדני... “D-o Y***, Dio del mio Signore Avrahàm, fa fortuna a me” un terzo caso si ritrova a proposito della la moglie di Potifar mentre cerca di sedurre Josef, qui leggiamo וימאן “e rifiutò” (Bereshit 39/8), una quarta volta in Wayqrà 8/24, qui lo shalshelet compare sopra וישחט , di “lo imolò”, la stessa parola che appare ben tre volte in poche righe ma adornata di tre diversi te’amim.

Questi segni sono anomalie testuali nel testo masoretico che costituiscono dei veri e propri segnali che ci obbligano a una riflessione supplementare , lo shalshelet estremamente raro ci induce non solo alla riflessione ma anche a tener conto di una nuova interpretazione di parti testuali distanti tra loro in episodi distinti temporalmente e scritti in libri diversi, se l’agiografo o lo scriba hanno voluto porre queste sottolineature lo hanno fatto per uno scopo preciso e questo dimostra anche che aveva una visione d’insieme della Torah e forse anche oltre , si è utilizzato questi espedienti come con l’inchiostro simpatico , il significato di sharsheret è anche “la catena”, in questo caso simbolicamente destinata a unire elementi che gli stessi agiografi hanno ritenuto elementi fondamentali nella storia di Israel , una sottolineatura di alcuni eventi critici e spirituali determinanti nelle conseguenze nel caso le cose fossero andate diversamente e in tal caso la storia avrebbe dovuta essere riscritta.

Esaminando il primo caso in Bereshit 24, sappiamo che il Elezier servo di Avrahàm poteva diventare l’erede di Avrahàm nel caso che egli non avesse avuto progenie, di conseguenza la promessa di far discendere un popolo dalla sua genia non si sarebbe realizzata e il monoteismo sarebbe fallito sul nascere , non ci sarebbe stato Israel e il cristianesimo, sappiamo anche che Elezier aspirava nel suo cuore a diventare genero di Avrahàm facendo sposare a Izkhàk a sua figlia, con conseguenze impreviste.
In un altro caso ritroviamo shalshelet nel libro di Wayqrà , qui la spiegazione resta più difficile e prima dobbiamo esaminare il contesto in cui si sviluppano alcuni avvenimenti, esaminando in Waiqrà 8/23 dove וישחט , “lo imolò” appare con un segno di sottolineatura in riferimento al secondo montone sacrificato da Moshè come segno dell’investitura per Aronne e la sua discendenza e il sangue con cui vengono segnati Aronne e i suoi figli , compare una parola di grande effetto semantico, מלאים milu’im , come “investitura”.
Questo è un importante passaggio che definisce il sacrificio espiatorio come eredità che Moshè consegna ai suoi successori.
A questo punto possiamo ricollegarci alla parte successiva:

E avvenne nell’ottavo giorno” (Wayqrà 9/1), nel primo di Nissan giorno in cui il Mishkàn era stato completato, Moshè chiamò il fratello Aronne , i suoi figli e gli anziani e disse ad Aronne :”Prendi per te un vitello come chattat (sacrificio espiatorio riferito al vitello d’oro) …. e un montone per olàh (olocausto) integri”, le traduzioni omettono questa sottolineatura, il vitello che Aronne doveva estrarre per se stesso doveva rappresentare il perdono che H. per il peccato di aver fabbricato il vitello d’oro, Aronne si presenta al popolo nel ruolo di Cohen Gadol e celebra davanti a Moshè il suo sacrificio, il segno che Aronne e suoi figli e le loro discendenze saranno legittimati nel ruolo di Cohen, i commentatori sottolineano che Moshè soffrì molto la perdita di questa autorità, e soprattutto di non potere lasciare nulla ai suoi figli, Moshè pensava che se non poteva trasmettere il dono della profezia, tramite il sacerdozio poteva lasciare qualche cosa di se, ma sappiamo che il figlio di un Cohen è un Cohen, il figlio di un profeta non è detto che sia un profeta.

Noiman

chelaveritàtrionfi
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da chelaveritàtrionfi »

Grazie Noiman. :-) In particolare su questi temi ti cito sempre perchè ho capito che tu hai ... delle chiavi :d
Per me contano i documenti scritti perchè li possa verificare. "Ora i bereani .. accolsero il messaggio con grande entusiasmo e esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se questi insegnamenti erano veri". Atti 17:11 BSB
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Grazie a te Naza, è sempre un piacere leggerti.
Per Gianni.... porta pazienza :YMHUG: :YMHUG: :YMHUG: :YMHUG:
noiman
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Come promesso allego il riassunto dell’opera:
La questione della Genesi, Umberto Cassuto, Le Monnier-Firenze, 420 pagine , anno 1934
premetto:
Quando studio un’opera di un certo spessore e difficoltà ho da sempre l’abitudine di fare un riassunto con evidenziate le parti principali e attraverso le parole chiavi sono in grado di ritrovare le connessioni e relazioni in un unico data base.

Quello che vi posto è dunque il riassunto della intera opera di Cassuto con indicate le pagine dell'opera originale.

Cassuto pone una premessa analizzando che in tutto il primo racconto della creazione è l’alternarsi principalmente di due nomi per designare la divinità, nel primo capitolo indica Elohim , il Nome di colui che agisce, nel secondo capitolo osserva che Elohim è affiancato da Y*** in un nome composito, in seguito l’affiancamento diventa costante ma successivamente i due nomi non appariranno sempre uniti, Adonai non compare in tutto il capitolo della Genesi come nome proprio ma solo come appellativo unito con un suffisso pronominale del tipo “Signor mio”, ovviamente nella lettura gli ebrei sostituiscono il tetragramma con Adonai, il fatto che nelle traduzioni appaia con la iniziale maiuscola svia il lettore, (questa è una mia osservazione).
Cassuto poi cita lo studio di Vetter (Die litterarkritische Bedeuntung der Alttestamentlichen Gottesnamen ), e in una nota commenta che il nome Y*** tranne rare eccezioni non viene posto in bocca a chi non appartenga alla cerchia del popolo israelitico, (pag.10) , El e la sua estensione in Elohim è nome metafisico, mentre Y*** è il nome storico.(p. 11), per Cassuto, Elohim designa l’essere supremo riconosciuto dagli uomini in base ai fenomeni della natura e percepito in qualche modo dagli animali e alla natura, inteso nell’idea del “divino”, inaccessibile e costantemente impenetrabile e nascosto, Y*** designa la divinità in quanto rivelandosi nella concretezza di eventi storici connessi a Israel (14, 15).
Cassuto afferma che il significato etimologico primitivo di Y*** è tuttora ignoto nonostante le infinite congetture e neanche la sua pronuncia è certa, la stessa distanza del nome Dio in italiano che quando viene usato non si pensa al nome originario della primitiva radice indoeuropea.

E poi arditamente osserva che nel primo capitolo di Genesi, Elohim è in relazione esclusiva con una creazione che non conosceva ancora il suo creatore , in una ipotetica relazione una creatura avrebbe dovuto rivolgersi alla divinità con all’appellativo generico di Elohim e scrive :”In Genesi 5/1 abbiamo un evidente richiamo a genesi 1/ 27, e già ciò basterebbe a renderci ragione dell’uso di Elohim. Ma vi è di più. La frase a “immagine di Dio” doveva necessariamente essere espressa con Elohim anziché con Y***; solo l’astratta genericità del concetto di Elohim può lasciare a questa frase quel grado di indeterminatezza che vale a renderla accettabile a una mente ebraica, mentre “l’immagine di Y*** “ sarebbe addirittura inconcepibile” (19)
Nel primo capitolo di Genesi Elohim è l’unica divinità menzionata , Cassuto riconferma che è sempre in stretta relazione con una creazione che non conosceva ancora il suo creatore e se per ipotesi qualsiasi creatura che volesse rivolgersi al suo artefice non poteva che riconoscere l’appellativo generico di Elohim, quando viene creato Adam a immagine e somiglianza è sempre utilizzato il termine Elohim che volutamente per l’agiografo rappresenta l’astratta genericità del concetto di D-o e lascia in questa fase quel grado di indeterminatezza che valeva a renderla accettabile a una mente ebraica, “l’immagine” di Y*** sarebbe stata addirittura inconcepibile, questo lo trovate a pag. 39, vedi anche a fine pagina la nota sulla possibile origine del nome Noàch o Menachem “ il consolatore”, affine a Nachmolèl (na-ah-mu-ù-li-el), l’eroe dell’epopea di Gigalamesh (39).

Un altro esempio dell’alternanza tra Elohim e Y*** lo si ritrova in Bereshit 6, dove a proposito dei “Benè ha Elohim” videro che le figlie dell’uomo che erano belle, ma subito dopo leggiamo che Y*** disse,” Il mio spirito non rimarrà sempre nell’uomo”, in questo caso non è possibile intercambiabili, questo confonde in pieno l’ipotesi documentaria (40), ancora l’alternanza dei due nomi è significativa in Bereshit 7/16 a proposito sell’arca costruita da Noàch“Entrarono come ordinò a lui Elohim , e chiuse Y*** la porta lui dietro”(a Noàch) , Cassuto osserva che questo accostamento non ci sarebbe stato se il capitolo fosse diviso in due mantenendo le alternanze dei nomi, la possibilità che il testo abbia subito una forzatura sostituendo Y*** come colui che chiude la porta dell’arca al posto di Noàch è assai sostenibile, (vedi nota 4 pagina 40/41), sicuramente l’alternanza segue il ritmo del racconto che nella lingua ebraica deve mantenere la sua musicalità e assicurare una forma di insegnamento teologico, l’etica della divinità che dove è azione preferisce utilizzare Elohim, mentre quando è legislatore è sottolineato come Y***, quando Noàch fece il suo primo sacrificio spontaneo a D-o nella funzione sacrificale D-o è menzionato come Y*** essendo un rapporto diretto tra Noàch e la divinità (43), ricapitolando il D-o della vita è Elohim, mentre il D-o del rapporto personale con l’uomo è Y***, questa differenza la capiamo nell'utilizzo di Elohim riferito agli scampati al diluvio e per questione di coerenza con quanto è scritto in Bereshit 1/28 vengono ripetute in Bereshit 9/1 le benedizioni all'uomo e agli animali in una forma di berit Chidushàh , un patto rinnovato, ( Genesi 8 /1), anche il simbolo dell’arco divino , l’arcobaleno è suggellato da Elohim (44), il significato simbolico dell’alternanza dei nomi diventa poi significativo nel capitolo successivo, dove i due diversi impieghi del Nome suggellano la benedizione dei figli di Noàch, nella berachà ai figli di Noàch Sem e Jafet ritroviamo l’alternanza della presenza del Nome, Y*** per Sem , Elohim per Jafet (45) , ( R ) , un altro esempio in cui Elohim interrompe una lunga sequenza di Y*** si ritrova successivamente nel capitolo 17/9, quando D-o si rivolge a Avrahàm nel rinnovare il patto , non viene utilizzato il tetragramma ma ancora Elohim e questo rimane costante per tutta la parte restante del capitolo.

Cassuto osserva che si tratta di una ”concezione universalistica a cui si addiceva il nome di Elohim” , mentre abbiamo assistito che quando Avrahàm riceve la prima rivelazione avviene nel nome di Y*** (49).
Quando D-o compare in sogno a un pagano è sicuramente Elohim, lo si può verificare nel libro di Bereshit a proposito del sogno di Abimelk re di Gerar, Cassuto commenta che se non fosse un re pagano conoscerebbe Y*** e viceversa, lo stesso Avrahàm nel rivolgersi al re di Gerar nel pregare per lui utilizza Elohim (51), successivamente notiamo un’altra separazione dei nomi riguardo Sarah a cui le viene fatta la promessa nel nome di Y*** (genesi 18) , nel capitolo 21 ritroviamo ancora l’alternanza dei nomi in breve sequenza, quando D-o si ricorda di Sarah ritroviamo Y***, nel versetto successivo riguardo al figlio che Sarah genererà e che adempie al patto ancora una volta ritroviamo Elohim , idem nel versetto 4 a proposito della circoncisione di Izchàk il riferimento è Elohim.

Nel capitolo 22 dove viene narrata l’aqedàh di Izchàk è Elohim ogni volta che si riferisce al sacrificio, lo leggiamo in tutti i dettagli, istruzioni su come preparare il sacrificio di Izchàk, nel racconto Y*** compare ogni volta che la volontà divina non vuole che il sacrificio si compia (52), Cassuto aggiunge che il sacrificio umano è simile a quello che ordinano gli Elohim dei popoli circostanti, ma Y*** esecra il sacrificio umano.
El è presente in numero di 85 casi nella Bibbia (e Cassuto fornisce l’elenco, vedi nota a pag. 66), nella Genesi si trovano 3 casi in cui El appare in valore appellativo, seguito da participio in funzione attributiva del tipo “Il Dio che mi vede”, oppure connesso a El Elion inteso come divinità cananea, Elohim non sembra che non si presti a essere utilizzato con un attributo perché se si ponesse questo dovrebbe essere nel plurale , Cassuto pone come esempio Elohim gedolim” che secondo lui risulterebbe un plurale numerico e se invece lo si lascia al singolare, esempio Elohim gadol” avremmo una discordanza grammaticale insormontabile.(66), afferma Cassuto: “Ecco quindi una prima regola:”Quando il vocabolo significante Dio in senso appellativo deve essere seguito da un aggettivo o da un participio in posizione attributiva, si adopera El e non Elohim”(67), cita i casi in El appare in costrutto (67). Cassuto commenta :”Il valore individualistico di El vale anche per spiegarci perché tutte le volte che si fa una interrogazione del tipo di “Chi è un Dio pari a te?”, (Michea 7/18) , in nome che è impiegato è sempre El , raramente Eloha , mai Elohim : una sottolineatura a che non si può paragonare le divinità straniere al D-o di Israele , questo avviene ogni volta che viene posto questo quesito.(69)
Il nome שדי Shadday è citato 5 volte nel libro di Genesi, (vedi elenco pag.78), sempre preceduto da El e una volta senza El in Genesi 49/25, ma che viene corretto sostituendo il vocabolo precedente “we-et” con “we-El” (79), (la LXX), la possibile radice del nome che è connessa con שד, “flagello, rovina, devastazione”(e quì cita Soggin), (80), lo stesso termine è connesso alla potenza divina che rende prolifici ma che nello steso tempo può stroncare la vita (81).

In Esodo compare esclusivamente Elohim fino alla fine del capitolo 2 , fino a che si Moshè rinnova la conoscenza di D-o , Y*** riappare nel capitolo 3, ancora una volta il narratore usa Elohim come espediente per mostrare la potenza divina in attesa della rivelazione del Nome a Moshè (83) , all’inizio del capitolo 3 abbiamo una fase intermedia, prima della rivelazione del Nome il tetragramma è accostato a מלאך יהוה , l’angelo di Y*** che appare a Moshè quasi come una preparatio, è interessante che l’alternanza del Nome diventa espediente letterario, solo al narratore e al lettore è evidente che è il malach di Y*** che si manifesta a Moshè, forse un modo di attenuare la presenza divina, osserva che quando Moshè si avvicina per scorgere meglio il fenomeno del roveto che brucia leggiamo che è יהוה che lo scorge ma quando Moshè percepisce la sua presenza il testo si riferisce alla impressione soggettiva di Moshè in una sorta di camuffamento e per sottolinearlo il testo impegna ancora una volta Elohim , questo lo possiamo verificare perché leggiamo אלהים מתוך הסנה ויאמר משה “Elohim disse da in mezzo il roveto” : ” non ti avvicinare”, ricapitolando il narratore ci parla della divinità in relazione a quello che era il rapporto con Moshè e anche successivamente quando ritroviamo l’espressione
ויאמר אנכי אלהי אביך אלהי אברהם אלהי יצחק ואלהי יעקב
E disse io sono אנכי il Dio di tuo padre , il Dio di Avrahàm, , il Dio di Izchàk, e il Dio di Jacov” (Shmòt 3/6) non viene impegnato il nome Y***.
Finalmente quando Moshè rivolgerà la domanda che avrà la risposta solenne riguardo la liberazione di Israel dall’Egitto assistiamo ha un anticipo della rivelazione del Nome attraverso le parole nella celebre risposta di D-o :
ויאמר אלהים אל משה אהיה אשר אהיה “ “Wayomèr Elohìm al Moshè hejè asher hejè” Shmot 3/14, traducibile come: “ E disse il Signore a Moshè, sarò quel che sarò”

“E parlò Elohim a Moshè e disse io sono יהוה e mi feci vedere ad Avrahàm a Izchàk e Jacov con il nome di שדי “Shadday”con il nome mio di יהוה non mi feci conoscere loro”(6/2-3) .
Cassuto commenta: “Se l’autore di questi versi avesse voluto veramente che i patriarchi non conoscessero il nome di Y***, avrebbe, più agevolmente e più limpidamente, potuto dire, invece che “u-shemì Y*** lo noda’ti laken” , oppure “u- shemì Y*** lo noda’ lakem “, ma il mio nome Y*** non fu conosciuto da loro”, entrambe le forme avrebbe potuto essere efficaci, ma se l’autore non lo ha fatto è evidente che non era sua intenzione (88), il massimo della forma completa la ritroviamo in Ezechiele “Io sono Y***, che parlo, e che adempio” (17/24), oppure in Bemidbar “Io Y***parlai” (14/34) (89).


La differenza tra “adamàh e "eretz” (98), zakar u-neqebah, maschio e femmina (99), ish e ishtò vedi Genesi 7/2, il maschio e la sua femmina intesa come compagna in alternativa a utilizzare neqebah inteso come femmina, questo accostamento compare solo in Genesi 7/2, anche se si tratta di animali questa espressione mette in evidenza i rapporti coniugali che esistono tra due individui , quando viene creata la prima coppia non si può parlare di ish we ishtò non essendo ancora un rapporto consolidato e per questo motivo l’agiografo usa zakar u- neqevah, nel caso di genesi 7/2 a proposito delle coppie di animali nel numero di sette coppie da far salire sull’arca, il testo non poteva utilizzare zakar u-neqebah, avrebbe significato rendere generico il numero di animali, maschi e femmine ma non indicava che sarebbero state coppie, in realtà in questo caso appare irrilevante che le coppie fossero già costituite, la precisazione era destinata a garantire il numero di individui ma di far salire le coppie nel numero esatto. (100-101).

Holid e jalad, generare, le differenze , ogni volta che appare jalad lo ritroviamo nella forma verbale del perfetto o nel participio, neanche una volta nell'imperfetto o nell'infinito.
Safah o lashon, il linguaggio, le omonime della parole e il loro impiego nel testo biblico, safah non si può impiegare nel plurale, il caso di Salmo 59/ dove l’apparente plurale siftotehem potrebbe indicare “le loro labbra”, lashon ricorre ogni volta che si deve indicare la lingua intesa come linguaggio, quando troviamo safah è il più delle volte inteso come significato di una singola lingua non messa in confronto con altre lingue (105), Shifchah e amah la schiava, le alternanze nel testo, nei testi giuridici del Chumàsh viene impegnato esclusivamente amah, interessante la sua nota ( pag.111).
Concludere un patto, karat berit,heqim berit, natan berit, la radice לקים “leqaiem” mantenere , adempiere, espressione che compare con il patto fatto a Noàch nella forma futuro (114).
Ani e Anochì, analisi del pronome e della sua presenza nel testo biblico(118 in poi).
Cananei , Amorei, Jebusei, le popolazioni palestinesi (123 in poi).
Jacov e Israele, il rapporto tra i nomi, l’uso nel libro di Genesi di utilizzare Jacov spesso , raramente Israel, il popolo invece viene designato come Israel, ovvero i figli di Israel (133), la ricerca vana di una regola che spieghi le alternanze tra i nomi dei commentatori(139), l’osservazione di Cassuto che dimostra che quando gli atti riguardano la sua discendenza anche in aspetti collaterali è designato come Israel, quando compare come persona singola è indicato come Jacov, l’esempio di Bereshit 35/22 dove leggiamo “E fu mentre Israel/ Jacov dimorava quella andò e Ruben giacque con Bilah del padre e Israel lo venne a sapere” la ripetizione di Israel in riferimento a Ruben e Bilah in contrapposizione con il passo precedente quando “Jacov chiamò il luogo…” “Jacov collocò una mazevàh, (140), l’implicazione dell’unione sessuale di Ruben con Bilah implica delle conseguenze teologiche, in realtà i commentatori forniscono una loro interpretazione e spiegano che in effetti Ruben non ha commesso un peccato di incesto ma con questa sua azione ha salvato l’onore della madre Leah che dopo la morte di Rachel Jacov aveva di fatto trasferito il suo letto nella tenda di Bilah , preferendo quest’ultima a Leah e sottraendosi dai doveri della seconda moglie legittima.
E interessante che il libro di Bereshit subito dopo questo scandalo introduce la parte successiva affermando che i figli di Jacov erano 12 in tutto? Il commento ebraico osserva che Ruben unendosi con Bilah impedì di fatto a Jacov di generare un tredicesimo figlio. ( con una mia aggiunta tratta dal Commento alla parashà Wayishlach 5775, (Somekh), per altri esempi della scelta del nome (141) e (144) (146), “Bara “e” ‘asah”(151), l’impiego del verbo “bara” creare fuori dal libro di Bereshit (152), il numerale cento me’ah” il suo costrutto me’at , (considerazioni interessanti da 159 in poi).

Le relazioni antropomorfiche, un esame di Bereshit 3/8, "E udirono i passi di Y***Elohim che camminava nel giardino al vento nell’ora del vento del giorno”
וישמעו את-קול יהוה אלהים מתהלך בגן לרוח היום
E ascoltarono il suono di Y*** Elohim camminate nel giardino al soffio nel giorno” D-o chiamò l’uomo e disse lui איכה , dove sei, l’aspetto antropomorfico è evidente D-o sta passeggiando e l’uomo e la donna si accorgono della sua presenza che da l’impressone che Y*** non sia onnisciente e addirittura ignaro della colpa commessa dall’uomo, “Che una colpa venga scoperta solo per caso, e solo per caso punita, è alcunché di decisamente contrario a quel convincimento della presenza costante e della costante attuazione di una legge suprema di giustizia che ispira tutta la Genesi non solo, ma tutta quanta la Bibbia.

L’agiografo sapientemente sottolinea che D-o non conosceva ancora la colpa della coppia, oppure possiamo pensare che la conoscesse, ma da buon giudice è sceso dal suo regno per indagare e confrontarsi con i testimoni, una analisi profonda dell’espressione” il sangue che grida dalla terra” “ il grido della colpa di Sodoma e Gomorra (190).
Quando nel testo si parla di altari e di sacrifici quasi sempre il riferimento è Y*** che risulta l’aspetto del nome più personale e in qualche caso una espressione ad esso equivalente (206), mentre nel caso delle מצבות, matzevòt, le steli commemorative eretta nel nome di Elohim come in Genesi 28/22, vedi pag. (207) pare l’unico caso in cui questo termine è associato direttamente alla divinità. (208), le ipotesi che riguardano la morale di Avrahàm quando consegna Sarai’ al faraone, le impressioni di Holzinger ,di Smend, Gunkel , Procksch, Konig, (211), il giudizio di Cassuto veramente alternativo alla morale degli altri commentatori (211-214), secondo Kittel , Abramo era un beduino che si aiutava spesso con la menzogna e qualche mezzuccio per trarsi d’impaccio”, (pag. 215 sottovalutando la protezione di D-o, la morale del racconto è più raffinata, con un atto di furbizia Avrahàm pensava che passando Sarai come sorella non avrebbe attirato l’attenzione degli Egiziani, ma avvenne che se riuscì per questo a ingannare il popolo nelle terre che attraversava non sfuggi all’occhio (clinico) dei ministri del Faraone che (da buon buongustai , nota mia) riferirono al monarca della straordinaria bellezza di Sarai’ e leggiamo che “Il Faraone udito che era libera, ordinò che la donna fosse presa in casa del Faraone”(216), l’aspetto pedagogico è insito nel racconto, l’accorgimento è fallace nella sua stessa natura e quando si è previsto ogni eventualità le cose si capovolgono, il resto dell’insegnamento è che per rimediare al balagan (nota mia) occorre la mano di D-o che affligge il faraone tramite le piaghe che anche se inconsapevole eè in procinto di compiere l’adulterio , interessante è capire se il rapporto tra Sarà’ e il Faraone è stato veramente consumato (218)
L’indennizzo che viene dato ad Avrahàm (220), tutta una interessante serie di considerazioni.
Rebecca e Izchàk (223), Jacov ha ingannato Esav , Izchàk a sua volta viene ingannato da Lea (227) Genesi 29/23, Esav non può essere il continuatore del patto con Avrahàm (228), una buona spiegazione morale…
Cassuto commenta:
"Una nazione sarà più forte dell’altra”, quale sarà più forte? E quale sarà più debole?l maggiore servirà il minore, ma sappiamo che i due gemelli si agitavano nel ventre e chi ci dice che non si siano scambiati il posto?, e quello che nacque prima non fosse quello che doveva nascer dopo?"(229).

L’imposizione del nome da parte della madre e del padre, la statistica e le relative osservazioni (253), se l’etimologia del nome riguarda la madre sempre è imposto sempre dalla madre (253) lo stesso vale anche per il padre, il caso dell’ultimo figlio di Jacov che ha un nome imposto dalla madre sul punto di morte “ben-oni”figlio della mia disgrazia” e “ben –Jamin” “figlio della destra “ovvero la parte che è ritenuta più fortunata e quindi il nome imposto dal padre.
Le ripetizioni nel racconto di Genesi ce ricalcano l’esperienza con il faraone, le le diverse varianti della presenza di Sarah presso il regno di Abimelek molto simili .(pag. 256),
Il problema delle due narrazioni della creazione che sembrano giustificare l’ipotesi documentaria ( a cui Cassuto dissente) (256), vedi anche a pag 313.
La grande differenza tra le due narrazioni è la mancanza delle piante prima della creazione dell’uomo con la giustificazione che D-o non aveva fatto ancora piovere sulla terra. Analisi dei termini chiave del racconto, שיח, siach” cespuglio, שדה sadèh campo e עשב, esev” erba, sadèh inteso come campo significa anche campagna che raccoglie ogni tipo di esev, Cassuto osserva che leggendo in genesi l’espressione: ( את-עשב השדה (כלימי חייךואכלת “ve achàlta et esev ha-sadèh “ “e mangerai l’erba della campagna” (Genesi 3/18) (260), una osservazione tra il contrasto e le difficoltà di coltivare il campo e la campagna perché וקוץ ודרדר תצמיח לך “ve qotz we-dardar tazmiàch lekà “, Le parole: siach , cespugli e cardo germoglieranno per te, intendendo tutti gli aspetti del שיח, “esev ha-sadèh “ una sottigliezza che va intesa per le piante che l’uomo attraverso il suo lavoro saprà estrarre dal campo.
Il nome di Isma’el (Ismaele) “Dio ascolta”nonostante sia assegnato con indicazione divina attraverso l’angelo non compare successivamente, lo stesso Elohim non lo menziona, è solo detto che Elohim ascoltò la voce del ragazzo, successivamente è Agar, (vedi anche 314-315), sua madre imporrà il nome in una relazione con il verbo “shamàlishmoa” la parola ascoltare è ripetuta molte volte in questa parte di Genesi, “Ascoltò Elohim la voce del fanciullo” l’angelo conferma “Elohim ha ascoltato la voce del fanciullo”, Avrahàm diede ascolto a Sarah” ,”In tutto ciò che ti dirà Sarah ascolta la sua voce” Cassuto considera l’assegnazione del nome come un caso di paronomasia che non rara in Genesi, analizza i Ismaèl( 277-278),
Penu’el (281), Jacov , Be’er Sheva, (282), Bet’El, Luz, Israel (287), tutte le ipotesi della figura che lotta con Jacov fatte dai vari commentatori, una relazione con Avrahàm che percorre tutto il paese in tre tappe, Sichem, e Bet’El, ogni volta costruisce un “altare”, la relazione con Jacov che giunge pure lui da Nord e arriva a Sichem dove compra un terreno e a sua volta erige un “altare” (genesi 33/18-20), dopo aver rimosso gli altari di altre divinità prosegue fino Bet’El dove costruisce un successivo altare (35/5-15) questo percorrendo lo stesso tragitto di Avrahàm e costruendo lo stesso numero di altari (292),le analogie con la conquista di Caanàn da parte di Giosuè, l’imposizione del nome Israel (296), le ripetizioni nel racconto le assunzioni di schiave come concubine per rimediare la sterilità delle mogli (312).
Avrahàm riceve per sette volte le promesse divine, Genesi 12/1-3; 12/7;13/14-17; 15; 17; 18/ 10,e 14;22 15-18. (317), una buona analisi del capitolo 22, la benedizione di Izchàk carpita a Esav (da 323 in poi), lo stile narrativo è simile a Genesi “e chiamò, wajikrà Elohim la luce “giorno”, e le tenebre chiamò qarà “notte”. Tale disposizione chiastica è una finezza dello stile ebraico, intesa a evitare la successione di due predicati identici e nella stessa costruzione sintattica (327), interessante tutta la interpretazione di Cassuto e la benedizione carpita a Esav da Jacov, Noàch e le anomalie e le ripetizioni e le contraddizioni nel racconto del diluvio, (335 in poi), In un intero capitolo l’esegesi di Cassuto smonta la teoria documentaria, la vendita di Josef (353), la Torre di Babele, (359), D-o scende sulla terra a vedere la torre, la giusta interpretazione, Avrahàm e la guerra dei 4 re contro i cinque re di Sodoma (365) , Avrahàm e Melkisedek (373 in poi), le contraddizioni cronologiche sull'età dei patriarchi, Avrahàm e Sarah, Jacov (375), Ismaele e Yitzhak, quando il racconto era ancora orale le contraddizioni non erano evidenti e nessuno sentiva il bisogno di determinare con esattezza l’età dei personaggi del racconto, Sarah quando entrò nel gineceo del faraone era immaginata bellissima e giovane, idem per Agar , solo quando il testo divenne scritto divenne necessario un ordinamento cronologico (379), la difficoltà che il racconto doveva conciliare la esigenza della narrazione ma anche con la logica numerica, l’esame di altri casi (380).
E tutto.
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

(Carissimo Noiman, ricambio l’abbraccio. :YMHUG: )

L’opera di Umberto Cassuto è indispensabile per comprendere appieno il primo libro della Toràh. Così già sosteneva il mio insegnante Fausto Salvoni, che lo ha dichiarato anche nell’introduzione a Genesi nella Bibbia Concordata (Mondadori). Senza le lezioni di Salvoni e l’opera di Cassuto, che studiai alla Facoltà di Scienze Bibliche di Milano, non sarei mai riuscito a produrre il corso post lauream (riversato a chi è in possesso di laurea magistrale in Scienze Bibliche con specializzazione veterotestamentaria) Genesi e la sua teologia in 1-11.

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noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Shay, ci vorrà tempo, con lo scanner che attualmente dispongo occorre presentare due pagine alla volta al scanner in versione capovolta, questo per circa 200 volte, il libro compreso indici e prefazione ha 430 pagine, la rilegatura schiacciata 200 volte non reggerebbe , la qualità della carta con cui è stato stampato nel 1930/40 è ha basso contenuto di di fibre , ne so qualche cosa perchè recentemente ho fatto restaurare qualche libro stampato nello stesso periodo ed è costato di più che lo stesso lavoro per libri di inizio 700 dove la carta più spessa e ricca e ha consentito ottenere risultati migliori,per Cassuto occorre uno scanner che cattura da sopra e non fa fare ginnastica al libro, ci penserò..
Noiman
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